CAPITOLO 3

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MIRA

Davanti a me si ergeva un'enorme costruzione di mattoni scuri, intervallata solo da intercapedini cremisi all'altezza di porte e finestre. Credetti fossero costruite con l'abete rosso, ma quando mi avvicinai alla base della torre di destra, scoprii che queste fossero dipinte sulla struttura stessa.

La Wallstreet University sembrava un incrocio tra un castello e una casa di riposo.

O, almeno, la casa di riposo di mio nonno somigliava, almeno per architettura, a quella roba lì.

Intorno, si apriva una foresta, sempreverdi e alberi di altro tipo si disperdevano a perdita d'occhio, su alcuni le foglie avevano già iniziato a cadere. L'inizio di settembre portava con sé l'odore e il sentore dell'autunno, che colorava di giallo, ocra, arancio e vermiglio il quadro pittoresco presentatomi.

«Allora, che dici? Non è così male dopotutto, no?» Isa scese dalla Mustang, facendo attenzione alla gonna troppo corta, le sue lunghe gambe, coperte da delle calze color carne, erano sempre state motivo di invidia sia per me che per le mie amiche.

Lei era la spilungona, così simile a una modella.

Io, a confronto, ero una nana.

Ma non ero io troppo bassa.

Era lei a essere troppo alta; un metro e ottanta di bellissima, ottusa e autorevole sorella maggiore. Vivere con lei, quando ero più piccola, fu il peggiore dei miei incubi.

«Sì, pensavo peggio.» Feci qualche passo indietro e tornai da Isa, continuando a stringermi nel cardigan nero.

«Beh, il percorso di studi non ti piacerà, ma almeno potrai fare delle belle passeggiate nei dintorni.»

«Consolante.» Sospirai per avviarmi ad aprire il bagagliaio; mi misi lo zaino sulle spalle, la borsa al gomito e tirai giù la pesante valigia.

«Se hai bisogno, ricordati che io sono sempre disponibile.»

«Sì, sicuramente più di mamma e papà, dato che» chiusi la macchina e posi l'attenzione su mia sorella «nonostante la loro eterna insistenza, nemmeno si sono degnati di portarmi qui.» La borsa mi scivolò giù dal braccio e Isa fece a malapena in tempo ad afferrare al volo il mio cellulare che altrimenti si sarebbe schiantato nell'erba.

«Preso.»

«Dio! Grazie di esistere.»

Lei si mise a ridere quando presi il telefono dalla sua mano.

«Quando avevi quindici anni non la pensavi così.» Mi passò le dita tra i capelli, arruffandomeli e facendomi finire delle ciocche scure davanti agli occhi.

«Questo perché tu a venti eri l'essere più irascibile del mondo.»

«Ma non è vero!» Sembrò offendersi ma visto che la conoscevo bene – e posso garantire che era così - sapevo stesse fingendo, dato come si chiuse le braccia intorno all'elegante giacca beige, che a malapena le copriva l'abbondante seno avvolto da una canotta scura.

«Già, hai ragione. Sei rimasta antipatica uguale, sono io che, crescendo, ho imparato a sopportarti meglio.» Le feci la linguaccia e lei scoppiò a ridere togliendo definitivamente di mezzo l'espressione imbronciata.

«Sei tremenda.» Mi strinse in un abbraccio che sapeva di calore e affetto.

«Lo so, ho imparato da te.» Mollai giù tutti i bagagli e ricambiai l'affetto che mi stava donando. Era un momento raro e non me lo sarei perso per nulla al mondo.

«Ti voglio bene.» Mi sussurrò all'orecchio per poi darmi un bacio sulla fronte. «Davvero, qualsiasi cosa, io ci sono.» Corrucciò le sopracciglia, mostrando la preoccupazione che covava. «Se hai bisogno di un consiglio, di una mano a barare o di qualche suggerimento per superare determinati esami io ci sono.»

Madness (Wallstreet University Vol.1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora