PROLOGO

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Faye

Il vestito nuovo elegante, i capelli lunghi e sciolti, tenuti fermi ai lati da due fermagli pieni di lustrini, il trucco leggero sul viso, le calze ancora intatte e le scarpine lucide con il tacco, sono il segno che qualcosa sta per accadere.
Theodore Wild non farebbe mai comprare indumenti nuovi e preziosi alla figlia minore senza un tornaconto. Le sue priorità sono sempre state Andra e Audie, le sue bellissime figlie nate a distanza di undici mesi, talmente simili da poter apparire gemelle.
Non che io abbia mai chiesto niente di costoso o impossibile. Non è così che mi ha cresciuta sin da quando sono stata scaricata davanti al suo portone, con un biglietto che conservo ancora dentro una scatola, insieme alle poche cose con cui la donna che mi ha partorito mi ha lasciato. Non ho buttato nemmeno la sua verità cruda e scritta di fretta su un pezzo di carta ingiallita.
Ringrazio ogni giorno Ersilia Wild per avermi accolta comunque nella sua famiglia, nonostante dopo Andra e Audie cercasse di avere un figlio maschio e nascondesse la rabbia di essere stata tradita.
Theodore, al contrario, non è stato poi così entusiasta di avermi tra i piedi e crescermi. Credo che il motivo principale sia proprio la vergogna. Quando mi guarda, gli ricordo l'errore di una notte che non ha mai nascosto, neanche a una bambina di sei anni il giorno in cui gli ha chiesto come mai le sue sorelle fossero così diverse da lei.
Me ne sto nascosta nell'ombra, dietro una delle colonne alte del corridoio di casa. L'orecchio teso in direzione dello studio di papà, che è a poca distanza dal punto in cui mi trovo.
Quando è entrato con un uomo, forse per distrazione, hanno lasciato la porta aperta. Curiosa come sono, non ho potuto fare a meno di avvicinarmi per ascoltare.
Se riguarda me voglio sapere cosa devo fare. Voglio essere pronta. Non me la bevo la scusa della cena della domenica con degli invitati speciali. In casa non viene quasi mai nessuno. Ersilia non apprezza estranei nel suo ambiente tranquillo. È una delle sue poche regole.
Theodore Wild è un uomo astuto, riesce a trarre profitto in qualsiasi situazione. Anche quella a suo svantaggio. Mi domando quale affare stia portando avanti.
Con una smorfia, cerco di non agitarmi troppo sotto il vestito che pizzica e di riuscire a respirare, ma il reggiseno push-up sta svolgendo un compito di merda.
Purtroppo non potevo non indossarlo. A quanto pare, secondo le mie sorelle e anche Ersilia, le mie tette stanno aumentando e quindi avrò bisogno di indossare queste creazioni del demonio per contenerle. Con la mia altezza e le mie curve morbide, dimostro di essere sbocciata, anche se un po' in ritardo. La cosa mi arreca non poco disagio, in particolare quando mi trovo in presenza degli amici di papà, quei vecchi maniaci che appena lui distoglie lo sguardo non fanno altro che ammiccare e sussurrare complimenti non richiesti. Ecco perché mi sarebbe tanto piaciuto indossare i miei soliti indumenti sportivi e comodi. Ma Theodore stasera intende esibirmi. In fondo, siamo una famiglia solo quando ha qualcosa in ballo.
«Io mi prendo la zona delle case popolari, tu ricopri l'altra compresa di porto. Il club resterà in comune fino a quando non troveremo una soluzione. Siamo d'accordo?»
«E vuoi anche qualcos'altro, non è vero?»
«Sei una piccola spia».
Un alito caldo mi solletica l'orecchio. La voce bassa e profonda di un ragazzo mi coglie alla sprovvista. Sussulto e mi volto pronta a urlare, ma una mano mi si preme sulla bocca e un paio d'occhi freddi come il cielo in tempesta, con qualche screziatura d'azzurro, mi intimano di non reagire in alcun modo.
Sono occhi che inglobano oscurità, incorniciati da ciglia spesse e stanno brillando con una particolare arroganza; tipica di un predatore consapevole di avere messo all'angolo la sua preda.
Il mio battito cardiaco diventa quasi insopportabile contro il petto del ragazzo che mi ha colta di sorpresa.
Non l'ho sentito arrivare. E questa, questa è la giusta punizione per non aver fatto attenzione.
«Vedi di non metterti a urlare quando ti toglierò la mano dalla bocca o quei due lì dentro sapranno che c'è qualcuno a spiarli e saremo entrambi nei guai», attende una conferma da parte mia.
Con un cenno del capo gli faccio capire che non oserò fiatare e lui abbassa il palmo. Allora lo spingo con tutta la forza che ho, ma non si sposta di un solo passo. Di rimando, e presumo per dispetto, preme i palmi ai lati della mia testa bloccandomi tra la colonna e il muro.
«Non ti avevo detto di non muoverti?»
«Chi sei per darmi ordini? Questa è casa mia. Se non vuoi che mi metta a urlare, spostati».
L'angolo delle sue labbra si solleva mostrando un ghigno divertito. La punta rosea della lingua guizza fuori lasciando una scia umida sulla carne gonfia e lievemente screpolata.
«Una gattina pericolosa, vedo», ammicca.
Se non avessi il muro alle mie spalle farei volentieri un passo indietro, proverei persino a sollevare il ginocchio. Questo ragazzo mi spaventa.
«Chi sei?»
Tirandosi indietro mi offre la possibilità di tornare a respirare. Si guarda i palmi chiudendoli a pugno, prima di ficcarli nelle tasche dei pantaloni scuri di alta sartoria che indossa. «Finalmente hai posto una domanda sensata».
Mi sento schernita e scuotendo la testa faccio un passo avanti per andarmene. La sua mano scatta fulminea sul mio braccio e con uno strattone sono di nuovo intrappolata. Ma non è ancora finita. Con un movimento deliberatamente lento, lo sconosciuto, mi afferra il mento sfiorandomi la guancia con il pollice.
«Dove pensi di andare?»
«Adesso ti devo pure delle spiegazioni? Sei maleducato e arrogante. Nessuno ti ha insegnato a non toccare la gente senza consenso? Lasciami andare se non vuoi che ti rompa i mignoli e il mio ginocchio collida per errore sui tuoi gioielli di famiglia, impedendoti di averne una in futuro».
I suoi occhi si incupiscono, screziature di un oceano sul punto di agitarsi a causa del vento.
«Nessuno ti ha insegnato come morderti la lingua, vedo. A questo posso pensarci io, piccola spia».
Scrollo le sue mani di dosso, seppur con qualche sforzo. «Non sono una spia. È stato un dispiacere conoscerti, idiota. Spero di non incontrarti mai più dopo stasera», dandogli le spalle, mi incammino al piano di sopra nella mia stanza sbattendo la porta.
Purtroppo il tempo a mia disposizione per calmarmi dura poco. Una cameriera viene a chiamarmi e sono costretta a scendere e a prendere posto a tavola come hanno già fatto le mie sorelle.
Andra e Audie, al contrario, sono entusiaste di partecipare. Hanno grandi aspettative sulla serata. Non so dire il motivo.
«Hai scoperto qualcosa?», indaga Andra, attirando l'attenzione di Audie, impegnata a osservare il bouquet di fiori posto al centro della tavola, impreziosita allo stremo dall'argenteria.
«Sono stata interrotta», replico a denti stretti mentre dalla porta entra nostro padre scortato da Ersilia, da un uomo che con fare intimidatorio riempie l'aria della sua colonia costosa e per finire, dal ragazzo che mi ha beccata a fare la spia.
«Figlie mie, questi sono Seamus e Nolan Rhett Blackwell. Avrete sicuramente sentito i loro nomi», esclama nostro padre passando alle presentazioni.
«Solo Rhett, signor Wild. Non badiamo a simili formalità durante la cena», lo rimbecca quello spiritello malvagio.
Dopo i saluti, quando papà fa loro cenno di prendere posto, ha inizio la cena, durante la quale mangio poco e ascolto a spizzichi la conversazione degli adulti.
Le mie sorelle, al contrario, continuano a chiacchierare con lui, lo spiritello malvagio, ma io non riesco ad alzare la testa e a lanciargli più di uno sguardo. Questo perché ogni volta sento il volto prendermi fuoco. Un fuoco che presto divampa sulla mia pelle in modo fastidioso.
Joleen se la farà sotto dalle risate appena le racconterò tutto. Lei sarebbe stata più creativa e colorita nelle risposte da dargli. Forse ci avrebbe persino provato con lui.
I modi di Nolan Rhett Blackwell sono impeccabili. Ha una bella voce roca e le mie sorelle sembrano pendere dalle sue labbra. Sospetto che a breve entreranno in competizione tra loro, perché non notano il modo in cui lui scruta la sala da pranzo, Ersilia o come inclina la testa e sorride sollevando appena l'angolo del labbro.
Sta registrando ogni movimento, oggetto e parola. È pericoloso, urla la mia vocina interiore.
Io, al contrario, sto ignorando i rumori di sottofondo, le posate che cozzano sui piatti, le chiacchiere soffuse, l'odore intenso di ogni singola pietanza posta al centro della tavola imbandita a festa e organizzata come un buffet.
Cerco di concentrarmi sull'insalata di mare che ho messo nel piatto e, di tanto in tanto, di portarne alle labbra un pezzo. Tento, ma fallisco, dato che posso praticamente percepire sulla pelle quegli occhi chiari fissi dall'altra parte del tavolo, proprio davanti a me.
Sollevo lo sguardo e sbatto le palpebre sentendo addosso il peso di un pesante giudizio sul mio aspetto o sui miei modi. Non sono esuberante come le mie sorelle, tantomeno loquace o intraprendente come Joleen. Aggiungi il fatto che prima ho avuto uno spiacevole scontro con lo stronzo che sta bevendo un sorso d'acqua come si berrebbe del buon Whisky, senza mai smettere di sfiorarmi la pelle con gli occhi del diavolo, e il risultato è un disastro assicurato.
Sento le mie pulsazioni aumentare. Forse smetto anche di respirare mentre quei suoi occhi assumono una sfumatura pericolosa che mi spinge ad agitarmi sul posto quando lancia una battuta nella mia direzione, per farmi abboccare.
Andra e Audie non si accorgono della nostra partita silenziosa, tantomeno del modo in cui lui le sta manipolando. Loro ridacchiano, cercando di reggere una conversazione destinata a essere a senso unico.
«Faye, stai bene?», mi domanda a un certo punto Andra, riempiendomi il bicchiere d'acqua.
«Sei stata silenziosa per tutta la serata», aggiunge Audie, sporgendosi per non alzare la voce.
Fermo Andra con un movimento della mano per sollevare il calice e bere un sorso rinfrescandomi la bocca arida, facendo abbassare la pressione del mio corpo che sembra appena entrato in una fornace con un giubbotto termico.
«Hai notato come ti guarda?», prosegue a bassa voce, lanciando un'occhiata a Audie, la quale sta continuando a riempire di chiacchiere il vuoto dalla nostra parte del tavolo.
«Hai fatto colpo».
Sento un movimento sotto il tavolo. Credo che abbia appena mollato una pedata a nostra sorella per farla smettere di esibirsi.
Andra e Audie sono belle. Lunghi capelli mossi, del colore delle foglie secche d'autunno, occhi castani, ciglia lunghe e incurvate, pelle liscia e sempre coperta da uno strato di crema alle fragole. Con la loro esuberanza, attirano gli sguardi dei ragazzi. Unica nota a margine è la loro continua ricerca della perfezione. Non hanno gusti precisi e si lasciano trascinare dalle mode del momento. Non sono poi così intelligenti, non amano studiare o eccellere in qualcosa e sono civettuole ai limiti.
Tampono le labbra con il tovagliolo e scusandomi tiro indietro la sedia per spostarmi in bagno.
Appoggiata con i palmi al bordo di ceramica del lavandino, inspiro ed espiro un paio di volte prima di infilare i polsi sotto il getto freddo e fissarmi allo specchio come se avessi davanti un'altra persona.
Sentendomi meno nervosa, esco dal bagno ma sono costretta a fermarmi.
Mi sta aspettando standosene appoggiato a una mezza colonna dove fino a qualche giorno prima c'era un vaso pieno di fiori freschi. Il nostro cane da guardia è entrato dalla porta sul retro rincorrendo un povero gattino randagio e l'ha travolto.
La pelle, ancora una volta, comincia ad ardermi.
Indietreggio di un passo ma non posso tornare in bagno e chiudermi a chiave lì dentro per il resto della serata. Allora mi faccio forza, sollevo il mento e, in un tentativo di sfuggirgli, provo a entrare di nuovo in sala. Ma la sua mano scatta verso il mio polso.
Mi tiro indietro annaspando e incespicando.
«Stai bene?»
L'improvvisa gentilezza mi sfiora il petto come un dardo infuocato. «Dovevo solo lavarmi le mani».
«Quindi non sei scappata perché ti rendo nervosa».
