Quarto capitolo: Il risveglio dell'erede

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Quella notte, lottai per trovare il sonno, nonostante la stanchezza che mi avvolgeva la mente.
Il pensiero di ciò che stavo vivendo mi tormentava senza tregua.
Il tepore della stanza e lo scoppiettio del legno nel caminetto mi offrivano un flebile conforto. Cercavo rifugio nel sogno del mio ritorno a casa, ma la crudele ombra di Malachia mi ossessionava.
Mai avrei immaginato di essere coinvolta in un'avventura tanto grande e pericolosa.
Ero inerme, io che fino alla mattina precedente pensavo solo a lasciare la mia stanza in ordine. Dovevo ora affrontare il tiranno e le sue oscure minacce.
Finalmente, con l'alba che filtrava dagli spifferi della tenda, chiusi gli occhi nella speranza di trovare un po' di pace.



*

"Ariadne, sveglia." La voce di Farath, tagliente come una lama, mi strappò dal sonno.
Accanto a me, sentii il suo tocco delicato sulla spalla, cercando di farmi riprendere piena coscienza.
Mugolai, gli occhi pesanti per una notte di pianto e le gambe indolenzite per la marcia sulla neve.
"Ti ho portato qualcosa da mangiare," disse, indicando un vassoio di cristallo posato sul comodino accanto a me.
Annuii in segno di ringraziamento.
Lei non si allontanò, rimanendo accanto a me con un'espressione curiosa.
"Sembri non aver dormito molto," osservò con tono preoccupato.
"In effetti, è così. Devo ancora metabolizzare tutto ciò che è accaduto," confessai, sedendomi sul bordo del letto e osservando ciò che il vassoio conteneva.
"Lo posso capire... in verità no, io sono nata qui e non mi sono mai allontanata. Non posso immaginare il dolore e il senso di smarrimento che stai provando," disse, cercando di rincuorarmi.
"Lo apprezzo," risposi con un sorriso di gratitudine.
"Cosa sono quelli?" domandai, indicando una ciotola coperta sul vassoio.
"Quelli sono Munkis, quelli che voi sulla terra chiamate muschio. Immagino non abbiano lo stesso sapore che sulla terra, ma qui è un piatto davvero ricercato, ricco di vitamine," disse, sollevando il coperchio e lasciando uscire un aroma terroso e acidulo.
Arricciai il naso dal disgusto. "Voi mangiate il muschio?" chiesi, sperando di mascherare il mio dissenso.
Lei annuì soddisfatta.
"Certo, è ottimo. Assaggialo," disse, porgendomi un cucchiaio.
Lo afferrai e iniziai a mescolare quella poltiglia simile all'insalata rimasta sul fondo del lavello dopo aver lavato i piatti.

Deglutii la saliva e, trattenendo il respiro, mi imboccai senza pensarci ancora.
Il sapore che mi rimase in bocca fu una vera rivelazione: acidulo, dolce, saporito.
Ne presi altri cucchiai sotto lo sguardo soddisfatto di Farath.
"Vedo che hai gradito," disse compiaciuta mentre riponevo la ciotola svuotata sul vassoio.
Lei la raccolse e, nel farlo, mi sfiorò la mano.
"Ahi," dissi al contatto della mia pelle con la sua.
La sensazione di toccare il ghiaccio con le mani umide, mi sembrò di essermi strappata la pelle.
"Perdonami, non volevo farti male," disse, saltando un passo indietro per allontanarsi da me.
"No, scusami tu. Non volevo spaventarti, è che... sei molto fredda," dissi, cercando di trovare le parole adatte.
Lei sorrise imbarazzata.
"Grazie," rispose, come se le avessi fatto il complimento migliore che potesse ricevere, e con aria sognante lasciò la stanza.

Dopo essermi rivestita, entrai nel salone centrale dove Rhea e Talana conversavano, guardando grandi mappe cartacee e spostando cristalli su di esse come a segnare un percorso.
Quando mi videro, si fermarono e notai Rhea sorridere; giurai di vedere un sorriso sbucare anche da sotto la maschera di Talana.
"Ben alzata," disse, facendomi cenno di sedermi al tavolo accanto a loro.
Guardai intorno e notai che davanti ad ogni tenda una Neviana restava immobile in attesa di ordini, con il volto serio.

Mi avvicinai al tavolo e mi sedetti accanto a Rhea, sul pavimento coperto di tappeti e morbidi cuscini adornati da tessuti ricamati da fiori e damascature dai colori caldi.
"Appena sarete pronte, vi consiglio di procedere verso Fossavita. Attraversando le caverne, passerete inosservate alle sentinelle di Malachia; non si azzardano ad inoltrarsi nelle caverne," disse Talana, con tono solenne.
Rhea sembrava preoccupata.
"Di quante sentinelle stiamo parlando in questa regione?"
"Un centinaio, divise in decine per alcuni chilometri. Attraversando la foresta, dovreste evitarne una buona parte, ma si spostano rapidamente. E prestate attenzione, gli alberi comunicano la vostra presenza," rispose Talana, mettendoci in guardia.
"Anche loro? Chi non è riuscito a corrompere?" chiese amareggiata Rhea.
"Sei mancata molti anni, amica mia. Molti hanno perso la fede," disse, tentando di spiegare le ragioni dei popoli. Rhea abbassò la testa ed annuì.
"Come possiamo difenderci?" chiesi, cercando di sviare il discorso.
"Sai lottare?" domandò Talana.
La mia risposta fu negativa.

Talana batté uno zoccolo a terra, richiamando all'attenzione una Neviana alle sue spalle.
"Vai con Ariadne al campo e insegnale a difendersi," ordinò con tono severo Talana, guardando con disappunto Rhea.
"Non era tenuta ad imparare, è una bibliotecaria," la ribatté Rhea, nel tentativo di prendere le mie difese.
"Non ti preoccupare," dissi, poggiando una mano sulla sua spalla mentre mi alzavo dal mio posto e seguivo fuori dalla tenda la Neviana che mi faceva strada.
"Non ho intenzione di morire qui. Imparerò quanto più possibile," terminai, uscendo dalla tenda.
Notai un sorriso soddisfatto sulle labbra di Rhea, poi sentii Talana rimproverarla, che venne rimessa al suo posto in un'istante, ricordandole con chi stava parlando e che lei non si sbagliava mai.

Ci allontanammo, lasciando la tenda alle nostre spalle, e seguii silenziosamente la donna che procedeva con passo sicuro tra la neve.
Dalle strade laterali, gli abitanti guardavano incuriositi dalla mia presenza, chiedendosi chi fossi e perché mi trovassi lì.
Il loro chiacchiericcio riempiva l'aria, come una tarma che mangiava il legno.
Un bambino dai capelli neri mi lanciò una pallina di cuoio; mi piegai e la afferrai tra le mani, porgendogliela con un sorriso gentile.
Lui sorrise e prese la pallina, nascondendola dietro la schiena mentre mi fissava con un'espressione curiosa.

"Chi sei?" balbettò, mangiandosi le esse.
Sorrisi e risposi: "Ariadne."
La madre del bambino lo richiamò, scusandosi per il disturbo.
La tranquillizzai con un gesto e ripresi a seguire la Neviana tra le vie della città.
Si fermò accanto a uno stabile in legno e aprì la porta, facendomi entrare.

Varcai la soglia e mi trovai in una stanza vuota e buia, con al centro una pista che ricordava quella in cui andavo a pattinare da bambina con i miei genitori.
Lei si avvicinò a una bacheca e prese delle armi, spade lunghe e corte.
"Scegli," disse con tono serio.
Afferrai quella dalla lama più lunga, e quasi mi cadde dalle mani per il peso; lei sorrise divertita.
"Forse è meglio iniziare con questa," mi disse, porgendomi una spada dalla lama più sottile e leggera.
Annuii e riuscii ad impugnarla con più facilità.

Mi condusse al centro della pista e mi indicò come posizionare le gambe, come tenere le spalle e le braccia.
Infine mi mostrò come muovere la spada, tracciando dei cerchi con la lama, e io la imitai concentrandomi.
Ripetemmo diverse volte, poi fece scoccare la spada con la mia, che mi cadde al suolo.
Mi abbassai per raccoglierla e puntò la sua lama sulla mia spalla, toccandomi il collo.
"Mai abbassare la guardia," mi rimproverò.
Spaventata, d'istinto cercai di afferrare la lama con le mani.
Lei urlò, rimproverandomi di rischiare di tagliarmi le dita.
Mi sentivo inutile, "Io non sono fatta per questo mondo, perché io? Io non ho nulla a che vedere con questo," sbottai piangendo.

Lei provò pietà per me e si inginocchiò guardandomi con i suoi occhi violacei, "Ariadne, tu fai parte di questo mondo tanto quanto me. Se la regina fantasma... se Rhea, volevo dire, pensa che tu sia la prescelta, è così. Deve essere così," disse sicura.
"Devi solo esercitarti, e io sono qui per aiutarti," concluse con tono amorevole.
Annuì asciugandomi le lacrime con la pelliccia della mia manica, riafferrai la spada e con grinta la feci oscillare, tracciando un otto perfetto.

Lei annuì soddisfatta.
"Molto bene, non arrenderti," disse, colpendo la mia lama, che questa volta rimase salda tra le mie mani.
Toccai la sua, poi un'altra volta, e un'altra ancora.
Mi insegnò a parare i colpi, e mi sembrava di capire, sempre più rapidamente.
"Mi chiamo Nymeria," disse presentandosi.
"Molto piacere, e grazie per la pazienza," dissi con riconoscenza.
"Dovere," rispose fiera.
"Andiamo, Talana ci starà aspettando," disse, concludendo l'addestramento e riprendendo la mia spada.
Annuì e uscimmo dall'arena, dirigendoci alla tenda.

Al nostro ritorno, Nymeria informò Talana sui nostri progressi mentre Rhea annuiva compiaciuta.
"Quando partiremo?" chiesi, intromettendomi nella conversazione.
"Questa notte, al tramontare del sole," disse Rhea, con convinzione.
Annuì e tornai nella mia stanza per riposare in vista della partenza.

Sul letto un completo per il viaggio, lana chiara e una pelliccia bianca da indossare sopra per mimetizzarmi nella neve il più possibile, impresa che ritenevo impossibile visto il colore ramato dei miei capelli.
Ai piedi del letto degli stivali in cuoio e una spada con incisa una frase -All'erede di Astramora.- Firmato Farath. 
Sorrisi riconoscente, poi mi sedetti davanti al caminetto acceso e notai un pacchetto avvolto in un fazzoletto rosso, lo aprì incuriosita. 
Al suo interno una focaccia dall'odore dolce, la spezzai in due e all'interno uscì un liquido denso come il miele, ne diedi un morso, mi sembrò la cosa più deliziosa dell'universo, ne presi un'altro morso, poi lo richiusi promettendomi di conservarlo per il viaggio. 

"E' quasi ora" disse Rhea entrando nella stanza, mi voltai verso di lei e annuì. 


Astramora: il richiamo delle stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora