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Un anno dopo le nostre vite sono completamente stravolte. L’incontro casuale avuto con Plant in quel locale ha fatto sì che dessimo il benvenuto alla nostra band: la Sad. È assurdo quanto si possa avere in comune con dei completi sconosciuti, ed è ancora più assurdo pensare quanto le vite di completi estranei possano intrecciarsi alla perfezione.
«Perché siamo qui?».
Alzo gli occhi al cielo annoiato, stizzito dalla calca di adolescenti che abbiamo attorno.
«Te l’ho già detto: è il compleanno dell’amica di mio fratello. Quei due sono come pappa e ciccia da quando erano all’asilo».
«E tu cosa c’entri con lei, scusa?».
«È come se fosse la mia sorellina. Non posso mancare al suo diciottesimo», borbotta, scostando lo sguardo altrove.
Conosco Plant. E anche se lo conosco da un anno appena, so che mi sta nascondendo qualcosa. C’è dell’altro.
«Questo posto è pieno di gente. Neanche si accorgerà se ci sei o no».
«Invece sì. Smettila di fare lo stronzo noioso e cerca di godertela. Qui dentro nessuno giudica nessuno».
Non direi date le occhiate che stiamo ricevendo. Non penso proprio che queste squadrate possano definirsi sguardi piacevolmente colpiti dalla nostra presenza solo perché il mese scorso Toxic è diventata disco d’oro.  Qui al Sud, purtroppo, la gente tende a giudicare quelli come noi peggio  di quanto riescano a fare quelli del Nord. Solo perché ci comportiamo in un determinato modo e ci tingiamo i capelli una volta al mese siamo dei tossici senza speranza.
«Frá, sei venuto davvero!».
Una ragazza bionda e probabilmente più alta di Fiks con tutta la cresta corre incontro a Plant, spalancando le braccia e mettendo su un sorriso raggiante.
Osservo il mio amico ricambiare il sorriso e attirarla a sé come probabilmente non ha mai fatto con una donna. Non penso proprio che affettuoso sia un aggettivo da poter accostare al suo nome, ma adesso che lo guardo reagire così non ne sono più così sicuro. «Pensavi che mi sarei perso il tuo compleanno, biondina?».
Ingoio in malo modo una risatina di gola, lanciandomi uno sguardo con Fiks.
Okay, seriamente… chi è questo tizio? Che ne ha fatto del vero Plant?
«Voi dovete essere Enrico e Matteo». La biondina si stacca dal capellone blu, rivolgendoci un sorriso educato e ricomponendosi subito.
«Preferisco Theø», allungo una mano per stringere la sua, sperando che il messaggio sia abbastanza chiaro e che il tono non sia troppo brusco. È sfiancante dover ripetere questa frase ogni volta in cui incontro qualcuno, ma alla fine il mio passato di merda non è certo colpa degli altri.
«Fiks», la corregge anche il mio amico, imitando il mio gesto. «I nostri nomi ci fanno sentire troppo attempati».
Non so se ridere per la stronzata che ha appena pronunciato o se rimanere colpito del fatto che uno come lui conosca la parola attempato.
«Theø e Fiks, ricevuto. Io sono Sole».
Non smette di sorridere un secondo e fa decisamente una fatica immane a nascondere il rossore sulle guance quando Plant le avvolge un braccio attorno alla vita. «Venite, vi presento le mie amiche».
Continuo a mantenere la mia maschera di pura educazione, terribilmente tentato di prendere l’uscita e cercare un albergo.
Non mi va di fare festa, stasera.
Ero così comodo seduto sul divano di casa Clemente…
«Loro sono: Aurora, Federica, Camilla e Anna».
Le quattro ragazze che ci presenta sono sedute su un enorme divanetto. Le prime due ci salutano con un cenno del capo, mentre le altre due sono intente a scambiarsi sussurri che finiscono per fare arrossire quella che ho compreso chiamarsi Anna.
«Credo che sverrà da un minuto all’altro», commenta Camilla(?), indicando la ragazza al suo fianco. «È probabilmente la vostra più grande fan», aggiunge poi per farci capire il motivo della sua precedente frase.
Io, Fiks e Plant ci lanciamo uno sguardo compiaciuto, puntandolo poi sulla diretta interessata che non ha alcuna intenzione di mantenere il contatto visivo con nessuno dei tre. Se ne sta semplicemente seduta sul divano con gli occhi infuocati puntati sull’altra ragazza che ha parlato.
Non vorrei mai essere nei panni di Camilla, quello sguardo non promette nulla di buono.
«Oddio, li conosci anche tu?».
Sole sembra quasi più orgogliosa di noi quando le rivolge quella domanda e ottiene in tutta risposta un impercettibile annuire. «Canzone preferita?».
«La Sad Italiana».
Inclino leggermente il capo, guardandola incuriosito. Non credo in molti conoscano quella canzone, e per quanto io ci abbia lavorato su e la ami con tutto me stesso, mi chiedo cos’è che faccia sì che le piaccia più di tutte le altre. «Hai buon gusto, piccoletta», commento, prima di potermi trattenere.
«Grazie», mormora, sollevandosi di scatto senza neanche guardarmi e afferrando per mano la sua – ormai l’ho capito: inseparabile – amica Camilla per trascinarsela dietro.
«Scusatela. È un po’ timida».
«Un po’ ? Cazzo, Esse, è un’asociale di merda. Ha passato le ultime due ore con il naso ficcato in uno stupido libro».
A parlare credo sia stata la ragazza di nome Federica che a quanto pare non si fa problemi a parlare male degli altri quando non sono presenti.
Detesto le persone così.
«Non essere cattiva. È introversa, a differenza nostra. Non puoi fargliene una colpa. Camilla dice che è fantastica e io mi fido di quello che dice Camilla».
«Infatti… poi io ci ho anche scambiato due parole. È simpatica», interviene Aurora – la ragazza che non aveva ancora parlato.
«Sarà…».
Seguo Fiks e Plant che si siedono su due poufs a forma di pera, cercando di non far caso alla tensione che si è appena creata.
«Eccoci!».
Camilla e Anna tornano mano nella mano, intente a ridere come se il disagio di poco prima avesse completamente abbandonato il corpo della seconda. «Cosa ci siamo perse?».
«Stronzate», risponde Aurora, lanciando un’occhiata di sfuggita alla sua vicina di posto e facendole abbassare lo sguardo colpevole.
«Giochiamo?».
Giochiamo?
Mi giro di scatto verso Plant, guardandolo male. Ho trentatré cazzo di anni, giocare non è certamente nei miei piani.
«Di nuovo obbligo o verità? Sono stanco di quel gioco stupido».
«Non è stupido». Gli punta un indice contro come se avesse appena osato bestemmiare. «Ma per questa volta ti risparmio, Clemente».
«Quindi?».
«Quindi parliamo di qualcuno o di qualcosa e ognuno di noi dovrà commentare. Chi non vuole farlo dovrà bere uno shottino».
«Io non bevo… non reggo l’alcol», interviene Anna, torturandosi un’unghia e sistemandosi incomoda nella sua seduta.
«E allora dovrai rispondere sinceramente», ritorna all’attacco la stronza Federica, apparendo più che soddisfatta da quella idea.
Le piace proprio metterla a disagio.
«Inizio io: sono attratta da uno dei presenti».
L’uscita di Sole causa uno spasmo alle spalle di Plant che solitamente non sembra preoccuparsi mai per nulla. «Anch’io», si intromette lui, facendo il possibile per mostrarsi impassibile.
«Io no», rispondono all’unisono: Fiks, Aurora, Camilla e Federica.
«Io sì». Non so quanto convenga dire una cosa simile, visto che le ragazze presenti hanno più di dieci anni in meno del sottoscritto, ma scrollo le spalle con disinvoltura, sistemandomi più comodo sul pouf, tentato di non rispondere pur di appropriarmi di uno shottino.
Ho proprio bisogno di bere.
«E tu? Attratta o non attratta?».
Anna sbatte le palpebre in direzione di Federica e del suo sorrisetto provocatorio, prima di allungare una mano verso il bicchierino posto sul tavolo e ingoiarlo in un solo colpo.
Ah.
«Non eri astemia tu?».
«Ho cambiato idea», ribatte, serrando le labbra in una linea dura e tenendo il naso arricciato – probabilmente a causa del cattivo sapore che l’alcol ha su chi non ne è un’amante.
«Cosa mi piace fare più di tutto?». Propone invece Aurora, aggiungendo subito: «A me: ballare. (E vi informo che la risposta sesso non verrà accettata)».
«Cantare», rispondono all’unisono Fiks e Plant.
«Suonare», dico invece io, ricordando quanto mi piace passare ore e ore chiuso in stanza a far dolere le dita a furia di perdermi in qualche strumento.
«Tu scommetto leggere».
La nuova provocazione di Federica rivolta ad Anna stavolta causa un’espressione infastidita a Camilla.
«Scrivere, non leggere».
La corregge infatti quest’ultima, beccandosi un’occhiataccia fulminante dalla diretta interessata.
«Davvero? Scrivere?».
«Sì. C’è in ballo una cosa grossa con una casa editrice, sai? Fra un annetto potresti vedere uno dei suoi libri in tutte le libreria di Italia. E non solo».
«Non è vero!».
«Sì che lo è».
«No, perché…». Si morde la bocca, chinando lo sguardo quando gli occhi di tutti sono su di lei. Soprattutto quelli inquisitori di quella che ho capito essere la sua migliore amica.
«Oh Cristo… hai rifiutato la proposta editoriale? L’hai fatto di nuovo?».
«Hai rifiutato una proposta editoriale?». Plant si intromette scioccato, guardandola come se fosse fuori di testa.
Se le piace tanto scrivere perché farlo? È come se noi avessimo detto di no al discografico che ha deciso di incidere i nostri pezzi…
«Non una… tre», lo corregge Camilla.
«Io l’ho detto che questa tipa è fuori di testa».
«Ah, hai detto così?».
Il tono e lo sguardo di Anna cambiano radicalmente, trasformandola in una maniera in cui non credevo avrei mai potuto vederla. È incazzata nera.
«Sì. Ho detto proprio così».
«Saperlo mi addolora. Probabilmente passerò il resto della festa, in bagno, a piangere, sapendo che mi credi una pazza».
Il sorrisetto di Federica si spegne, forse perché ha appena realizzato che la sua preda non è così indifesa come credeva.
«Pro o contro pompino?».
Fiks a sdrammatizzare fa schifo , ma almeno la sua leggerezza nel porre quel quesito strappa una risata alla pesantezza del momento. «Io pro».
«Dipende. Se la tipa usa i denti e ci va giù pesante sono assolutamente contro», borbotta Plant che per dire una cosa del genere non deve essersela vista bene.
«Ovviamente pro», mi esprimo con un ghigno, con la mente che viaggia.
Non c’è nulla di meglio di un buon  pompino.
Rispetto all’imbarazzo o alle facce schifate che mi sarei sicuro aspettato dalle ragazze, otteniamo la tranquillità di quattro pro.
Be’, direi che i loro fidanzati non avranno una vita così schifosa.
«Tu?», con un cenno del capo indico Anna, inclinando la testa e osservandola con un guizzo divertito negli occhi. «Non bevi?».
La sua espressione irritata non è ancora scomparsa, è come se i modi bruschi della sua “amica” Federica avessero risvegliato una parte di lei completamente morta.
«Perché dovrei? Non ho problemi a rispondere».
«No? Sicura?»
«Sono chiaramente pro anch’io». Mi affronta guardandomi stavolta dritto negli occhi, mettendo da parte la sua timidezza che nonostante tutto cerca di scavalcarla.
Chiaramente pro anche lei, eh?Interessante.
«E comunque: sì, sono attratta da qualcuno dei presenti», aggiunge con disinvoltura, prima di piantare nuovamente lo sguardo nel mio. «Da te».
Oh.
«Da lui?». Aurora è l’unica a parlare. Si sporge in avanti, guardando la “tipa simpatica con cui ha scambiato due chiacchiere” come se avesse appena bestemmiato in chiesa. «Ma è vecchio!».
Oh be’, grazie.
«…senza offesa», aggiunge rivolgendosi a me.
«Non mi sono offeso. Potrei essere vostro padre, è un dato di fatto».
«Ma non sei mio padre», controbatte Anna, accavallando le gambe e mettendo in evidenza le sue ginocchia piene di lividi e cicatrici.
Stringo forte le labbra, reprimendo un commento perverso. Probabilmente la bambina se li è causata arrampicandosi sugli alberi o cadendo dalla bicicletta, ma se fosse per me quei lividi se li procurerebbe a furia di stare in ginocchio di fronte al mio cazzo.
«Non preoccuparti. Non sto cercando di portarti a casa mia».
«…anche perché probabilmente abiti ancora con i tuoi», continuo divertito. «Quella che non deve preoccuparsi perché io non sto cercando di portarla a casa dovresti essere tu, piccoletta».
«Smettila di chiamarmi piccoletta».
Tiro su l’angolo destro delle labbra, non schiodando gli occhi dai suoi. È tornata timida. Bene.
«Tu smettila di esserlo».
«D’accooordo». Plant si batte le mani sulle cosce, interrompendo quel divertente siparietto. «Che ne dite di scatenarci un po’? È una vita che non entro in una discoteca».
Il primo a seguirlo è Fiks, successivamente è il turno di Sole. Aurora si solleva per rispondere al telefono, mentre Camilla lo fa per inseguire Federica e probabilmente dirgliene quattro.
Come se fossimo in un cazzo di libro io e la piccoletta rimaniamo da soli.
«Capisco il tuo giochetto».
«Di quale giochetto parli?». Inarca un sopracciglio, tirando fuori un libro dalla sua borsa e poggiandoselo sulle cosce un po’ troppo scoperte a causa del vestito che le si è sollevato.
«Quello in cui mi usi per farla pagare a quella stronza». Prendo un bicchiere vuoto per metà dal tavolo, succhiando dalla cannuccia prima ancora di chiedermi a chi appartenga o cosa contenga.
«Quello è mio», borbotta.
«Lo vedo. È analcolico», la prendo in giro.
Stringe la bocca in una linea dura, fissandomi come se avessi passato l’ultima ora a insultarla peggio di quanto abbia fatto quella Federica. «Non stavo facendo nessun giochetto. Se proprio vuoi saperlo ho una cartella che si chiama Theø nella mia galleria».
Oh.
«Non mi sembri così stupido da essere inconsapevole degli sguardi che attrai».
No. Affatto.
Piaccio alle donne… e lo so.
«Ora, però, smettila di comportarti come un uomo vissuto e restituiscimi il mio cocktail analcolico. Probabilmente sei il tipo di ragazzo a cui piace ubriacarsi, ma a me non piace affatto perdere la lucidità».
«Uomo», la correggo. «Sono un uomo, non un ragazzo».
La guardo dritta negli occhi quando con l’indice tengo ferma la cannuccia e appoggiando le labbra sul bordo del bicchiere mando giù il restante del cocktail in un colpo solo.
«Stronzo», sibila.
«Non sai quanto». Sollevo l’angolo destro della bocca, per poi allargare le gambe e allungarmi verso di lei con i gomiti posti sulle ginocchia.
«Lo vedo da me».
Solleva il mento con fare indifferente, riacchiappando il libro e aprendolo per potercisi immergere dentro.
«Ho una domanda».
Non risponde. Tiene gli occhi fissi sulle pagine che ha sotto il mento.
«Perché una ragazza che ama tanto scrivere rifiuta tre proposte editoriali?».
«Non sono affari tuoi». Stringe la copertina con un po’ troppa forza, non accennando minimamente a sollevare lo sguardo per affrontarmi.
«Sono curioso, su. Spiegamelo».
Non risponde di nuovo, stringendo più forte le labbra e facendo il possibile per ignorarmi.
«Allora?».
«Allora spiegami quali paranoie ti ha trasmesso tuo padre per indurti a sniffare cocaina».
Mi irrigidisco nel pouf, stringendole io stavolta le labbra.
«Ma vaffanculo».
«Vaffanculo tu».
Lascia perdere il libro e si dirige dal lato opposto della stanza, lì dove la sua migliore amica l’aspetta in piedi con una cera per niente bella.

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