Nego. Mento. «Affatto. Perché avresti dovuto?»
Solleva appena una spalla in un gesto non curante. Voltandosi torna in sala.
Mi assicuro che siano passati altri due minuti, quindi torno a tavola dove i camerieri stanno servendo il dolce.
Accetto e metto sul piatto una fetta di crostata ai frutti di bosco con una pallina di gelato alla vaniglia. Sto per prenderne un pezzo e cacciarlo in bocca per togliermi questo saporaccio che mi è salito insieme alla bile, quando mio padre si solleva con il calice tenendolo in alto.
Il mio stomaco si capovolge e trattengo il fiato in attesa del suo discorso.
«Ersilia, mie bellissime ragazze, con il qui presente Seamus Blackwell stasera abbiamo stipulato un nuovo accordo. Questo ci permetterà di tenere unite le nostre famiglie, da sempre impegnate ad aiutarsi reciprocamente. Per farlo, ho dovuto scendere a patti e per la prima volta concedere la mano di una di voi», fissa le mie sorelle, le quali, seppur sbalordite, adesso sono raggianti e curiose di sapere chi delle due sarà la fortunata.
Mi sento fuori posto e infilzo la forchetta più a fondo.
Uno dei due invitati si schiarisce la gola. «Per quanto riguarda questo, prima di scendere qui a cena ho parlato con mio figlio. Ci tenevo alla sua opinione, dato che verrà coinvolto».
A prendere la parola è stato il signor Blackwell.
Mio padre è chiaramente sorpreso dall'interruzione. Il che mi fa pensare che ciò che sta per dire quell'uomo non sia stato programmato.
«Cosa stai dicendo? Hai scelto tu, per suggellare il patto, di far sposare una delle mie figlie con il maggiore dei tuoi quando sarà il momento».
Allora è di questo che si tratta?
Il signor Blackwell non si scompone. È abile in questo gioco. Sospetto abbia in qualche modo raggirato mio padre senza che se ne accorgesse.
«Non mi sto tirando indietro. Non ho finito di parlare e vorrei che non mi interrompessi in modo tale da spiegare a tua moglie e alle tue figlie cosa sta succedendo», gli intima di calmarsi.
Papà avvampa e si lascia cadere sulla sedia prima di trangugiare parte del vino che ha nel bicchiere.
Il signor Blackwell, lo guarda con soddisfazione, come se fosse abituato all'obbedienza, poi si rivolge a noi. «Come stavo dicendo, ho tenuto conto dell'opinione di mio figlio. Mi fido del suo istinto e ho rifletto sulle sue parole dopo che con vostro padre abbiamo deciso sul futuro dei nostri affari», segue un momento di silenzio in cui il mio cuore potrebbe essere appena uscito dallo sterno.
Ho un brutto presentimento.
«Rhett, non sposerà una delle maggiori», fissa mio padre negli occhi mettendolo a tacere prima che possa partire a razzo con le sue proteste. «Abbiamo fatto un patto considerevolmente generoso nei confronti della tua famiglia, Wild, e ci aspettiamo che rispetti questa semplice richiesta, la quale non sarà negoziabile», conclude facendo un cenno a suo figlio. «Procedi pure».
Rhett si alza dalla sedia. Dopo aver estratto una scatolina di velluto nera dalla tasca interna, con un gesto deliberatamente aggraziato e lento, chiude il bottone della giacca, gira intorno al tavolo fino ad avvicinarsi a me.
Guardo sgomenta mio padre, il quale per la prima volta sembra avere la stessa reazione.
Rhett nel frattempo ha sollevato il coperchio della scatolina, lasciandola accanto al mio piatto ed è tornato al suo posto.
Sbircio all'interno della scatola trovandovi un braccialetto in argento sottile con piccole pietre luminose incastonate come stelle adagiato su un cuscinetto di seta.
«Questa, Faye, è una promessa. Mio figlio ha scelto te e so che ha preso l'impegno seriamente. Siete ancora giovani per sposarvi, come ho già detto a tuo padre, ma presto faremo una festa di fidanzamento in cui riceverai il tuo anello suggellando così il patto e ufficializzando davanti a tutti i nostri soci l'unione. Nel frattempo potrete conoscervi, in quanto un giorno starete insieme e sarete legati per la vita».
Il respiro mi si mozza nei polmoni costringendomi ad aggrapparmi alle posate mentre realizzo il significato di tutto questo.
Quante probabilità c'erano?
Il vestito, le scarpe, il trucco, l'entusiasmo per gli affari. Ogni singolo elemento era un campanello d'allarme sin dall'inizio. Ma ciò che più mi fa orrore è che sono stata io ad attrarre quel diavolo. È colpa mia, della mia stupida boccaccia.
Dal modo in cui mio padre non si scompone, capisco che aveva messo in conto questa possibilità, pur non essendone felice e forse credendo di poter contrattare. Sembra infatti riluttante di fronte alla condizione di Blackwell. L'unica imposta su di lui. Ha scelto me e non le sue figlie preferite.
Andra e Audie si sono salvate, questo è certo. Forse lo capirà presto e ringrazierà la sua buona stella, quella che ha appena affidato a me un arduo compito che non intendo compiere.
La stanza sembra restringersi. I volti dei presenti contorcersi sotto i miei occhi ardenti. Chiudo di scatto la scatolina e la faccio strisciare verso quello stronzo che crede di potermi costringere a stare con lui solo perché suo padre ha un nome e può permetterselo.
Io e Rhett, apparteniamo a due famiglie piene di soldi, yacht e case sparse. I nostri nonni hanno lasciato un'impronta importante e da tramandare in svariati settori. Solo che non sempre le cose sono andate come previsto. Ci sono stati anni in cui il rapporto, a causa degli accordi, tra le famiglie è vacillato. Ecco perché siamo qui. Per non perdere un solo centesimo dalle nostre tasche e per non entrare in una guerra dove esiste un vincitore, solo un sadico figlio di puttana.
Mio padre non è ricco quanto loro. La nostra è quel tipo di ricchezza che si è accumulata grazie ad affari loschi.
Dopo mio nonno, mio padre è entrato in un giro dal quale non potrà più uscire se non con la sua morte. E per allora, al suo posto, saliranno le mie sorelle o i loro mariti. È una questione di gerarchia, di fiducia e potere. La persona più astuta prende tutto. Ma lui ha sempre un piano B. Ha già scritto il suo testamento e so che ogni anno aggiunge o toglie qualcosa dalle proprie equazioni. Io ne no ho mai fatto parte. Lo so perché con i miei mezzi sono riuscita a metterci le mani. Mi crede stupida e questo gioca a mio favore.
La rabbia nel giro di pochi secondi mi incendia. In breve quel fuoco divampa come se fossi fatta di rovi intricati e spine, consumando ogni cosa.
«No», dico semplicemente generando un verso strozzato da parte di Ersilia, Andra e Audie, le quali iniziano a starnazzare dandomi della pazza, chiedendomi di non fare un torto simile al signor Blackwell. Ma io sono decisa a dare una lezione a nostro padre.
«Sai cosa comporta questo rifiuto, ragazzina?»
Fisso Seamus Blackwell, ignorando il fastidio dovuto al vezzeggiativo. «Trovate un altro modo per fare affari tra di voi. Io non sono in vendita o oggetto di scambio. Voglio essere tenuta lontana da questo. Presto me ne andrò, mio padre è sempre stato d'accordo, dato che sono solo il frutto del peccato di una notte e non ritenuta parte della famiglia in modo legittimo. Avrebbe dovuto avvisarvi prima di accettare e mettere su questa ridicola messa in scena».
Il signor Blackwell non sembra ferito quanto piuttosto curioso. Sorride persino sotto i baffi. «Per quanto sia coraggiosa la tua presa di posizione e mi piaccia il tuo atteggiamento, purtroppo tuo padre ha firmato l'accordo e adesso non potrete tirarvi indietro. Non sapevo niente dei vostri trascorsi, a parte la tua nota origine. Francamente non m'importa. Quindi se non vuoi che perdiate tutto, accetterai la proposta. In caso contrario, vi ritroverete entro ventiquattr'ore fuori da questa graziosa villa. Pensaci, Faye».
Solo allora mio padre si solleva dalla sedia. «Accetterai questo fidanzamento e farai quello che dico io, Faye. Ti aggiungerò nel testamento».
«Le mie sorelle sono la scelta migliore. L'hai sempre sostenuto e ora hai cambiato idea per baciare il culo a questi stronzi? Sei davvero avido».
«Non offendere i Blackwell. Adesso scusati, accetta il dono e sali in camera».
«Non farò niente di tutto questo. Buona serata e buona vita, signor Blackwell».
Senza attendere mi allontano dalla sala da pranzo.

Savage - Come carezza sulle cicatriciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora