Capitolo 2

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Irlaviani, Maresciallo Macrino Sidonia
Nave da battaglia Euribia, warp
107M42

I due idioti entrarono nello Strategium. Non voleva sapere dove avessero trovato la tenente di vascello in mezzo a loro, né voleva sapere cosa avessero fatto.

La ragazza usciva adesso da un letto, era chiaro, mentre Verdelli e Biancheri no. Avevano solo rotto le palle a qualcuno più fortunato di loro.

Aggiustandosi il colletto con i galloni neri da maresciallo, Macrino Sidonia non se la sentì di rimproverarli. Non poteva ammettere che avrebbe fatto lo stesso, almeno non a voce e non davanti al suo omologo della marina. Si limitò a far vagare lo sguardo sull'ampia sala dove si trovavano.
Un alto abside a sesto acuto, con le vetrate rinforzate in alto sulle loro teste, da cui filtravano i giochi di luce della massa warp e del vetro dipinto. Servoteschi volavano ronzando, catturati dalla debole luce verde dei tavoli olografici spenti. Era difficile ricordarsi che si trovava su un'astronave, guardando solo l'architettura.

Macrino lasciò che fosse il maresciallo Elerio a lanciare occhiatacce verso i giovani ufficiali. A ventitré anni, secondo Macrino avevano il diritto di fare qualche sgarro alle regole.

La situazione era abbastanza scocciante, e Macrino non vedeva il senso di sfogarsi con qualcuno.

«Ci siamo tutti, signor Lord Capitano» disse Macrino. La conta degli ufficiali, almeno per loro, era fin troppo veloce.

Erano una semplice unità di supporto. Un battaglione di granatieri, il che voleva dire un maggiore, tre capitani, dodici tenenti; più una compagnia di genieri, che sommavano una maggiore, due tenenti, un maresciallo e un sergente maggiore.

Quest'ultimo, in particolare, si posizionò alle sue spalle, sorridendo soddisfatto.

Macrino gli rivolse un veloce cenno del capo, Verdelli un sorriso veloce.

«Direi quindi di iniziare la riunione» disse il lord capitano Corvo.

L'uomo di mezza età si alzò dalla sedia, grattandosi l'occhio cibernetico con la protesi della mano destra; un rituale che annunciava problemi.

«Come vi è stato comunicato, siamo usciti dal viaggio warp dodici minuti fa, in risposta ad una comunicazione arrivata dalle navi dei tecnopreti» iniziò Corvo, scandendo le parole «non mi dilungherò troppo: le nostre unità sono requisite per assistere nella liberazione di Pritio Bis»

Mormorii irritati corsero tra granatieri e genieri, e perfino Macrino non contenne una smorfia infuriata.

Al contrario suo, che era un militare in carriera al servizio del Re d'Irlava, il resto degli ufficiali rispondeva ai ricchi mercanti delle gilde del Navis Nobilite; e la Gilda Marsias era stata ingaggiata per una sola missione di scorta, non per liberare un pianeta sconosciuto e dal nome difficile.

Capiva perché, col contratto già rinnovato oltre il dovuto, quegli ufficiali volessero capire che succedeva.

«Signor Lord Capitano» prese la parola Macrino «posso domandare chi ci ha "requisito"?»

Corvo sbuffò, lasciando intendere tutta la sua irritazione. Se perfino lo stoico lord capitano esprimeva il suo risentimento, la situazione doveva essere molto grave.

«La lady inquisitrice Mainyu, rappresentante dell'Ordo Xenos, richiede la nostra presenza e il nostro sostegno»

Quello fece morire qualsiasi contestazione. Nessuno poteva mettersi contro un'inquisitrice.

Tre ore dopo, Macrino era nella sua cuccetta, intento a ricontrollare i rapporti.

Dopo la spiegazione, nessuno aveva più avuto nulla da ridire; non era facile trattare con un'inquisitrice, e ancora meno con una spalleggiata, come si era capito, da varie compagnie di astartes e da un intero reggimento di fanatici religiosi.

Macrino non aveva mai sentito parlare degli Eremiti di Amesa, e solo capire il nome dei loro comandanti aveva portato via una buona mezz'ora alla loro riunione.

Non che gli altri nomi fossero più semplici; era stato fornito loro un vago resoconto di chi era in zona, pieno di gente dai nomi impronunciabili.

Il reggimento di Eremiti, comandato dall'inquisitrice e da un colonnello con fin troppe vocali nel nome; sedici reggimenti di un pianeta chiamato Tiang, con sedici diversi colonnelli e un generale dal nome strano che univa tre monosillabi; almeno i tizi del pianeta in guerra si chiamavano in maniere semplici da ricordare, cosa di cui Macrino era estremamente grato.

Infine, in zona c'erano degli astartes: un kill team della Deathwatch, al diretto comando dell'inquisitrice, due compagnie di Blood Dragons, una di Lamenters, e uno jarldom, come chiamavano le loro compagnie, di Wolfspear.

Non esattamente i primi space marine con cui avrebbe voluto lavorare.

Il tenente Atreus degli Angeli della Notte aveva assicurato che il suo capitolo avrebbe mandato rinforzi.

Quella era, a mani basse, l'unica buona notizia; gli Angeli della Notte erano spaventosi, agghindati in nero e osso, le ali di pipistrello e gli altri decori rosso sangue sulle loro armature, ma almeno li conosceva.

Avere una sorta di capitolo "personale" era una delle fortune di Irlava, pagata con i suoi Navigator.

Agli Angeli servivano persone che facessero muovere le loro navi, e reggimenti di fantaccini per assisterli nelle loro guerre; e ad Irlava, come al mondo forgia di Malapha, faceva comodo la loro potenza militare.

Lui era fermamente convinto, come la maggior parte degli altri ufficiali, che la spedizione sarebbe durata molto più a lungo, e forse conclusa in un disastro, senza di loro.

In teoria, gli Angeli non erano nemmeno tenuti a fermarsi lì, ma si erano proposti di assisterli lo stesso. Quella notizia aveva aiutato a tener buone le truppe.

Un bussare alla porta gli fece alzare lo sguardo dalle carte.

Il sergente maggiore Verdelli entrò, ogni traccia di sorriso sparita dal volto. Macrino si prese un momento per esaminarlo.

Murrio Verdelli era il classico Irlaviano: un metro e settanta, capelli castano scuro e occhi marroni, un segnetto di bruciatura faceva capolino da sotto il colletto dell'uniforme.

Non aveva nulla che rimanesse impresso, un ragazzo come tanti, che aveva firmato il contratto con una Gilda per guadagnare qualche soldo facendo il soldato.

Eppure, Macrino non se lo spiegava nemmeno lui perché, come lo aveva visto aveva capito che era perfetto come sergente maggiore.

Non si era sbagliato.

«Il reparto è stato allertato, signor maresciallo» disse Verdelli «tutti gli uomini si stanno preparando allo sbarco»

Il maresciallo annuì. Incredibile che, tre ore prima, quel ragazzo così lindo e pulito sogghignasse per aver rovinato la nottata ad una tenente sconosciuta.

«Festeggiato abbastanza, sergente maggiore?» chiese Macrino, abbandonandosi contro lo schienale della sedia.

«Mai abbastanza, signor maresciallo» Verdelli non fece trasparire alcun sorrisino, tranne che con gli occhi.

«Bene, prenderemo contatto con i reparti Tiangtiani tra esattamente otto ore standard; che tutti siano pronti, sarà forse più movimentata del previsto, perché potrebbero esserci pattuglie T'au nella bassa atmosfera. Ma il lord capitano assicura che ci farà toccare terra tutti interi»

Verdelli annuì, fece il saluto militare e uscì.

Avrebbero festeggiato. Lo sapeva lui, e lo sapevano loro, Macrino non si faceva illusioni.

Pretendere che una massa di Irlaviani, di ritorno da una vittoria, con una nuova guerra davanti, e otto lunghe ore a disposizione, non facessero baldoria fino all'ultimo momento utile era follia.

Qualcun altro bussò alla porta. Macrino sorrise.

«Avanti» disse, prendendo una bottiglia di liquore.

«Signor maresciallo» disse la Confessora della nave, sorridendo e chiudendo svelta la porta alle sue spalle.

Macrino Sidonia, maresciallo assegnato ai genieri della Gilda Marsias, sorrise.

In fondo, era un Irlaviano anche lui.

Le Guerre di Pritio - Il Dovere di un SoldatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora