Alessandro e Efestione 🥹

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"Cosa ti prende, Alessandro?"

Il ragazzo non si mosse, e non rispose.
Manteneva il suo sguardo al cielo, lasciando che i bagliori solari si specchiassero nelle sue iridi chiare, i capelli dorati riversarsi distrattamente nelle spalle scoperte. Serrato fra le mura dei suoi pensieri, sembrava essersi perso, ignorando qualsiasi stimolo esterno. Sebbene l'indole travolgente che lo animava, era vittima ricorrente della sua mente, non potendovi sfuggire; e lo frustrava tremendamente l'essere vulnerabile, la sensazione crescente di non essere padrone di se stesso, il potersi sottrarre dalla ragione.
L'altro giovane sapeva, e ne era dispiaciuto.
Non perché fosse rammaricato dalle complessità dell'altro, o di quegli attimi di caduta, in cui si disfacevano la sua maschera e le sue menzogne.
No, era afflitto nel constatare come l'altro tentasse quasi di sfuggire dalla sua umanità, per raggiungere ideali inarrivabili d'essenza divina; quasi come in una corsa disperata, solo che già dalla partenza era consapevole del fatto che non avrebbe mai potuto tagliarne il traguardo. E per quanto esso potesse illudere chiunque con le sue parole, non avrebbe mai potuto ingannare chi negli anni aveva imparato a conoscerlo, e lo comprendeva meglio di qualsiasi altro.

"Alessandro, per favore. Lo stai facendo di nuovo."

Mormorò il moro, lasciandosi sedere al suo fianco. Delicatamente gli sfiorò un braccio con le dita, provocandogli un brivido che, con lentezza, sembrò farlo rinsavire. Quantomeno calò lo sguardo dall'estesa volta celeste, ponendo i suoi occhi in quelli del compagno, osservandolo.

"Non ho niente, Efestione. Penso solo."

Il suo tono era roco, penetrante, come una lama. E la scintilla funesta che traspariva sfavillante nelle sue iridi, non appena nel suo volto calava l'ombra, manifestava l'ira che doveva star frenando in quel momento.

"Riesco a percepire persino io il frastuono dei tuoi pensieri, non negare l'evidenza. Non a me. Lo sai bene che non ti riesce."

Replicò l'altro, ma senza mostrare di fastidio traccia alcuna; mantenne il suo tono quieto, dandogli un'occhiata fugace, ma pacata. Contemplò poi l'erba che si estendeva tutt'intorno a loro, e fece un piccolo sorriso; raccolse un fiore rossiccio, dall'aspetto elegante, e lo strinse tra le dita.

"Sai, inizio a credere di odiarti."

Sussurrò Alessandro, guardando l'altro. Gli sfuggì subito una risata, realizzando di aver mentito così spudoratamente, da farsi compassione da solo; ma subito si ricompose, e non potè trattenere un sorriso, molto più sincero.
Per gli Dei, perché ti peni per te stesso, Alessandro, se la tua unica debolezza è davanti a te, e persino le sorridi, come se fosse la cosa più importante che te abbia?
Al pensiero, i suoi tratti non fecero altro che addolcirsi ulteriormente, rilassandosi.
Perché lui è davvero la cosa più importante che ho.

"E io inizio a credere di amarti."

Rispose l'altro, strappandolo dai suoi pensieri, ridacchiando. Sorrideva anche lui, spensierato; a differenza dell'altro, era consapevole di non aver mentito.
Allungò poi il suo braccio verso quello del compagno, aprí con cura il suo palmo e vi lasciò cadere il fiore, con cautela.

"Ehi, e questo per che cos'è?"

Domandò allora Alessandro, posando il piccolo dono sopra la sua coscia, osservandolo con premura. Per un istante, gli parve quasi di scordarsi il perché si sentisse così stizzito; voleva solo abbracciare, baciare, ridere con l'uomo al suo fianco.
Voleva essere felice.
Un solo tocco, uno solo sarebbe stato sufficiente per fargli percepire l'amore. Perché per quante parole fossero state scritte e per quante opere potesse struggersi nel leggere, era stato lui a insegnargli come amare.

"Un ricordo di me. E del fatto che non devi mentirmi."

Replicò Efestione, con un piccolo sorriso sulle labbra. Alessandro rise al sentire le sue parole; davvero il giovane pensava che gli servisse un ricordo per pensare a lui? Che si sarebbe mai potuto scordare di ciò che erano? Anche se lo avesse voluto, non sarebbe mai potuto uscire dalla sua testa.
Ma sopra ad ogni cosa, era Alessandro a proibire che si allontanasse dai suoi pensieri.

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