Flashback

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La testa pulsa violentemente, costringendomi ad affondare la faccia nel materasso e a coprirmi le orecchie con il cuscino pur di attutire il suono acuto delle grida di mio padre.
«Sono stufo di te e dei tuoi stupidi capricci, Matteo! Hai diciannove anni, non sei più un bambino. Devi prendere la tua vita in mano!»
Serro le labbra in una linea dura, impedendomi di rispondere. Se avessi il coraggio di sputargli in faccia ciò che penso davvero di lui e di questa vita di merda, forse, la smetterebbe di starmi col fiato sul collo.
«E ascoltami quando ti parlo!»
Con uno strattone tira via il cuscino, afferrandomi per un braccio e obbligandomi a fronteggiare i suoi occhi scuri di rabbia.
«Ti sto ascoltando», ribatto allora pacato, appoggiandomi alla spalliera del letto e guardandolo impassibile.
Più il tempo passa, meno riesco a volergli bene.
«Non mi pare. Dove sei stato ieri notte? Sei rincasato all’alba… di nuovo.»
Metto su un sorrisetto da stronzo, imitando la sua posizione d’attacco e incrociando, così, le braccia al petto. «Ero anche ubriaco e fatto. Te lo dico nel caso dovesse interessarti.»
La sua espressione si inasprisce riempiendomi il petto di soddisfazione. Adoro fargli del male. Lo adoro perché anche lui adora farne a me. Da sempre.
«Non costringermi a sbatterti fuori di casa.»
Eccolo.
Ecco il momento che aspettavo da sempre: la piena consapevolezza di quanto poco gliene freghi di me.
«Mi stavo solo chiedendo quanto ci avresti messo». D’improvviso mi piazzo in piedi di fronte a lui, chinandomi però prima ad afferrare una sigaretta dai pantaloni che ho lanciato per terra giusto qualche ora fa.
«Non fumare in casa mia.»
«Altrimenti? Mi sbatti fuori? Non l’hai già fatto?». L’accendo sfacciato, espirando una nuvola di fumo dritta in faccia a lui.
«Sei un buono a nulla. Esattamente come lo era tua madre.»
Affronto l’ennesima pugnalata a testa alta, mantenendo vivo il mio sorriso menefreghista. Non è nulla che io non abbia già ascoltato, quindi per quanto faccia male ho imparato a sopportarlo.
«Continua pure. Amo sentirti dire quanto io sia inetto.»
Gli si scurisce la faccia.
«Se non la smetti giuro che ti mando via sul serio.»
Mi mordo il labbro inferiore per non ridere, gettando la cenere sul suo costoso e raffinato parquet.
«Forse non hai capito che questa è l’ultima volta in cui mi vedi, brutto pezzo di merda.»
Schivo in fretta la sua mano che prova a chiudermisi attorno al braccio, piegandomi a raccogliere i vestiti da terra.
«Ma dove cazzo vuoi andare, eh? Dove? Non hai un euro, non sei in grado di fare nulla, sei solo un tossico di merda!»
Sbatto furiosamente la porta alle mie spalle, rischiando di staccarla dai cardini. La sigaretta pende dalla mia bocca, probabilmente meno consumata di quanto mi senta io al momento.
Vorrei essere forte, fingere che quello che è appena successo non mi abbia toccato minimamente, invece percorro il vialetto di casa con un groppo enorme incastrato in gola e con le lacrime che traditrici mi bagnano il viso.
Non so dove andare.
Non ho veri amici su cui contare.
Non ho più nulla.
Sono solo, di nuovo.
Sono solo con un bagaglio carico di debolezze, insicurezze e rabbia repressa.
Sono solo con questa fragilità che mi riconduce ogni volta nel tunnel della droga.
Sono solo con la mia paura di vivere, con quest’ansia incontrollabile che mi fa desiderare di farla finita da un minuto all’altro.
Se morissi non importerebbe a nessuno. Se me ne andassi, forse, metterei fine a questa guerra interiore con cui sono costretto a fare i conti da troppo tempo, ormai.



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