«Ehilà, servo di scena! Che ti piglia oggi?»
«Vincenzo, non fare lo stupido. Oggi non è aria»
«E che? Ti è morto il gatto? Ti ha lasciato il fidanzato?»
«Sì»
«Come?» Non voleva essere indelicato, aveva ormai accettato che Lavinia fosse sinceramente innamorata di un altro e anche lui aveva tentato, con poco successo, di andare avanti con la propria vita amorosa.
«Proprio così»
«Ma tu... non hai un gatto»
«Mai avuti. Sempre odiati i felini in genere»
«Lavinia, perciò parli di Gabriele?»
«Esattamente. Ma non è proprio mia intenzione parlarne quindi, se potessi semplicemente prendere atto che oggi per me è una giornataccia, te ne sarei immensamente grata»
Non si spesero più parole su quella vicenda. Vincenzo sapeva bene quanto Lavinia fosse cresciuta grazie alla relazione con quel ragazzo: non era più l'angelico viso che incorniciava un sorriso perfetto, ora era a tutti gli effetti una bellissima donna con un sorriso magnetico, e questo non era solo dovuto agli anni che erano passati dalla prima volta che l'aveva vista e in cui aveva dubitato stupidamente delle sue capacità, ma anche al modo in cui adesso credeva in se stessa. E questo non poteva che essere stato un dono coltivato in una relazione paritaria, che lui non avrebbe mai potuto assicurarle, anche se ce ne fosse mai stata occasione.
Non si spesero più parole su quella vicenda, né quel giorno né in futuro.
Lavinia era membro dello staff de La Compagnia ormai in pianta stabile: il suo nome compariva nelle locandine, veniva chiamata sul palco alla fine delle rappresentazioni insieme al resto dei collaboratori, il suo senso di appartenenza era fuori discussione sia per gli altri che per se stessa.
Si occupava sempre di seguire Vincenzo nello specifico, ma sostanzialmente andava dove occorresse un aiuto, un paio di braccia o di occhi in più.
Servo di scena di qua, servo di scena di là...
«"Servo di scena"... mi colpisce che tu accetti questo epiteto»
«E come dovrei farmi chiamare? Sentiamo!»
«"Serva di scena" magari»
«Giove, che orrore!»
«E perché mai? Sei una donna in fondo. Le donne non combattono per i propri diritti?»
«Credo che sia importante che donne e uomini combattano per i diritti della parità di genere, certo»
«E allora?»
«Allora... tanto per cominciare qui non mi sono mai sentita trattata con disparità, per cui riterrei fuori luogo chiedere un'attenzione così misera, dal momento che ne ricevo di altre fondamentali. In secondo luogo non sono poi così convinta che le battaglie di genere debbano passare per la grammatica: il linguaggio è certamente lo specchio del pensiero, ma mi batterei prioritariamente per la parità di retribuzione prima che sulle desinenze dei sostantivi. E poi... "serva"... secondo me è una parola orribile»
«E "servo" no?»
«No, Vincenzo. Se mi definissi una serva, mi sembrerebbe di essere nel gradino più basso della scala sociale di questa piccola comunità. "Serva" mi richiama qualcosa di simile a "schiava" in qualche modo, e non lo tollererei. Invece "servo di scena"... non senti come suona pieno? In questo caso mi sembra così chiaro che il gesto di servire è di utilità. Non so... forse quello che ho detto suona più maschilista di quello che vorrei?»
STAI LEGGENDO
Servo di scena. Ovvero Sonetto 130
Short StorySera, teatro. Servo di scena e capocomico dividono l'angusto spazio del camerino, preparando trucco e vestiario per l'imminente messa in scena. Dopo anni di quotidiana sintonia, quella sera qualcosa inquina l'aria abitualmente rassicurante del dietr...