Capitolo 8

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Per la città di Caelia erano finalmente giunti nuovamente i Kastav.
Tutti fremevano per il loro arrivo.

Chiunque era in trepidante attesa per sapere chi sarebbero state le cinque persone che avrebbero vinto i giochi.

Tutti tranne Artemis.

Era da un po' che continuava ad attanagliarlo il pensiero di Zejahar.

Non capiva cosa di lui lo facesse sentire a disagio. Magari la sua stazza, la sua altezza o bravura.
Però era consapevole che queste spiegazioni non reggevano.
Dopo tutto anche i soldati più grandi erano più robusti di lui e avevano più esperienza nell'uso delle armi.

Eppure percepiva la sua presenza più forte di quella di chiunque altro.

E il fatto che si preoccupasse per lui ogni volta che lo vedeva in infermeria lo imbarazzava.

Era come se non amasse mostrarsi vulnerabile davanti a lui.
Eppure percepiva il suo battito accelerare e l'irrefrenabile istinto di sorridere gli faceva diventare le guance rossastre.
E nonostante ne fosse pienamente consapevole, non voleva ammettere che tutto ciò accadeva solo quando Zejahar era a vista d'occhio.

Si era persino convinto che in realtà amasse le attenzioni che gli dava ogni volta che stava male. D'altronde nessuno, al di fuori di sua madre, si era mai preoccupato per lui.
Certo anche Daxys e Shij si preoccupavano per lui, ma sentiva che era diverso. Il loro rapporto era diverso.

Allo stesso tempo, però, odiava farsi vedere debole: era un soldato.
Non gli era più concesso cedere davanti le difficoltà.
Chi avrebbe protetto altrimenti il principe quando ci sarebbe stato il bisogno?

Ma quello che non riusciva a capire era quando la voglia di incontrarlo, ogni volta che poteva, fosse diventata una costante delle sue giornate.

Forse era sempre stata lì, in attesa, appena sotto la superficie della pelle, pronta a uscire nel momento opportuno, esattamente come un predatore con la sua prossima vittima.

O magari era iniziato tutto dai loro Kastav: da quando lo aveva salvato.
Quando finalmente qualcuno lo aveva notato nell'ombra di sua madre.

O ancora quando aveva sentito il suo odore così dolce da calmarlo, ma non troppo da disgustarlo, e al contempo così fresco come una primaverile in campagna.
Forse sì, era iniziato da quel giorno in spiaggia.

Ma si vergognava a passare al vaglio anche la possibilità che tutto avesse avuto inizio quanto i loro sguardi si erano incrociati per la prima volta. Nell'esatto momento in cui dava il colpo finale per terminare il duello quando ancora utilizzava delle jard di legno.
Proprio in quel momento percepì una scossa leggera, come un brivido.
Non aveva mai pensato a quell'incontro di tanti anni prima come un inizio.
Per di più pensava di aver dimenticato quel ricordo, e invece era lì, nelle profondità della sua mente, ben nascosto.

Probabilmente la prima cosa che aveva pensato all'ora, per giustificare il fremito, era che fosse incredibilmente bravo, e che voleva diventare come lui.
E infatti dopo quell'episodio aveva provato ad imparare a maneggiare le jard. Fu tutto inutile però.
Aveva un corpo troppo esile per impugnare delle lame gemelle e le lezioni con gli insegnamenti privati erano troppo costose per lui.
Ma comunque non volveva darsi per vinto, voleva essere bravo in qualcosa come Zejahar. Per questo motivo tentò con il tiro con l'arco, dopo tutto non servivano grandi qualità fisiche per scoccare una freccia e poteva facilmente allenarsi da solo nei momenti in cui non aiutava la madre con i lavori domestici.

All'inizio non era molto bravo e sbagliava spesso a mirare, eppure aveva continuato allenandosi tutti i giorni per essere almeno alla pari di Soleyl.

Non capiva, però, come mai avesse continuato con così tanta dedizione per così tanti anni, ma ogni volta che si avvicinava con una freccia al suo obbiettivo riusciva a percepire la felicità e la soddisfazione esplodergli nel petto.

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