Un ventennio in reclusione

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Siamo all'inizio del 1900, in piena spinta tecnologica: le automobili sfrecciavano sempre più veloci, le navi anch'esse più veloci ed "inaffondabili", e i Wright riuscirono a far volare le biciclette. Arrivó la Prima Guerra, gli uomini al fronte e le donne nelle fabbriche a costruire armi, munizioni, ed assemblare carri armati.
La Guerra la fecero gli uomini ma grazie al lavoro delle donne.
La Guerra poi finì, le donne continuarono a lavorare e gli uomini che fecero ritorno si ritrovarono disoccupati. Ma arrivó il fascismo che risolse tutto: le donne ritornarono tra le mura domestiche a lavare, cucinare, e sfornare più figli maschi che potevano, che un giorno sarebbero stati valorosi soldati, e gli uomini si ripresero il posto che avevano lasciato.
Della serie:" Care donne grazie per il servizio che avete svolto in tempi di angustia. Ora, però, tornate a casa a fare le donne che a fare gli uomini ci pensiamo noi!"
Ecco che la donna venne esaltata e lodata, ma colei che, come detto prima, cucinava, lavava, stirava, sfornava figli, e accudiva il marito fino al punto di stirargli la camicia la sera quando andava nelle case chiuse.
E già. Proprio così!
Perché il maschio, per il regime, doveva produrre almeno due orgasmi a sera e la femmina, per quanto relegata all'esclusivo compito di produttrice di prole, era chiaro che aveva un limite fisiologico quindi, era buona norma e regola accettata da tutti, e da tutte, che la virilità doveva trovare giusto sfogo. Le case di tolleranza erano gestite con attenzione medica, per contenere le malattie veneree, e sociale, per avere una scelta. Infatti, come oggi per gli hotel, ce n'erano da quattro stelle in giù. Naturalmente con il diminuire degli astri aumentava l'età e la stima corporale delle dame.
In pratica nel fascismo la donna era avvalorata in funzione del suo asservimento all'uomo: angelo del focolare o prostituta.
Al di fuori di questo intervallo era pollice giù.
Si perché la fanciulla che avesse avuto alte aspirazioni di impiego, una carriera lavorativa, una vita da donna indipendente che le potesse dare soddisfazione personale, mete che oggi diremmo più che legittime ma che a quei tempi erano a mezzo passo dal reato pubblico, a parte che per studiare per arrivare a tanto era dispendioso ed emotivamente apocalittico, se poi detta fanciulla fosse arrivata sorprendentemente alla meta non avrebbe avuto vita facile.
Tali donne durante il fascio erano mal viste dalla legge e dal popolo. Donne "mascoline", che non pensavamo al matrimonio, ribelli alla filosofia del regime e, chissà perché ce lo devono sempre mettere, mignotte nel significato più dispregiativo del termine.
Quindi viene da se che azioni quali adulterio, aborto, e celibato erano reati, tranne l'ultimo, e vediamo in che misura.
Cominciamo con il celibato.
Chi sceglieva di non mettere su famiglia andava contro la volontà del Duce che puntava sull'incremento demografico che gli procurava soldati da sacrificare per il bene collettivo sotto le insegne del regime.
Una posizione molto scomoda punita dallo Stato con una tassa sul celibato.
Passiamo all'adulterio.
L'adulterio era un reato punibile con la prigione. In più all'uomo veniva concesso un jolly nel caso in cui il disonore arrecatogli dalla moglie con la sua condotta adultera lo avesse indotto ad ucciderla: in sede di tribunale poteva essergli imputato il "delitto d'onore " ed essere assolto per temporanea incapacità mentale.
Per quanto riguarda l'aborto?
Considerato reato pubblico contro la stirpe, poteva essere punito con la reclusione fino a 12 anni a seconda del caso.
Ma perché parlare di aborto se le donne avevano il compito esclusivo e primario di generare figli a rotta di collo?
Evidentemente perché non tutte le donne volevano essere macchine di riproduzione ma, come sopra accennato, alcune volevano riprendersi quelle poche ma significative libertà giuridiche, sociali e personali che ottennero durante il Risorgimento, prima che arrivó il fascismo ad annullare questi piccoli progressi.
Scelte di questo genere, ovviamente, non contemplavano una gravidanza ma, un po' per ingenuità e un po' per inganno e costrizione, qualcuna rimaneva incinta.
Ora in questa sede non voglio disquisire sul fatto se l'aborto sia giusto oppure no, anche se, a onor del vero, dal punto di vista del feto, che si consideri un essere umano formato oppure no, significa inequivocabilmente togliergli la vita perché, di fatto, è un essere vivente.
Ma il punto di vista che voglio considerare è quello della donna che viene ingravidata contro la sua volontà: mi sto riferendo all' "usanza" del Matrimonio Riparatore. Non voglio dire che, ad un certo punto, le donne chiesero il diritto all'aborto per fronteggiare questo abominio sociale, ma è chiaro che la pressione che la donna stava subendo a cominciare dallo Stato sovrano, dalla propria famiglia d'origine prima e dal marito padrone poi, non era cosa di poco conto; in più ci si mette la subdola ignoranza popolare della società, pronta a condannare, in cui era immersa, e allora proviamo tutti, ma proprio tutti, ad immedesimarci in questa situazione con tutta la nostra fantasia realizzando, per qualche istante, di vivere una tale situazione, e dopo aver fatto questo con nobiltà di coscienza possiamo esprimere un giudizio personale.
In pratica se un dato uomo avesse voluto avere una data donna contro il di lei consenso bastava violentarla mettendola incinta così che la povera sventurata, indotta dalla famiglia che voleva cancellare l'onta subita, (perché la violenza carnale non era reato contro la persona ma contro la morale pubblica, come se i genitali della donna non le appartenessero ma fossero di proprietà dello Stato) era obbligata non solo a portare avanti la gravidanza partorendo un figlio che, nella sua assoluta innocenza, costituiva potenzialmente un ricordo perpetuo di una svolta dolorosa della sua vita, ma, come se ciò non bastasse, avrebbe dovuto, costei, vivere per il resto dei suoi giorni al servizio di quel determinato uomo che, per soddisfare il proprio egoismo maschilista, le rovinó l'esistenza.
Ora, riflettiamo profondamente su questo.
Non era sempre così.
Ma era un' evento comune e reale.
In definitiva la donna fu sempre schiacciata dal sistema in ogni aspetto della sua vita, sia privata che pubblica che, e quì entriamo nella più crudele assurdità, intima.
Siamo alla metà degli anni '40, fine Seconda Guerra, e l'Italia si prepara a diventare una repubblica; manca poco al varo della Costituzione, ma le donne italiane non aspettano, e conquistano, intrepide, e, giustamente, orgogliose, il loro primo diritto ufficiale. Che cosa? Lo vedremo nel prossimo capitolo.
Le prime luci dell'aurora appaiono sull'orizzonte.

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