Primo capitolo: Ricordi sotto le stelle

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Era una serata estiva, appena rischiarata dalla fine della pioggia.
Il dolce profumo di asfalto umido penetrava dalla finestra socchiusa.
Mentre il cielo si schiariva lentamente, svelando una luna timida tra le nuvole.

Chiusi il libro che stavo leggendo e mi preparai per la cena.
Con destrezza, legai i capelli ramati in uno chignon disordinato, optando per un outfit casual composto da jeans chiari e una camicetta rosa pallido, ideale per la tiepida serata.
Infine, calzai un paio di sandali comodi.

Scesi le scale con passo deciso, il rumore delle suole che sbattevano leggermente sul legno delle scale riempiva la tranquilla atmosfera della casa.
Entrai nel soggiorno, trovando mio padre assorto tra gli appunti del suo block-notes di pelle, mentre mia madre parlava al telefono, con voce troppo alta.
Appena mi notò, mi passò il cellulare con un sorriso compiaciuto.

Sbuffai leggermente e salutai la nonna con una chiamata di routine, scambiando convenevoli e aggiornamenti sulla giornata.
Poi la salutai passando il telefono a mia madre che lo posò sul bancone della cucina, concludendo la telefonata.

"Sì, è logorroica, ci ha messo cinquanta minuti solo per dirmi che il panificio nella sua via ha cambiato gestione", mia madre sospirò, mentre mio padre si avvicinava e la abbracciava affettuosamente da dietro.
Entrambi ora rivolti verso di me mi guardavano con occhi amorevoli.

"È sola, ha solo voglia di parlare, cara", disse mio padre, stringendo le mani di mia madre con dolcezza, posando poi un tenero bacio sulle sue labbra.
"La nostra bambina", aggiunse, guardandomi con fierezza, prima di darmi un bacio sulla fronte.

Chiedendo pietà, mi allontanai e domandai cosa ci fosse per cena.
Mia madre spalancò gli occhi come se si fosse appena svegliata da un incubo.
"La cena!", urlò, correndo verso il forno.
Quando lo aprì, ne uscì una nuvola nera.
Mio padre corse a spalancare le finestre del salotto e della cucina.

"Vorrà dire che vi offrirò una pizza", disse mio padre, prendendo un golfino indaco e legandoselo attorno al collo come un mantello, poi ci aprì la porta, invitandoci a uscire per la cena.
Mia madre, uscendo, gli posò una mano sul petto e gli diede un bacio affettuoso, mentre lui ricambiò accarezzandole la schiena.
Ci incamminammo verso la pizzeria in piazza di Crometta, il nostro piccolo paese.

La piazza,  cuore pulsante del nostro piccolo paese, si presentava con un'atmosfera accogliente.
Le pietre a ciottoli creavano un pavimento rustico, circondato da affascinanti abitazioni e negozietti che ne completavano il fascino tipico del paese.
L'edicolante stava chiudendo le serrande, salutando a gran voce un anziano che pedalava verso l'osteria del paese, da cui si diffondeva un invitante profumo di brace e sugo di carne.

Due signore, sedute ad un tavolino, sorseggiavano del vino rosso, scambiandosi confidenze sulla loro vita amorosa.
Mia madre, affacciata alla scena, alzò un sopracciglio sorpresa e scambiò una risata complice con mio padre.

La pizzeria si trovava poco dopo il mio ufficio presso la biblioteca comunale, un luogo che avevo imparato ad amare nel corso degli anni.
Nonostante fosse tristemente poco frequentata, rappresentava per me un viaggio nel tempo ogni volta che varcavo la sua soglia.

"Gabriel, che bello vedervi tutti insieme, siete qui per cenare?" chiese il proprietario della pizzeria, con una sigaretta accesa tra le dita, piantato all'ingresso.
"Sì, decisione dell'ultimo minuto," rispose mio padre con un sorriso, guardando mia madre che rispose con una smorfia.
"Hai posto per noi?" chiese.
"Assolutamente, dove preferite" rispose il proprietario, aprendoci la porta con cortese ospitalità.

Terminata la cena, decidemmo di gustare un digestivo all'osteria.
Sui tavoli all'esterno, delle candele danzavano nell'aria, illuminando il cortile con la loro fiamma arancione.

Mentre sorseggiavamo un liquore alla cannella, udii una madre rimproverare la figlia di smettere di correre tra i tavoli, altrimenti sarebbe arrivato Malachia a portarla via.
Quel nome mi riportò alla mente un ricordo.

"Mamma, ti ricordi la storia che mi raccontavi da piccola? Del regno di..." dissi, cercando di ricordare.
"Astramora, lo adoravi da bambina," disse mia madre, guardando la bambina con aria malinconica.
"Non ricordo come finiva però, lo abbiamo ancora a casa?" chiesi.
"Sì, da qualche parte," rispose, sorseggiando il suo liquore.
"Ricordo quel libro, te lo aveva regalato la signora delle pulizie, era di suo figlio se non sbaglio," aggiunse mio padre, e mia madre annuì.
"Ricordate l'autore?" chiesi, cercando riferimenti online con il cellulare.

Mia madre e mio padre scossero la testa, le mie ricerche furono vane.
Decisi di ripensarci un'altra volta e terminammo la serata tra risate e ricordi della mia infanzia.
Ai miei genitori piaceva particolarmente ricordare la mia pre adolescenza, prendendosi gioco dei miei bizzarri tagli di capelli e dei miei esilaranti momenti di ribellione.

"Buonanotte, tesoro," dissero i miei genitori mentre andavano a dormire.
Io non riuscivo a prendere sonno, così decisi di rimanere in cortile, sotto il cielo stellato, con i piedi nell'erba fresca mentre ascoltavo una canzone alla radio a basso volume, cercando un compagno invisibile per i miei pensieri.

Il ricordo del libro non mi abbandonava.
Ripensai ai sogni, alle avventure nel cortile mentre immaginavo di lottare contro i piccoli goblin verdognoli per liberare la regina Rhea intrappolata nelle segrete.
Il non ricordare il finale mi logorava la mente, ma dopo un paio d'ore a fissare le stelle decisi di non pensarci più.
Ero consapevole che non avrei mai ricordato il finale ed era giunta l'ora di dormire.

Chiusi la porta del cortile, mi rintanai in camera mia e mi addormentai rapidamente.

"Ariadne, sei tornata? Abbiamo ancora bisogno di te," mi svegliai con il cuore in gola.
La voce sembrava provenire dalla mia camera, dalla mia mente, dal mio sogno.
Sospirai profondamente e presi un bicchiere d'acqua, cercando di riportare la calma dentro di me.
"Troppo liquore," mi dissi, rimettendomi a dormire, con molta fatica.
Ma quella notte non dormii affatto bene.
I sogni si trasformarono in una tormenta di nubi nere, cavalli dagli occhi infuocati e urla di terrore.
Qualcosa mi stava tormentando, ricordi che tentavano di riemergere nella mia mente. Prepotentemente, desideravano riportarmi alla mente qualcosa.
"Cosa" mi chiesi insistentemente mentre le luci del mattino invadevano la mia stanza, lasciandomi con un senso di inquietudine palpabile.

Astramora: il richiamo delle stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora