Prologo.

28 2 0
                                        

Lì, dove stai andando c'è un sorriso alla fine?
Ness.

Ryan.

Noi, esseri umani solitari, competitivi, con i sogni dentro le tasche, pronti a gettarli come monete.
L'essere umano, tanto crudele da essere impacciato. Trasformava l'amore in odio, da amarezza in crudeltà.
Lo dicevano quelli che avevano sofferto tanto nella vita -io - ero un di loro.
La vita dava tanto, e toglieva tutto. Lo dicevano le lacrime, quelle che malinconiche ti macchiavano il viso.
Quelle che poi ti abbandonano perché si sentivano tradite.
Piangi perché provi sentimenti.
I sentimenti ti distruggono, ti uccidono.
Come le sigarette.
Come le persone.
L'amore uccide.
Smetti subito.

Passato....
Non sbatteva più il sole qui da noi. Non sbatteva più perché esso, forse, aveva paura che gli facevano del male pure a lui.
Non ricordavo più la sua lucentezza. Nemmeno il suo calore. Cosa era il sole?
L'unica cosa che ricordo era la neve, ero seduto sul davanzale della finestra. E da dietro di essa guardavo quei delicati fiocchi di neve. Mi chiedevo perché lei fosse così delicata e soffice, mentre l'essere umano è burbero e cattivo.
Io forse potevo essere come lei. Ma più fragile.
Fragile, fragile come la neve.
Perché poi lei mi chiamò, come faceva sempre. Non mi chiamava mai per nome. Nemmeno con il mio cognome.
Mi chiamava così:
Pulce.
Il mio corpo da bambino, ancora non maturo, già sapeva cosa significava toccare una donna. Saziarla. Soddisfarla.
Lo dicevano le sue mani esperte mentre ansiose di toccare il mio corpo strisciava come un serpente sulla mia pelle. Gemeva.
Perché poi lei si divertiva.
Lei si eccitava.
Si eccitava con me.
Su di me.
Poi mi urlava. Perché la mia intimità non faceva granché del suo dovere come quello di un uomo adulto. E mi feriva.
Mi gettava come un rifiuto solo quando poi non gli servivo più.
Ma lei poi tanto ritornava da me.
Quando la sera entrava nella mia stanza, ed io che cercavo conforto fra le coperte osservavo lei che chiudeva la porta dietro le sue spalle e con un sorriso le sua mani viaggiavano sul suo corpo formoso.
Fra il seno.
Nel centro delle gambe.
E gemeva.
Gemeva.
Danzava.
Fin quando non si spogliava e veniva su di me.
Tanto le mie lacrime non l'avrebbe mai sentite nessuno.
Non sarebbero stati in grado di salvarmi.
Nemmeno la neve.



Buona lettura miei cari lettori.....

Fragili come la neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora