Angelo perduto.

3 1 0
                                    

Un bambino nasce gridando attenzioni.
Ness.

Ryan.


<<sei sicuro?>> mi chiede James a telefono, mentre alla guida cercavo di restare calmo dietro ad un deficiente che avrebbe dovuto avere la patente strappata.
<<si James. Sto bene.>> cerco di far star tranquillo James, un mio amico già da tempo. È l'unico.
<<va bene. Allora appena arrivi mi aggiorni. Buona giornata Ryan.>> non aspetta che lo saluto, ormai mi conosce bene. Appena conclude la chiamata stacca direttamente.
Le mie nocche stanno diventando bianche dalla presa stretta al volante.
É basta solo un sospiro, prima di dar forza col piede sull'acceleratore e superare quel coglione.
L'abitacolo era immerso nel silenzio. Prendo tutta l'aria necessaria, mentre mi dirigo in quel paese che avevo giurato a me stesso, che non avrei messo più piede.
Ed invece...
Appena arrivo, parcheggio e apro la portiera, il vento gelido si schianta contro il mio viso.
Osservo per terra, e ci penso prima di posare un piede su di essa.
Basta solo mettere i piedi nella terra di quel paese, prima di essere contratto dai brividi.
Però lo sa bene, che non sono più il bambino del passato.
Sono un uomo.
E le battaglie dentro la mia testa sono ancora in combattimento, ma non si arrendono.
Perché io vinco. Sempre.
Dal lato passeggeri afferro il mio zaino e lo carico su una spalla, faccio un giro della macchina, e apro il cofano, ed estraggo le valigie.
Dopo il bip, ed essermi accertato di aver chiuso l'auto, mi dirigo verso la casa.
Quella casa dove ho vissuto i miei anni migliori, dopo quelli peggiori.
Li ho trovato un po' d'aria pulita, fresca.
Ma non ha mai smesso di essere gelida.
Appena sono davanti la porta, tentenno un po', lascio le valigie ai miei piedi, e dalle tasche esco la chiave, quella che avevo nascosto in fondo al cassetto del mio appartamento a New York, sotto le magliette.
Sapevo bene che un giorno la mia cara neve mi avrebbe voluto di nuovo fra il suo gelo.
Avremmo fatto a gara chi sarebbe stato più freddo dei due.

La matita nera sbatte sulle mie labbra, la mia mano tiene il peso della mia testa. E cerco di concentrarmi su quelle pagine di libri vecchi. Gli occhiali da vista stavano iniziando a torturarmi, con una presa veloce li levo e li getto sul tavolo. <<cazzo>> borbotto, porto le mani ai lati della mia testa e chiudo le palpebre. Non riesco a concentrarmi.
Alzo lo sguardo fuori dalla finestra, un debole sole spicca i suoi raggi tra le nuvole, gli alberi coprivano la maggior parte del lato destro della finestra.
Quella casa era immersa nel bosco.
Ecco perché quando urlavo nessuno mi sentiva.
Immagino ancora nella mia testa i pianti. Resisti.
Meno di un mese inizierà la scuola, e terrò la mente occupata, il più tempo possibile.
Scosto un'altra pagina.
Non è mai stato così difficile leggere, forse, é l'aria di questa casa che spezza il mio respiro.
Ad un certo punto sbuffo e con una manata chiudo il libro, mi alzo e gironzolo per le stanze.
<<adesso siamo io e te.>> cazzo. Sono diventato matto.
Entro nella stanza immersa nel buio.
La mia stanza.
Lascio la porta socchiusa e mi avvicino al letto, sfioro le coperte con le dita, e osservo le mura vuote. Prive di sogni.
Nessun poster. Foto. Quadri.
Solo pareti grigie.
Mi dirigo alla finestra, e con uno scatto tiro la corda che alza la serranda. La luce illumina tutta la stanza, e non porta più buio. Tranne al mio petto. Lì ci si muore di oscurità.
Non so cosa più mi manca.
Un respiro profondo si abbandona fra le mie labbra. Mentre mi volto e guardo il letto sistemato con cura. Ancora come lo aveva fatto lei.
Come lo aveva lasciato, lei.
Un piccolo sorriso mi sfugge incontrollato dalle labbra e scuoto il capo. Rassegnato.
Dopo aver fatto una breve passeggiata fra i corridoi e visitato le stanze che ricordavo molto bene, decido di fare una doccia.
Devo controllarmi.
Devo, almeno, provarci.
Per lei.
Mi ripeto costantemente nella mente. Lo devo fare almeno per lei.
Mi spoglio, abbandonando i vestiti sul pavimento lucido, e infilo un piede nella vasca, e inseguito l'altro. Mi siedo sulla ceramica fredda, e inizio a riempirla con acqua calda, la stanza si cosparge di nebbia, simile a quella che si trova dentro la mia testa, e non noto la differenza, se non per la diversa caloria dei due luoghi completamente diversi. Quando è del tutto piena d'acqua, lascio scivolare la schiena e mi immergo con tutto il corpo nell'acqua, lascio di fuori solo la testa rivolta al tetto e le braccia ai lati della vasca.
Da sopra lo sgabello afferro il mio pacco di sigarette, ne estraggo una e portandola alle labbra l'accendo con l'accendino nero.
Il fumo mi fa socchiudere gli occhi, e ispiro, cercando con tutto me stesso di sentirmi libero. Libero.
Rilassato.

<<buongiorno.>> mi saluta con un sorriso in pieno volto, la segreteria dell'istituto dove dovrò insegnare. Controlla i miei fascicoli mentre me ne sto comodamente seduto sulla poltrona del suo ufficio difronte a lei. Si tiene con due dita la tempia, e i suoi occhi da sotto gli occhiali da una lente spessa inseguono le lettere di ciò che c'è scritto sui documenti.
Alza lo sguardo su di me, e chiude tutto, spingendoli verso di me. <<insegnate di letteratura quindi?>> I suoi occhi scorrono lungo il mio petto, tenuto scoperto dalla camicia bianca sbottonata fino allo sterno. Ed i miei occhiali da sole appesi nel primo bottone chiuso.
Annuisco. <<non mi ci vede?>> con quella domanda i suoi occhi ritornano sui miei. E si leva gli occhiali, posandoli con cura sulla sua scrivania. <<certo. Certo>> mi sorride.
<<bene. Credo che ci troveremo bene insieme.>> si agita sulla sedia. Si sta bagnando guardandomi?
Il lato delle mia labbra si tira all'insù, in un sorriso beffardo.
I suoi gomiti si posano sulla scrivania, mentre le mani finiscono entrambe sotto al suo mento e mi guarda fissa negli occhi. <<ci troveremo più che bene.>> che gran troia.
Il suo piede con il tacco a spilla sfiora la mia gamba, facendolo salire sempre più su, fino a parcheggiarsi tra le mie gambe, e la punta della scarpa rossa sfiora la pacca dei miei pantaloni.
Resto immobile, con le braccia conserte, e la osservo da sotto i capelli che mi ricadono sugli occhi.
Eppure credevo di resistere.
Fin quando mi ritrovo fra le sue pieghe bagnate e lei che geme sotto di me.
Con il busto contro la scrivania e il sedere in bella mostra. Ad ogni spinta la scrivania passa avanti.
<<oh così. >> geme.
<<ti piace vero?>> gli sussurro all'orecchio. Lei si contorce sotto di me, in ogni spinta ben assestata, e lei che ne vuole e pretende sempre di più. La sento ristringere attorno al mio cazzo, e mentre viene continuo, sempre più forte, distruggendola.
<<sei fantastico.>>
<<siete tutte uguali. Delle gran troie che basta essere soddisfatte con un cazzo si sentono già meglio. Vero troietta?>> e ancora, ancora, immergo dentro di lei, e la faccio venire una seconda volta, mentre le sue gambe tremano senza sosta.
<<si. >> sussurra priva di respiro.
<<quindi? Cosa sei?>> le stringo un seno con forza, e lei urla dal dolore.
<<la tua troia.>> cosa?
<<non la mia. Tu lo sei e basta.>> le dico, colpendola con un ultima spinta, e un fremito lascia la mie pelle, e vengo anch'io. Esco subito da dentro di lei, e mi alzo i jeans. Mi volto, lasciandola sopra quel piano in legno ancora distesa e priva di forze.
<<ci divertiremo molto. Io e te.>> le dico prima di richiudermi la porta alle spalle.
Mentre percorro il corridoio un uomo si ferma davanti a me. <<buongiorno signor Lopez.>> mi saluta il preside, mi porge la sua mano. Gli e la stringo. <<buongiorno a lei preside Williams.>> le nostre mani fanno un su e giù almeno un quattro volte prima di lasciarsi andare del tutto.
<<quindi ci vediamo nel prossimo mese?>> mi domanda, nel frattempo si stringe la cravatta a pois rosa al collo e la liscia con una passata di mano. L'altra si tocca la punta della sua barba bianca.
Annuisco. <<si.>>
<<bene allora ci vediamo presto. Buona giornata.>> mi sorride da sotto i baffi.
Lui continua per la sua strada ed io mi dirigo verso le porte che danno nel parcheggio.
Apro la porta e la lascio chiudere da sola, mentre prendo gli occhiali da sole e li indosso, con il telecomando apro l'auto. E mi dirigo verso di essa. Audi Q8, verde petrolio.

Il bel culo della segreteria.

Il post it si attacca alla parete insieme a tutti gli altri, e chiudo la stanza a chiave.
Essa, la lascio cadere dentro la mia tasca.
É tutto un segreto.
E lei, ne sarebbe delusa.
Delusa di me...

Passato.
<<non devi entrare mai in quella stanza.>> mi diceva lei. Ma perché non capiva? Che io in quella stanza c'ero già stato con quella donna.
La vedevo quando mi faceva sedere dentro quella stanza nera illuminata da luci a neon rossi, e da un uomo si faceva legare, torturare. Solo per puro piacere. "Vedi? Questo è ciò che devi imparare" mi diceva poi.
<<ma Ella, io in quella stanza ci sono già stato.>> le sussurro a voce bassa.
Ero solo un bambino...
<<non ci devi più andare!>>
Te lo prometto...

Fragili come la neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora