(in)certezza

196 16 0
                                    


questo passo è vagamente ispirato alla poesia Certezza di Antonia Pozzi, recitata da Manuel nella seconda stagione.

Mi accarezza la spalla con la pretesa di un'amante. Mi parla all'orecchio con una voce presa in prestito.

Distendo le gambe su quel manto soffocante, testimone di un'unione a cui non so trovare un nome. In prospettiva, i piedi fendono l'aria verticali, allontanati dal suolo che un tempo mi rendeva partecipe di una calpestabile certezza.

Mi sorride con labbra che non sanno baciare. Mi guarda con occhi che non sanno vedere.

Fisso quel libro aperto sul mio petto. Cerco tra le pagine quella che non mi hai mai letto. E rimango stupito dinanzi alla realizzazione che per troppo tempo, a fatica, non abbiamo mai parlato d'amore.

Foto e quadri nella stanza mi portano a boccheggiare, abituato all'asetticità dei rapporti umani. Fisso un punto al centro, il più vuoto che ci sia, ma non riesco a spiegarmi perché su quell'intonaco io veda la tua faccia.

Qualcuno l'ha dipinta per me, per ricordarmi di quello che eri. Sposto lo sguardo su di lei e non faccio che pensare al nostro ieri.

Fingo un sorriso per destarmi dalla mia dannazione, quella di non riuscire a volermi bene come tu vorresti che facessi.

Cadono dai tuoi occhi granelli di sabbia, scivolano nell'imbuto della clessidra che mi attanaglia. La tengo salda in mano, non per mia volontà. È il tempo che come un ladro ti ruba dei tuoi averi e poi se ne va.

Scandisci il tempo del quale mi vuoi rendere partecipe, obbligandomi a seguire quel ritmo che in me continua a rallentare. Sono troppo occupato a gestire gli spasmi del mio cuore, l'unico essere umano che è riuscito a domarne l'involontario movimento.

Se ti guardo dentro vedo la casa che ho sempre sognato, ma quando da quella casa hai deciso di andartene proverai sempre vergogna nel ritornarci. E sono giù, fuori dal cancello del nostro giardino, che guardo nuovi inquilini riscaldarsi nel calore di quel nido.

Stanno ballando, vedo le loro ombre spalmarsi sulle pareti. Li vedo affiatati e immersi in quella danza d'amore. Ma sono ombre, che allo spegnersi della fiamma si appiattiranno nel buio.

E io del buio ho paura. Perché è buio in una casa nuova, della quale non conosco le stanze e gli ostacoli che le addobbano.

È il buio di quando ti sono entrato dentro, approfittando della dolcezza con cui me l'hai permesso. Il calore che ho percepito mi ha fatto perdere la concentrazione sul battito del mio cuore. Ora ha ripristinato il suo ribelle movimento.

Ma è buio, e non conosco le stanze del tuo essere e le corde che ne formano l'intreccio. E sono troppo imbranato per calpestare la Terra Santa dentro di te. Ho paura di inciampare nelle mie incertezze e danneggiare ogni reliquia di quell'abitazione.

Mi sono sempre chiesto cosa ci fosse di sbagliato in me, ma ho campato tutto questo tempo relegando quegli sbagli in te.

Sono troppo codardo per ammettere che il tuo amore mi ha travolto l'esistenza, e mi illudo che sia meglio vivere in sua assenza. Il bruciore delle tue labbra mi ha gettato tra le fiamme eterne della paura irrazionale.

La paura di dare ascolto a un cuore che per istinto di sopravvivenza è stato soggiogato alla testa. È sempre stato il cervello l'organo involontario, il suo battito scandito da certezze che ho impiegato anni a memorizzare.

E scusami se non riesco a fare a meno di quello che ho costruito da solo, ho paura che questo possa crollare dopo un tuo potenziale addio. Scusa se per me è fondamentale crogiolarmi nell'incertezza delle mie certezze, per sfuggire alla consapevolezza che hai instillato in me. Quella che mi martella ricordandomi che se fossi più coraggioso potremmo essere un noi, io e te.

Fisso quel punto quasi vuoto nella stanza, il sudore bagna i fogli aderenti sul petto. Lascio che quelle parole mi si tatuino addosso, mentre mi illudo che quella scena sia il giusto compromesso per un'anima che non sa stare al mondo.

Mi ascolta con le orecchie di chi non sa sentire. Mi apre la porta con le movenze di chi non sa ospitare.

Ti vedo dappertutto, nei fari, nell'erba. E mi fingo contento, accontentandomi del tuo ritorno in ogni gesto della natura, e ripromettendomi che un giorno, che sia in questo o un altro universo, il mio cuore possa avere la meglio sui demoni sguinzagliati dal mio dolore.

miscellanea - simuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora