Cuore vuoto.

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Anche le persone innocenti hanno lo sguardo crudele.
Ness.

Lilith.

Noi anime, siamo destinati a perderci nei tormenti, lo era anche la sua, aveva lo sguardo di chi aveva sofferto molto nella vita, ma lo nascondeva dietro muri di rose spinate.
"Non puoi amare le rose".
"Perché?"
"Perché loro non vogliono essere amate, toccate".
"Non mi importa".
"Finirai per farti male con le loro spine".
"Non mi importa".
"Farà male".
"Un cuore che vuole essere amato ha sempre vissuto fra le spine. Ma non ha mai smesso di amare la rosa".
"Tu puoi farlo smettere".
"No, non posso".

Non sarebbe stato facile, non lo sarebbe stato per due come noi.
Il male lo vedevo costantemente nei riflessi dei suoi occhi, aveva l'anima di chi, di guerre ne aveva fatte molte, e cicatrici sulla sua pelle per le battaglie a restargli impresse come schegge di dolore.
Lui era il lupo.
Quello che è fuggito dal cacciatore.

Passato.
Ogni domenica il nonno mi svegliava con un lungo bacio sulla fronte. E su un vassoio in acciaio mi portava una tazza di latte fumante e un cornetto alla crema, proprio come piaceva a me. Con un lungo sbadiglio mi trascinavo su a sedermi sul materasso e gli sorridevo. Non potevano essere più belle le domeniche così, col nonno che mi vorrà bene sempre e mi sosterrà  senza tregua. Mi vestiva con il vestito più bello che avevo dentro l'armadio, e con mio fratello ci trascinava giù in paese, a vedere la messa.
Ci andavamo molto felici, con la sua mano stretta alla mia, e canticchiava. Era bizzarro il suo modo, quando proprio entravamo in quel portone grande, e mettevamo i piedi su quel marmo, le campane come pazze, chiassose suonavano l'inizio della messa.
Il nonno subito aver messo i piedi dentro quella chiesa, si faceva il segno della croce.
<<vedi Lili, si fa così.>> metteva una mano sul cuore e l'altra sulla fronte. <<nel nome del padre.>> e successivamente continuava, mentre io cercavo di inseguire il suo esempio.
All'inizio mi confondevo, ma adesso lo so fare molto bene.
All'età di 13 anni, imparai il valore della vita.
Quando una domenica come quelle, insieme a Josh e il nonno, avevo fatto il segno della croce, ed eravamo corsi a prenderci i posti sulle panche in legno prima che si sarebbero riempite tutte. Quella mattina ho scoperto molto di più. In quella stessa panca c'era ogni mio desiderio infranto. Non avevo capito nulla di quello che disse il sacerdote. Ho solo notato lunghi capelli dorati, acconciati con due trecce legate da grossi fiocchi blu, lo era anche il suo abito, corto ed elegante e i collant bianchi a coprirgli le gambe. Occhi azzurri. E la sua mano era stretta a quella della sua mamma, mentre la bambina era anche circondata alla spalla con un grande braccio in segno di protezione dal suo papà. La guardavano come se fosse la cosa più meravigliosa al mondo. Non perché credevano, ma perché lo era.
Calai lo sguardo sui miei abiti, e mi ero accorta che eravamo due mondi, molto, diversi.
Lei poteva essere amata, io solo ignorata.

Presente.

Correre non era mai stato così faticoso, come quando cerchi di scappare dalla realtà che ti vuole calpestare.
A volte mettere la paura da parte non era una delle migliori cose, però bastava fingere per sentirsi potente, privo di sentimenti.
Non mi ero mai sentita potente. Non lo sarei mai stata, e a me, andava bene così.
Nascondevo le mie fragilità dietro barriere di sicurezza, nessuno avrebbe visto la vera me li dietro.
Non l'avrei permesso. Non avrei mai più permesso a qualcuno di farmi del male.
Perché sono i fiori meravigliosi, quelli più velenosi.

<<lasciami dormire ancora un altro po' >> mi butto il cuscino sul viso, ma la coperta mi viene tirata via.
<<é tardi! Sbrigati!>> urla Josh aprendo la serranda, accecandomi gli occhi col chiaro bagliore della mattina.
Sbuffo tirandogli un cuscino che prende al volo, e mi lascia da sola nella stanza prima di avermelo rilanciato in pieno volto.
Guardo il tetto, prima di rilassare la mente e decidermi una volta per tutte ad alzarmi.
Mi chiedo perché l'estate dura così poco, e che già devo ritornare a scuola. L'unica cosa che mi consola è che prenderò posto nell'ultimo banco dove accascerò la testa fra le braccia e farò sogni sereni.
Prendendo più aria possibile decido ad alzarmi e rifugiarmi in bagno dentro una rilassante doccia calda.
Quando sono pronta, mi guardo un ultima volta allo specchio, i lunghi capelli neri sono irascibili, tiro due ciocche dietro le orecchie e altre due a cadermi in pieno volto. Sono crespi, e non li sopporto. Ma me ne farò ragione, un po' come tutto il resto in fin dei conti.
Passo la mano sulla gonna spiegazzata, e alzo le calze al meglio possibile sulle caviglie.
Da sotto il letto afferro lo zaino nero che avevo tenuto imprigionato per tutta l'estate, e non mi accerto che ci sia tutto l'occorrente, lo metto su una spalla e raggiungo la cucina che è riempita dal profumo del caffè.
Il nonno è davanti ai fornelli, mentre Josh è alzato in attesa. Prevedo che non farò colazione.
Prendo al volo un cornetto sul tavolo e mi dirigo alla porta. <<ciao nonno!>> urlo prima di chiudere la porta alle mie spalle e Josh in seguito.
L'autobus ci aspetta alla fine delle strada, e mentre passiamo dal ponticello intravedo il ruscello, che debolmente scorre giù per il suo tragitto. Ma come previsto Josh mi tira per la manica facendola allungare un po' più del dovuto.
Quando l'autobus arriva prendiamo subito posto, e come al mio solito mi metto nella parte del finestrino, e con un pizzico di agonia, mi accorgo che il cielo oggi è nuvoloso. Dovrei esserci abituata, ma nonostante tutto, spero di vedere il sole anche dentro una grotta.
Per il tragitto nessuno dei due parla, Josh è perso nella sua dolce melodia che le sue cuffie gli offrono di sentire.
Io decido di rispondere al messaggio di Elizabeth.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 26 ⏰

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