e poi una pacca sul petto

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Amore mio, ti guardo mentre, con le mani al volante, vedo la tua sagoma farsi strada tra la pioggia per raggiungermi. Passi l'intero viaggio in macchina a lamentarti di quel tedioso lavoro d'ufficio che ti sta scavando gli occhi e atrofizzando corpo e mente. Poggio la mia mano sulla tua coscia a ogni semaforo che me lo permette. Luci rosse risaltano il pallore del tuo viso, come la prima volta in cui ti ho baciato, e mi perdo così tanto nei tuoi occhi fino a quando lo stronzo in coda non mi manda fanculo allo scattare del verde.

E poi una pacca sul petto.

Ti guardo scendere dall'auto non appena arriviamo davanti a quel ristorante, il tuo preferito. Niente di elegante o serio, un locale dove dici facciano la pasta alla norma più buona del mondo. Eppure io in Sicilia non ti ci ho mai portato. Sfili l'ombrello dalla tasca interna del cappotto, mentre con eleganza aggiusti i neri ricci, ora laccati dall'infrangersi della pioggia. Mi porgi la mano, mentre mi ripeti quanto si stia dilatando quel buco nello stomaco. Cingo i tuoi fianchi col braccio sinistro, serrandoti al mio fianco.

E poi una pacca sul petto.

Ti guardo mentre conversi amorevolmente con la cameriera, che ci scorta a quel tavolo che ho scrupolosamente prenotato per noi. Arrossisci al mio consueto gesto di tirare indietro la sedia per farti sedere, e poi ridi per la goffaggine con cui marcio verso il mio posto. E mi nutro della grazia che emani, così immanente che per osmosi si manifesta nelle movenze e nelle parole di chi ti circonda. Sfogli il menù con la delicatezza del filologo che si accinge a decriptare un vecchio manoscritto, il tocco di Mida che rende tutto sacro.

E poi una pacca sul petto.

Ti guardo mentre pettini meticolosamente gli spaghetti su una distesa di porcellana, per poi abbandonarti al sapore di terre lontane, di sponde bagnate da acqua cristallina lungo le quali ci immagino nudi, a rincorrerci nella cornice di un tramonto di fine luglio. Rubi un po' di pasta dal mio piatto, e poi ti sdebiti rendendomi partecipe del tuo banchetto, e ti prometto per l'ennesima volta che prima o poi quei sapori te li farò vivere autenticamente.

E poi una pacca sul petto.

Ti guardo ancora, amore mio, mentre mi strattoni nel tentativo di sfilare il portafogli dal cappotto, intento a primeggiare alla lotta che ogni santa volta che ti porto a cena fuori ti impegni a imbastire. Come sempre hai la meglio, e l'anziana signora alla cassa non può fare altro che ripetere la solita battuta, che sei tu quello muscoloso e che un ragazzetto come me non può fare altro che arrendersi. E mi lascio trasportare da quelle braccia forti fuori dal ristorante, e quando scopriamo che ci hanno fregato l'ombrello, sfili il tuo cappotto e ne fai scudo contro quelle piccole lame liquide, costruendo l'ennesimo rifugio che eravamo soliti erigere solo per noi.

E poi una pacca sul petto.

Ti guardo mentre ti aggrappi a me sfuggendo al pericolo di scivolare sull'antico pavimento che rende calpestabile il palcoscenico della nostra storia. Ti ascolto mentre racconti le tue mille curiosità su Castel Sant'Angelo, ora ombra gialla dominante sul tenebroso soffitto che avvolgeva la nostra Roma. E mentre mi racconti dell'ennesimo Papa che aveva commissionato chissà quale opera d'arte, io afferro la mia per il mento e provo a gustarne la magnificenza con le mie mortali labbra, e mi immedesimo nell'artista che della sua arte vorrebbe solo vivere e poi morire. Ti sfioro lo zigomo, mentre con gli occhi chiusi lasci che sia io a darti una nuova forma. Immagazzino ogni tuo respiro, lo chiudo in pugno e poi una pacca sul petto.
Sento quel rialzamento all'altezza del pettorale sinistro, il cuore che me ne indica la posizione, e l'emozione che fa cedere le gambe.

Ti guardo, o mio Simone, dal basso mentre lo sfondo giallognolo del castello offusca momentaneamente la tua silhouette. Intravedo il tuo smarrimento, ascolto ogni parola sconnessa riassestarsi non appena inciampa sulle mie labbra. Mentre ti prometto conforto dopo le difficoltà della giornata o sazietà che addomestichi il vuoto al centro del tuo stomaco. Mentre ti prometto spiagge afose e passeggiate sotto la pioggia. Mentre ti rinnovo la devozione che lo scultore ha per la sua stessa pietra divenuta umana. 

Mentre, con una pacca sul petto, sfilo questo stupido cofanetto blu che, come un vaso di Pandora, sprigionerà il migliore dono che solo tu potresti concedermi.

Divieni mio donatore, flusso per queste instancabili vene, e io sarò per te nuovi sapori e pezzi d'arte. Interminabili semafori e contesi conti al ristorante.

Di' sì, Simone, e ci apparterremo perpetuamente, non come padrone che esercita possesso, ma come amanti in balìa dell'eterno bisogno di sentirsi uno.

E poi una pacca sul cuore.

miscellanea - simuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora