Erano passati solo pochi giorni dalla loro partenza e Lavinia percepì un netto allontanamento da parte di Vincenzo: nei tratti di trasferimento da una città all'altra lui preferiva prendere posto accanto ai suoi colleghi per ripassare alcuni passaggi del dramma, a pranzo sedeva spesso accanto a Carlo per discutere aspetti registici, in hotel esprimeva il desiderio di sistemarsi in una stanza isolata per facilitare il proprio riposo. Erano scelte strane, certamente inusuali, ma la ragazza decise di non darvi troppo peso dal momento che la forte vicinanza con lui non le stava sicuramente giovando. Infatti iniziava a sentire dentro di sé un certo bisogno di piangere, frequenti fitte allo stomaco, timore di dire o fare qualcosa di inopportuno e tutto questo, non poteva più negarselo in alcun modo, rappresentava il chiaro segno di un interesse che aveva cessato di essere puramente platonico.
Lavinia ammise a se stessa di essersi innamorata di Vincenzo, ammise che l'attrazione che aveva da sempre provato per lui non aveva soltanto a che vedere con l'interesse per apprendere cose nuove sul teatro, ammise che stargli vicino la rendeva triste e abbattuta per l'impossibilità che si era imposta di averlo con sé.
Chissà quali sono i suoi sentimenti per me? Magari sono solo una ingombrante presenza nelle sue giornate! Stare meno vicini ci renderà più sereni ed efficienti, ne sono certa.
Per settimane i due non si rivolsero che poche ed essenziali parole, i loro scambi riguardavano sempre e soltanto aspetti relativi al lavoro di Lavinia: se avesse già controllato il suo stand, se fosse disponibile a passargli il tale oggetto dietro le quinte tra una scena e l'altra, se avesse idea di dove poter acquistare del kajal nei dintorni, se avessero già concluso le prove luci per quel pomeriggio.
Dapprima Lavinia ringraziò il cielo per questo intiepidimento, ma poi tutto iniziò a sembrare artefatto, non c'era più il minimo sentore di spontaneità e di naturalezza in lui e lei stessa sentiva di ricambiare con altrettanta freddezza. Non era mai stata una ragazza fredda, schiva sì ma mai distaccata e disinteressata. Il fatto di non riconoscersi più la allarmò, perché non era nei suoi piani cambiare il proprio modo di essere per nessuno, men che meno per un ragazzo, certamente non per qualcuno che non poteva essere più lontano dall'essere il suo ragazzo. Anche vederlo come il grande pubblico lo vedeva, indifferente e apatico, non poteva che essere il segno che ci fosse qualcosa che non andava. Il proprio lavoro era a rischio, Carlo diceva sempre che l'equilibrio emotivo di tutti, attori e non, era di fondamentale importanza per la buona riuscita di uno spettacolo con pubblico in sala. Fu così che Lavinia prese a interrogarsi se fosse giusto andare a parlare con Vincenzo: nella migliore delle ipotesi, se davvero fosse emerso qualche problema, avrebbero potuto risolverlo parlandone, ma, nella peggiore delle ipotesi, potevano dare avvio a un litigio che avrebbe potuto influire negativamente su tutti quanti.
Era un dilemma per lei: chiarire o non chiarire, questa è la questione. Sorrise sentendosi una moderna e amletica pensatrice.
«Ridi da sola?»
Lavinia sobbalzò. «Vincenzo! Non ti avevo sentito arrivare»
«Lo so, ti osservo da un po'. Sembravi rapita da un pensiero. Un brutto pensiero?»
«Un pensiero difficile, direi»
«Diresti o dici?»
«Dico»
«Posso esserti utile?»
«A dire il vero potresti essere la soluzione, così come il disfacimento»
«Ah! Accipicchia che responsabilità!» Disse sorridendo.
«Non c'è molto da ridere, purtroppo» rispose lei con cipiglio.
«Scusa, non volevo mancarti di rispetto. Dimmi se c'è qualcosa che posso fare per te»
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Servo di scena. Ovvero Sonetto 130
Short StorySera, teatro. Servo di scena e capocomico dividono l'angusto spazio del camerino, preparando trucco e vestiario per l'imminente messa in scena. Dopo anni di quotidiana sintonia, quella sera qualcosa inquina l'aria abitualmente rassicurante del dietr...