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Padre

Ramo, navigando nel silenzio

del lamento di uno spettro

nella spuma delle onde, che di pece

va' seminando l'osso, ricadendo le pene

trascinano il ferro, fra le cere

nell'oblio oscillante, fra le pieghe

vai cedendo, mormorando alle acque.

Fra le dita biancheggiare, va' il pensiero

scricchiolante impronta, ti rincorrevi nel legno

al balbettio affannoso, al ridendo consueto

fossette sino al cielo, bagnate dell'oro mattiniero

al tessere un sorriso, ora con filo a te straniero.

Il vuoto ti infligge il peso

di quel respiro ancora sospeso

dove spargesti ogni tuo brandello 

dal ferro stridente nei polsi, appeso

dove ti nascosi nel riflesso del lago rappreso

al rintocco della preghiera, sei sceso

nell'animo, cosa rimase, se non uno 'spero'?

Orme nella neve, nuvole di vapore 

abbattendosi gelo, nel pallore perdesti l'avere

dall'inverno fosti strappato, nel primo bagliore

della stella nascente, volevi ancora dare

all'innocente un riflesso di te, per non capire

le palpebre socchiuse, in fuga dall'orrore.

Nelle crepe sgorgò l'amore

sradicando andasti terrore e timore

ad un quadro distrutto, tu divenni pittore

ne desti colore, pennellando il dolore

spezzate dita, rosse lacrime tenti di colare

nell'orizzonte d'un ultimo tramontare.

Silente in ginocchio, reggesti la tua croce

ripiegato nel ricordo sbiadito, fuggente 

nell'inchiostro sparso, perdesti l'ultima voce

nella pioggia che s'abbatte truce

fra la corolla del chino fiore.

Uomo, la fame di vita

che struggente fede, custodivi fra le dita

si infrangeva l'onda, la goccia sfuggita

ardendo si riversava nell'aperta ferita

inumidendo lacrima, la piccola rifiorita

nel fagotto riposi il cuore, guarita.

Padre, la fame ancora viva 

non saziasti, a lei donando la tua vita.