Sesto capitolo: Scelte e disaccordi

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Mi svegliai dopo una notte di sonno rigenerante; la stanza era umida ma tiepida, il che rese i miei capelli ingestibili come mai prima; quasi urlai guardandomi allo specchio.
Nonostante la giornata passata, non mi sentivo così fuori posto in quel luogo;
aveva un che di magico e calmante, il tempo all'interno della grotta sembrava fermarsi.
Mentre cercavo degli abiti per la giornata all'interno dello zaino, qualcuno bussò alla porta. "Buongiorno," disse la cameriera mantide.
"Buongiorno," risposi mentre entrava nella mia stanza con un vassoio.
Su di esso una tazza con all'interno un composto torbido e scuro, delle palline simili a polpette con strani pezzi rossastri al centro di un piattino e un giglio arancione, con piccole sfumature gialle e celesti.
"Grazie, ma io non ho ordinato la colazione," dissi mentre posava il vassoio sul tavolino accanto alla poltrona.
"Infatti, è un pensiero da parte del belloccio in armatura di ieri sera," disse facendo l'occhiolino prima di lasciare la stanza, ondeggiando con i fianchi.
"Scusa?" dissi camminandole in contro a passo svelto.
"Che ti ha detto?" chiesi con troppa enfasi sentendo le guance arrossarsi.
Lei prese a girarsi una ciocca di capelli tra le dita e sorrise come se sapesse un segreto che le stava per uscire dalla punta della lingua; la guardai spalancando gli occhi in segno di supplica. "Quanto mi dai?" chiese allungando la mano, aspettandosi una mancia.
"Non ho soldi con me," risposi sinceramente; lei sbuffò e andò via, scendendo nella rampa di scale che conduceva alla locanda.
Tornai in camera e annusai l'intruglio fumante.
Ci infilai il mignolo e lo portai alla bocca; il sapore di funghi mi invase le papille gustative.
"No, di prima mattina no, i funghi no," dissi sottovoce correndo in bagno trattenendo i conati. Solo l'idea di dover assaggiare quelle strane polpette mi faceva paura, ma saltando sul posto per darmi coraggio, ne infilai una in bocca e masticai rapidamente senza pensarci.
Con mia grande sorpresa, erano abbastanza buone; avevano un intenso sapore di petali di rosa che li rendeva un po' nauseanti, ma tutto sommato mangiabili.
La porta bussò un'altra volta, e quando l'aprì, Rhea entrò nella stanza camminando nervosamente.

"Dobbiamo andare a Ignis," disse con tono imperativo e nervoso.
"No, dobbiamo andare ad Astramora," le ricordai canzonandola mentre riprendevo a sedere sulla poltrona, osservando fuori dalla finestra gli abitanti camminare, tutti diversi e con caratteristiche estremamente affascinanti.
"Allungheremo un po' la strada è vero, ma lì c'è mio figlio, non lo vedo da vent'anni, era solo un bambino," disse tentando di impietosirmi.
"Rhea, sono qui per aiutarti, ma per farlo dobbiamo prima sconfiggere Malachia, e allungarci la strada potrebbe essere la scelta peggiore. Everard ha detto che ci sono rivolte, non è prudente andarci," risposi esponendo chiaramente il mio dissenso.
"Ho deciso Ariadne, ora usciamo, Elysium ci attende," ordinò Rhea facendomi innervosire.
"Non mi interessa! Io non sono qui per fare una scampagnata, abbiamo un compito e vorrei portarlo a termine quanto prima," ribadì seria alzandomi in piedi.
"Ragazzina insolente, tu non decidi proprio nulla," rispose Rhea con aria velenosa e un'espressione accigliata.
"Io non decido niente da un bel po' e mi è fin troppo chiaro, ma se vuoi andare a Ignis a rischiare la vita inutilmente, fai pure, io andrò ad Astramora," mi impuntai.
"Ah sì? Molto bene, allora arrangiati a trovare la strada," rispose con rabbia, uscì dalla stanza sbattendo la porta e se ne andò.

Ero sola, in una terra che non conoscevo, e quel poco che avevo vissuto mi impregnava le ossa di rabbia e paura.
Sospirai, dalla rabbia e dalla frustrazione.

"Molto bene," dissi, ripetendo le parole della regina.
Mi alzai con uno scatto, strinsi i lacci degli stivali ben saldi, presi il mio zaino e abbandonai la stanza.

Mi avvicinai al bancone della locanda, sperando di non dover saldare alcun conto, anche perché non avevo nulla per poterlo fare.
"Scusa," chiamai la ragazza mantide senza dare troppo nell'occhio.
"Ciao dolcezza, sei in partenza?" chiese con un gran sorriso.
"Temo di sì, spero di trovare la strada," affermai con sconforto.
"Astramora è molto distante?" chiesi.
"Astramora? Accidenti, che hai fatto di male per essere stata convocata?" domandò con un'espressione sconvolta, le sue antenne si muovevano in modo buffo, captando i vari rumori.
"Niente, devo incontrare una persona. Non ho soldi per pagare la stanza, la mia accompagnatrice mi ha lasciata sola e non so..." tentai di finire la frase, ma mi bloccò.
"È tutto saldato. Senti, mi sentirei una stronza a lasciarti andare via così, da sola e senza sapere la strada. Tra poco finisco il mio turno, aspettami qui, ti accompagno da Elysium, lei saprà aiutarti," propose gentilmente, facendomi pensare che fosse strana tanta gentilezza dopo la tentata corruzione di poco prima.
"Oh, non è necessario, troverò un modo," dissi, ma nell'istante in cui mi voltai mi pervase un odore rancido.
La ragazza mi afferrò la spalla e tenne gli occhi fissi sui miei, come a volermi dire qualcosa senza poter parlare, poi spostò lo sguardo indicando la porta e scosse la testa facendo segno di non farlo.

"Ecco i miei clienti preferiti," disse con un grande sorriso, rivolgendosi a un gruppo di creature simili a orchi, altissimi e corpulenti, alcuni dalla pelle verde scuro, altri sfumavano in tonalità dal rosso al viola, almeno cinque.
Avevano grosse zanne che uscivano dalla bocca, con modi poco cortesi fecero volare dalle proprie sedie alcuni clienti prendendo il loro posto al tavolo.

"Vespera, portaci da bere, bellezza" disse uno di loro mentre la loro puzza rendeva soffocante l'aria della locanda.
"Ma certo, non vi vedevo da un po'. Sono felice siate tutti interi," disse, servendogli boccali stracolmi di una sostanza arancione torbido.
"Te sai come farmi felice. Siediti qui, è tanto che non ci intratteniamo in compagnia di una bella donna," disse uno di loro con sguardo languido, mentre un rigolo di bava giallastro gli usciva dalla bocca, scivolando dalle zanne.
"Vorrei molto, lo sapete, ma il capo ha bisogno di me. Nessuno serve lo stufato meglio di come faccio io," disse, tornando dietro al bancone voltandogli le spalle, i loro occhi fissi sul suo corpo come un cacciatore fissa la preda.
Loro risero bevendo e facendo un baccano tremendo, come se quel luogo fosse di loro proprietà.

"Nereliti, combattili o tieniteli buoni," mi disse in confidenza Vespera, avvicinando la sua guancia alla mia, nascondendo la bocca tra i miei capelli per non essere ascoltata.
"Sono in tempo per accettare il tuo aiuto?" chiesi dopo aver visto la portata di quegli orchi.
Lei annuì e mi allungò un grembiule logoro.
"Dammi una mano, darai meno nell'occhio che con quello zaino. Mettilo sul retro."
"Come ti chiami?" chiese con un sorriso gentile mentre mi allacciava il grembiule alla vita.
"Ariadne," risposi con un sorriso.
"Due al prezzo di una, ora sei libera per venire con me," disse uno degli orchi avvicinandosi al bancone.
Quasi non vomitai dall'odore, ma riuscii a trattenermi.
"Anche lei non è male, Thorne!" urlò, chiamando l'amico.
"Rossa, come quella ballerina bollente di Ignis," ridacchiarono.
"Non era più così bollente quando ho finito con lei," disse, mimando il gesto di spezzare qualcosa.
Guardai preoccupata Vespera ancora accanto a me.
"Come ho già detto, stiamo per andare via e dobbiamo fare un sacco di cose questo pomeriggio, quindi..." disse Vespera, afferrandomi la mano e trascinandomi dietro la porta del magazzino.

"Sono tutto muscolo senza cervello, e per muscolo intendo quello," disse, ridacchiando.
"Perché, tu...?" domandai con aria preoccupata, guardando la sua stazza.
"Per tutti gli astri, no!" disse, imitando il gesto di rimettere.
"Però stai attenta. Uno di loro conserva il mio braccio per trastullarsi, una cosa abominevole," disse, mostrando il braccio robotico che le sostituiva quello staccato.
La guardai terrorizzata e preoccupata per la sua incolumità, e anche per la mia.
"Non ti preoccupare, solo, stai attenta," mi rassicurò.
"Voi due che state facendo?" chiese un uomo dalla schiena corazzata e dai colori cangianti.
"Capo, dobbiamo andare," disse Vespera, filandomi il grembiule e spingendomi fuori da un'uscita sul retro.
Lei fece lo stesso, prendendo il mio zaino da terra.
"Elysium dove si trova?" chiesi, più sollevata e riuscendo finalmente a respirare aria pulita, per quanto possa esserlo in una grotta.
"Dobbiamo scendere ancora un po'. Lei non viene mai in superficie," disse, camminando alle mie spalle.

Le stradine che percorrevamo erano strette, sbattevo le spalle sulle pareti di roccia e sembravano stringersi sempre di più.
Il buio mi impediva di camminare rapidamente e un senso di claustrofobia mi faceva tremare le gambe.

"Ci siamo, gira a sinistra, alla prima porta," disse Vespera indicandomi la strada.
Svoltai e aprì la porta come aveva indicato.
Una rampa di scale a pioli sembrava condurci al centro del pianeta.
La guardai sperando in uno scherzo.
"Dai, scendi," disse ridacchiando leggera.

Un passo dopo l'altro, reggendomi con le mani, scesi per quelle scale almeno mezz'ora.
Quando intravidi una luce sotto ai miei piedi, una meravigliosa luce viola e azzurra ondeggiare come una segreta aurora boreale.
Finalmente poggiai i piedi per terra; il caldo era tale che mi girava la testa.

"Siamo qui per vedere la regina Elysium," disse Vespera alla guardia con quattro file di occhi e delle tenaglie al posto della bocca.
Questa si voltò battendo la spada che teneva tra le mani sulla porta circolare alle sue spalle.

"Attente ai piccoli," disse con voce graffiante.
Vespera avanzò e la seguì, osservando con curiosità quella strana creatura circondata da minerali che riflettevano la luce di alcune torce infuocate.

Astramora: il richiamo delle stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora