Schegge di vetro.

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"Chi sei quando nessuno ti vede?"
Ness.

Lilith.

*

Nessuno era destinato all'amore.
Perché l'amore é vetro, l'amore è schegge di quel vetro rotto macchiato di sangue.
Coloro che ne erano destinati venivano torturati, perché l'amore era un mostro malvagio, pronto a sbranare chiunque osasse avvicinarsi a quel sentimento. Lo rappresentava le favole, quelle col finale nascosto, o l'altra metà della faccia della luna, quella che si nasconde all'oscurità della notte.
Lo dicevano le nuvole, che nonostante fossero riscaldate dal sole non smettevano di piangere.
Lo raccontavano quei occhi, un fiocco di neve troppo chiaro per meritarsi altra neve.
Nessuno, poi, volava più amare, perché amare faceva paura.
Paura di tagliarsi.

*

Correvo senza sosta. Le gambe si erano intorpidite, ma non mi fermavo. Non potevo. Se mi sarei fermata mi avrebbe presa, se mi avrebbe presa non so esattamente cosa sarebbe accaduto. Il velo ormai strappato dell'abito che indossavo si strascina dietro di me. Era bianco.
Ansimavo, mentre la stanchezza si affacciava sempre di più. Fino a quando mi nascondo dietro un albero, e col petto che saliva e scendeva attendevo la fine.
La mia fine.
Poi il silenzio.
Qualche goccia fredda cadeva dal cielo coperto di nuvole grigie. La notte era spenta, priva di stelle e dalla luna stessa.
I brividi mi trapassano da lato a lato.
Alzo lo sguardo al cielo, una goccia si schianta sul mio viso, in seguito, ne arrivano altre.
Col palmo aperto attendo che si schiantano anche su di esso.
Un fiocco di neve.
Nevicava.
I miei capelli neri erano ricoperti da neve delicata.
Un rumore di foglie giunge alle mie orecchie. Mi metto sull'attenti.
Qualcosa striscia fra i miei piedi scalzi, ormai sullo strato di neve fitta, il manto aveva decorato il bosco buio, rendendolo un paradiso invernale.
Sul collo mi sento sfiorare. Con la mano mi tasto la pelle.
Viscido.
Spaventoso.
Bianco.
Striscia su di me, avvolgendosi nel collo, nel braccio e la pancia.
Sto immobile mentre il serpente bianco mi strisciava addosso.
Poi mi guarda. I nostri occhi si legano. I suoi occhi chiari, più chiari del ghiaccio.
All'improvviso si schianta sul mio viso in un morso letale.
Il mio cuore esplode.
Boom...

Col cuore impazzito, mi sveglio di scatto, respirando nervosamente l'aria che si faceva sentire troppo pesante.
Mi tasto il viso frettolosamente con le mani, esse fredde.
Sembrava pelle morta.
Sembra quasi la pelle di quel serpente del sogno, bianco, freddo, pallido.
Nel silenzio della mia stanza, mi alzo lentamente, con l'intenzione di raggiungere la cucina per poter bere un bicchiere d'acqua. Con i piedi nudi sul pavimento in legno, faccio passi silenziosi per paura di svegliare il nonno.
E mio fratello. Nella stanza accanto alla mia.
Quando arrivo in cucina, da sopra il tavolo in legno al centro della cucina afferro una bottiglia d'acqua di plastica, e da un cassetto cigolante estraggo un bicchiere di vetro.
Lo riempio, e a sorsi piccoli, bevo, appoggiata con il fondoschiena alla cucina.
Da dietro il bicchiere osservo l'oscurità che inoltra la cucina, vivevo in quella casa da quando ne ho memoria, in quella casa non ci vivevo solo io, ma con me c'era mio fratello.
Gemelli: per essere chiari.
Due gemelli totalmente, completamente, assolutamente, diversi.
Sono cresciuta con due uomini, il nonno: Jack, e lui: Josh. (Mio fratello)
E mi state già immaginando bene, non sono affatto una principessa con le unghia smaltate e ben curate, i capelli ordinati e perfettamente acconciati, vestiti rosa, e ordinata.
Sono l'esatto contrario di tutto ciò, le unghia sono tutte distrutte e mangiate, i capelli disordinati e indisciplinati, vestiti larghi e sono dannatamente, disordinata.
Lo può raccontare la mia stanza, i cassetti sputano roba non piegata, e calzini nascosti sotto al letto.
Da piccola mi chiamavano "peste", perché quando arrivavo io era come quella malattia distruttiva, o mio fratello mi chiamava "Taz" quel piccolo mostriciattolo che si lasciava solo caos e rovina dietro di sé.
Combina guai.
D'oggi mi ritrovo a ridere dei ricordi, perché sono un maschiaccio che si litigava con suo fratello gemello per avere la sua macchinina migliore.
Adesso gli vado rubando durante la notte le sue maglie o felpe larghe mentre russa dal suo armadio in assoluto silenzio.
Siamo cresciuti con l'assoluta bellezza, libertà e spensieratezza, grazie al nonno, che a differenza dei nostri genitori, ci è stato accanto sempre.
Anche quando ci correva dietro - soprattutto me- con la sua ciabatta in mano. <<oh se vi prendo>> urlando, diceva alle nostre spalle.
Però lo vedevamo che dalle sue labbra fuggivano dei svolazzanti sorrisi.
La nostra presunta madre era la figlia del nonno, papà? Mai conosciuto.
Il nonno non parla mai di loro, e noi, non prendiamo mai quel discorso. Tanto non servirebbe sapere. Loro ci hanno lasciati da soli, davanti la porta del nonno. E di loro non è rimasto niente, se non la stessa -forse- pelle, capelli o occhi simili.
E i nostri nomi.
Nonostante tutto siamo cresciuti, forti e ribelli.
La maggior parte delle volte a scuola mi ritrovavo in presidenza, ma crescendo ho imparato ad essere più adulta, e forse, poco più donna, anche se la mia stanza urlava lo stesso: distruzione.
Non andavo d'accordo quasi mai con nessuno, e quelle volte, sapevo difendermi meglio di un uomo. Crescendo con due uomini accanto a me, mi hanno insegnato il valore, e la forza.
Ma la mia ancora di salvezza e la mia bocca, molto, lunga.
Vipera.
Nessuno si metteva contro di me, ma non mi stava nemmeno vicino.
Attraversavo i corridoi sotto gli occhi indispettiti, adesso li attraverso, senza più lo sguardo di nessuno a coprirmi la pelle come vestiti. Prima stracci.
Ormai conoscono la mia pelle meglio della loro.
La maggior parte del tempo sto con mio fratello, quelle poche volte che respiriamo la stessa aria andiamo d'accordo, fin da bambini c'è lo siamo promessi. Io per lui, lui per me. Sempre.
E così è stato.
Usciamo nella stessa comitiva di amici. Quello a tirarmi fuori dai guai è sempre stato lui. È il migliore a scuola e colui che mi sgrida, dicendomi di metterci impegno sullo studio
Ma ci hanno rinunciato già gli insegnanti e il nonno, perché lui continua a non arrendersi?
Il suo obbiettivo è sempre stato quello di fuggire da qui. Paesino piccolo dell'America. Qui, a malapena vedevamo il sole sorgere e tramontare.
Ma di sicuro c'erano le voci che giravano su di noi.
"I figli siamesi, quelli abbandonati dalla gatta".
E così che ci chiamano.
Continuo comunque a non smettere di guardare la luna dal tetto di casa mia, perché se c'è una cosa che non manca mai qua è l'oscurità.
Crescendo ho imparato a leggere i sguardi delle persone, e quasi tutti, attraverso gli occhi, dentro di loro portano tanto buio, da poterci annegare dentro come un abisso.
Come guardare una mappa e osservare l'oceano, e i nostri occhi incontrano quel lato di mare così scuro da far paura, e farci mancare l'aria ai polmoni. Loro erano così. Gli uomini forse, sono peggio di quello che ci immaginiamo.
Ma non ho mai smesso di credere che nel mondo, anche un mostro, fa paura, vuole fare paura, ma anche lui un tempo, è stato debole.

Fragili come la neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora