Capitolo primo

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"Le moire taglieranno anche il mio filo, e la Morte colpirà anche me, non posso sfuggirle. Mi si dilania l'animo, al solo pensiero, ma ciò non potrà impedirmi di essere sempre al tuo fianco."
"Farò in modo che neppure Lei possa portarti via da me"
"Stai sfidando l'ordine primordiale delle cose. stai sfidando gli Dei stessi"
"E loro stanno sfidando Alessandro."
Il suo sguardo era rivolto a oriente, fermo a osservare le stelle. Come il sole dopo poche ore sarebbe sorto, lui si credeva immortale; era l'uomo più potente del mondo, e questo era solo il principio. Ogni mattino avrebbe visto il re ergersi dalle tenebre, forse addirittura giungendo a sfiorare gli astri; Alessandro non aveva confini, lo sapeva. La volta stellata si rifletteva debolmente nelle sue iridi, fragile, riconoscendo la grandezza di quell'uomo; e ancora era evidente la convinzione con cui aveva espresso quelle parole. Non c'era neppure il più fievole velo di incertezza nel suo tono, che anzi, parve squarciare la serenità come un tuono scuote il cielo. Tra i suoi tanti epiteti e glorie, non era forse figlio di Zeus, quell'uomo?
Il giovane seduto nel giaciglio non si lasciò sfuggire neppure un suono in risposta, ma si alzò in silenzio, e gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla. La tensione nel corpo del monarca affluì sin dal primo istante, lasciando rilassare la sua muscolatura, avvolta dall'argentea luce della luna.
"Come hai visto l'alba dei miei giorni, ne vedrai il tramonto. Sarò al tuo fianco, fino ai confini del mondo; e se servirà, giungerò oltre."
Sussurrò l'uomo dai capelli mori, che come una dolce carezza solleticavano il collo dell'altro, il quale era ancora rivolto verso la sconfinata città che si disperdeva ai loro piedi. Forse non poteva vantare la forza d'animo di un dio, ma era consapevole che nulla sarebbe bastato per smuoverlo dai suoi passi. Da quelli di Alessandro.
"E se volessi raggiungere il cielo, Efestione?"
Alessandro alzò lo sguardo, finché parve assimilare ogni costellazione che, brillante, illuminava il suo volto. Non dominava neppure tutte le terre che lo circondavano, era peccato di hybris aspirare a tanto. Ma se avesse mai solcato quello spazio immenso che si stagliava quieto sopra ognuno di loro, l'unico uomo che desiderava avere al suo fianco era Efestione.
"Ti darei del folle, Alessandro.
Ma se poi ti voltassi, mi vedresti alle tue spalle, come sempre è stato, e com'è ora. La fiducia che ho in te è cieca, e non esiterei neanche per un istante."
Il giovane si voltò lentamente, osservando il tanto amato compagno, toccato dalle sue parole. I suoi occhi erano azzurri, ma completamente differente dal suo; erano una pozza d'acqua limpida, talmente pura e celeste che persino Narciso, mosso dall'egocentrismo, ci si sarebbe specchiato. Ma al contempo erano così profondi, a tal punto che vi ci vedeva riflessi i suoi più arcani peccati, i suoi più celati timori e le sue più mute incertezze. Non fossero cresciuti spalla a spalla sin dalla prima giovinezza, lo avrebbe temuto, tanto quanto si teme il nemico in battaglia; esso non lo vedeva in qualità  di re, invincibile e divino come chiunque voleva dipingerlo, ma vedeva Alessandro. E ciò era terrorizzante, persino per il figlio di un dio.
"Il sonno e il vino mi ricordano che sono mortale; ma tu, mio amato Efestione, mi ricordi di essere debole, come qualunque altro uomo. Di essere vulnerabile ai piaceri mortali, e soprattutto, a te.
Un tuo sguardo e resto spoglio delle mie glorie, e nudo nella mia anima, non resta altro che Alessandro.
Mi induci a temere che forse le mie carni siano mortali, la mia vita di divino senza traccia alcuna; se non, la tua presenza."
Il giovane dai capelli dorati poggiò delicatamente la sua mano sulla spalla dell'altro, provocandogli, al contatto con il metallo gelido degli anelli che adornavano le sue dita, un dolce brivido. Efestione sospirò debolmente, consapevole dell'influenza immensa che esercitavano l'uno nella mente e nel corpo dell'altro. Sin da quando era solo un fanciullo negli occhi di quel bambino, dai capelli di grano e dalla pelle bronzea, aveva percepito qualcosa di grande: le sue iridi, una celeste come il cielo, l'altra castana come la terra, irradiavano potere. Il suo amato Alessandro, dal suo primo respiro fu destinato per fato a conquistare ogni lembo di terra e zampillo d'acqua sgorgasse in quella terra, senza mai esserne sazio.
E come la luna pallida, lui osservava il suo sole brillare, lasciando che il grande re splendesse dei suoi trionfi e che il suo nome riecheggiasse in ogni angolo, in ogni via, nelle labbra di chiunque. Non lo avrebbe mai ammesso, eppure per quanto tutto ciò fosse grandioso, in fondo, lo terrorizzava. Dal potere deriva la sofferenza, e così viceversa; Alessandro era già Re dei re; essendo un dio tra gli uomini, il prezzo da pagare sarebbe stato oneroso. Odiava pensare a ciò. Si rifiutava al solo pensiero che fossero cresciuti, e ormai differenti dai ragazzini che giocavano a fare i soldati in quelle calde giornate di Macedonia. Eppure ora i bastoni erano spade, la sabbia macchiata di sangue, le risate urla, il loro corpo martoriato dalle cicatrici e dalle sofferenze. Non poteva fingere ancora a lungo; la maschera sarebbe crollata ben presto, lasciandolo spoglio dinanzi alla verità.
"Sei giunto dove l'uomo ha sempre posto i limiti, Alessandro.
Hai valicato ogni confine, giungendo fin laggiù dove nessuno ha avuto mai l'ardire di osare." Il bruno socchiuse gli occhi, quasi desiderando di gettarsi fra le sue braccia senza perdersi in altre parole, ma fu solo per un istante. Rivolse lo sguardo attento ove la notte ancora giaceva quieta, celando l'India. La prossima meta. La prossima avventura, insieme.
Il biondo lo imitò, in silenzio. Era da tempo immemore che non faceva altro se non pianificare le sue prossime conquiste, le sue prossime gesta, bramoso di stringere tra le sue mani sempre di più, e portare alla gloria la sua amata patria. O forse, pieno di sé come stava diventando, la gloria era per lo più per sé, e forse anche un po' per i suoi uomini. Neppure Alessandro era più consapevole del che cosa muovesse i suoi piani, ma qualsiasi essa fosse, stava divenendo grande, un fardello troppo grave persino per le sue spalle.
"Eri alto quanto la mia spalla, la prima volta che ti incontrai; ma d'animo, e d'audacia, già mi superavi. 
Ti sconfissi, nel nostro primo duello; e quella fu la prima, e ultima volta, che vidi Alessandro Magno perdere.
Che tu abbia discendenza divina o meno, hai il mondo ai tuoi piedi."
Le labbra del giovane re si distesero in un sorriso sincero, inebriato dalle dolci memorie del passato. Era divenuto monarca di una vasta area, talmente estesa da ricoprire la maggior parte delle terre conosciute dall'uomo, sebbene fossero passati solo una decina d'anni da quando non era altro che un ragazzino. L'unica cosa immutata nel tempo, era stato l'amore che percepiva per il suo caro compagno. In fin dei conti, anche lui era sempre lo stesso. Con un gesto distratto l'uomo si passò le dita tra i capelli biondi, senza emettere suono, sospirando. Ebbe pensiero alcuno in mente, se non il solo realizzare di quanto fosse fortunato ad avere Efestione accanto a lui.
La gloria lo avrebbe lacerato, affievolendo l'uomo che vigeva tra le sue membra e nel suo animo, serrandolo ad una rude corazza di spietata crudeltà. E una volta intossicato dalla superbia e dall'arroganza, avrebbe dovuto lottare con foga esasperata la rovente ambizione dell'avere sempre di più.
La via per l'ascesa di un re eterno sarebbe stata spianata, ma sarebbe dovuta sorgere sulle ceneri dell'uomo mortale, Alessandro.
Ma se a quell'idea angosciante si stringevano le sue viscere, una presa calorosa lo rassicurava all'unica certezza che possedeva: non era solo, non lo sarebbe mai stato. 
Efestione. Oh, Efestione.
"Abbiamo.
Abbiamo il mondo ai nostri piedi, io, te, tutti i macedoni. Chiunque abbia sparso sangue per il mio onore, sarà  ricompensato dagli dei, per i servigi a me resi. È in prima persona me ne occuperò io, è una promessa.
Ma tu, mio amato Efestione, voglio che sia tu ad essere la spalla in cui posso seppellire il mio dolore, occultare i miei peccati, abbandonare le tenebre del mio animo.
Il potere, la conquista, il ribollio del sangue prima di una battaglia sono ciò che mi mantiene vivo; ma tu rendi la vita meritevole di essere vissuta.
Mi rendi... felice.
Sei l'unico che mi resta, l'ancora che mi tiene saldo a ciò che ero, colui che mi ricorda chi sono nel profondo: nulla, se non Alessandro."
Terminò la frase in un sussurro, quasi impercettibile; ma i suoi occhi, loro si esprimevano per lui. Abbagliati dal tenue bagliore argenteo della luna, il celeste e il castano brillavano, come due astri del cielo, inumiditi da un velo di lacrime. Era nel pieno della foga di una strenuamente lotta interna, nel disperato tentativo di reprimere la purezza e la sincerità  delle sue parole. Era disposto a raccimolare sino l'ultimo spiraglio della sua forza pur di non apparire eccessivamente debole, pur di non lasciarsi andare. In qualsiasi caso, era ben consapevole del fatto che, in qualsivoglia modo, un solo sguardo sarebbe bastato per quelle iridi celesti per comprendere anche tutto ciò che cercava miseramente di occultare. Ma al contempo, i lineamenti armoniosi del giovane dai capelli scuri altro non facevano che scrutare l'orizzonte, privi del solo ardire di voltarsi o rivolgere parola. A distruggere la quiete apparente, era il frastuono assordante che dimenava la sua mente, e faceva vacillare le sue membra. Incapace di controllare il turbinio dei suoi pensieri, si voltò con un gesto rapido e senza ragionare cinse i fianchi dell'altro con le sue braccia, smarrendosi nella stretta. Temette che l'altro lo rigettasse, ma il biondo ricambiò con forza il suo gesto, nascondendo il suo volto tra le pieghe della sua toga. 
"Ti amo, Alessandro."
Sussurrò il moro, accarezzando la sua schiena con tenerezza, percependo il tormento che trasudava dalla sua presa. Stava attraversando gli inferi, solo per demolire le mura che aveva eretto per l'intero corso della sua vita. Voleva calmarlo, sentire il suo respiro di nuovo regolare solleticare il suo collo, farlo sentire a casa, sebbene il loro posto distasse migliaia di miglia da là.
"Anche io, anche io...
Ti amo così tanto, Efestione."
Udire quel bisbiglio risvegliò nel petto del giovane uno strano calore, così rassicurante che si illuse per un attimo di essere già nella pace eterna dei Campi Elisi. Temeva di aver perduto, dopo tanti anni percorsi ad essere avvelenato da battaglie, sangue e violenza, la cosa più importante che mai avesse posseduto: l'amore, un amore immortale che lo legava indissolubilmente ad Alessandro.
Una lacrima solitaria solcò silenziosa la sua guancia, sfuggendo al suo controllo; la sua voce, quella frase, erano per lui la melodia più dolce del mondo.
Ogni sforzo e ogni cicatrice, i gemiti di dolore e le grida strazianti per un compagno perduto, tutto finalmente gli sembrò avere un senso. Valeva la pena per tutto ciò, ne era sempre valsa la pena.
Per gli dei, questa sensazione gli era mancata a tal punto che si ripromise di non lasciarla mai più andare, costasse quel che costasse; avesse dovuto, avrebbe attraversato l'Ade in catene per il resto della sua vita, pur di ottenere pochi, fugaci, istanti con Alessandro.
In fondo, ne sarebbe sempre valsa la pena.

Boh, scritto alle 7 di mattina prima di entrare a scuola... Si vede così tanto che ho poco da fa nella vita?
Vabbè a parte questo, chiedo venia per le maiuscole o simile ma scrivendolo nel telefono non ho le maiuscole attive 🤭

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