impronte di cotone

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Mi rigiro tra le lenzuola, cercando la posizione più adatta affinché Morfeo possa cullarmi tra le sue braccia. Sento i ricci appiattirsi contro il cuscino caldo. Lo rigiro, sperando l'altra faccia possa darmi pace in questa notte afosa di fine luglio.

Non trovo pace, non riesco a dormire senza guardarti. Senza che il movimento del tuo petto si coordini al battito del mio cuore. Senza che i fischi emessi dalla tua bocca socchiusa mi arrivino ai timpani come sinfonie d'amore. Non riesco a dormire pensandoti mentre ti dimeni per un brutto incubo, sul letto di un altro, che forse sa consolarti meglio di me al risveglio, ma che non è me.

Guardo lo spazio vuoto accanto a me, l'eccessiva stanchezza mi illude che tra quelle lenzuola ci sia un solco. La tua sagoma, come una sindone, lasciata prima che ti dirigessi in cucina a bere un bicchiere d'acqua. Quel solco c'è, me l'hai lasciato dentro, ma io non riesco più a spianare l'impronta che hai lasciato. Ad ogni mio tentativo, essa diventa più profonda e graffia sempre di più il mio petto, che ora chiama il tuo nome invano.

Cerco riparo sotto le lenzuola, come qualsiasi bambino si protegge dalle minacce immaginarie dell'infanzia. E proprio sotto queste lenzuola mi illudo che i fantasmi del passato non possano toccarmi. Che la paura del tuo amore non venga a reclamare giustizia. Che il tremore causato dal tuo bacio non mi faccia cedere le gambe. Che il tuo sguardo deluso non mi accechi definitivamente.

Ogni volta che mi rifugio sotto questo sudario prego che il tuo fantasma, mio Simone, mai venga a tormentarmi. Perché è nelle due ore di sonno che accumulo ogni notte che mi illudo di non essere stato il mandante del brutale assassinio del nostro amore.

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