Faye
Non mi aspettavo di incrociare due occhi freddi come il ghiaccio più profondo quando ho sentito bussare alla porta. Credevo fosse la cameriera, arrivata con largo anticipo. Per questo non mi sono neanche voltata.
Non che mi avrebbero guardata. Gli è stato gentilmente proibito di parlarmi o di avvicinarsi. Mi lasciano tutto a debita distanza; neanche fossi un'appestata.
Ersilia e in particolare mio padre, non vogliono che il pettegolezzo dilaghi. Anche se so già come vanno queste cose. Più provi a nascondere la polvere sotto il tappeto più si innalza a ogni folata di vento.
Provo solo un forte senso di ingiustizia che pian piano, come una goccia di veleno, si sta instillando dentro di me sotto forma di odio.
Il fatto che Rhett sia qui, a controllare la situazione, mi fa sentire ancor più a disagio e sporca. Sono un investimento, questo è chiaro. Il fatto che non stia gradendo quello che vede, perché sono stata danneggiata, mi provoca una brutta sensazione nelle viscere.
Mentirei se dicessi di non aver pensato a lui nelle ultime ore. Niente di malizioso, si intende. Rivederlo non mi provoca fastidio, bensì riaccende quella parte di me che ha bisogno di ribellarsi.
Potrei fare una serie di battute, ma sarebbe imbarazzante e non ho proprio voglia di sentirmi giudicata o guardata con compassione. Non sopporto la finta pietà. Eppure, non riesco a capire perché continui a guardarmi in quel modo.
«Ho qualcosa sul viso?», mi sfioro lo zigomo accaldato. «Della cioccolata, presumo».
«È qui».
Prima che possa muovermi si protende e con il pollice mi sfiora l'angolo del labbro. Fa molta attenzione a non avvicinarsi al lato dolorante.
È una strana sensazione, per niente sgradevole, se devo esser sincera, quella che mi si abbatte con una certa forza lungo ogni centimetro di pelle.
Mi ritraggo in fretta, cercando di riportare il respiro alla normalità, con un cipiglio evidente per il suo gesto tanto accorto quanto innocente e spontaneo. Ma non solo, lo faccio perché scorgo qualcun altro entrare nella mia stanza.
Hanno saputo quello che è successo? Per questo sono qui? O è solo un caso? Un altro tentativo di convincermi a fare il mio "dovere"?
«Faye, lui è Faron», Rhett controlla ancora e quando una seconda figura, palesandosi, si appoggia allo stipite sollevando due dita in segno di saluto, presenta anche lui. «Dante. I miei fratelli».
I tre hanno visi che sembrano usciti da un quadro su creature perfette e divine. Se messi a confronto è palese il fatto che non sono stati generati dalla stessa madre. Presumo che ognuno di loro abbia ereditato qualche tratto che non appartenga ai Blackwell.
Faron ha un naso dritto, l'aria di un ragazzo scaltro, cresciuto per strada prima di essere adottato da Seamus. Dante ha degli occhi mozzafiato, di un verde intenso. Ma sembra braccato. O, semplicemente, non ama vivere in un ambiente come il nostro. So che ha una famiglia numerosa. Ho conosciuto sua sorella, Regina. È simpatica. Non come tante altre ragazze della nostra età.
«Vi darei un caloroso benvenuto, ma vostro fratello è la causa di questo», non mi scuso per il tono acido, indicandomi la faccia.
Faron, con i suoi occhi scuri mi studia quasi divertito, mentre Dante, apparentemente il più piccolo dei tre, piega la testa di lato strizzando la palpebra e comunicando con Rhett allo stesso modo in cui a volte comunico anch'io con le mie sorelle.
«Causa o meno, tuo padre non avrebbe dovuto per nessuna ragione metterti le mani addosso», mi risponde con freddezza Rhett.
Gli altri due annuiscono concordi.
Faron si avvicina alla finestra e scostandola fissa fuori perdendosi in chissà quale pensiero. Mentre Dante sta studiando con attenzione un quadro, le mani tenute dietro la schiena.
«Non sarebbe successo se non ti fossi intestardito su di me e avessi scelto una delle mie sorelle. Per la cronaca le preferite del signor Wild».
«Non sarebbe successo se non ti avessi beccata a origliare e tu non mi avessi attaccato quando ho tentato di fermarti, attraendomi come nessun altro è mai riuscito a fare».
Mi spaventa a morte questa sensazione provocata dalle sue parole che mi raggiunge e mi fa saltare più di un battito.
Lo stomaco mi si annoda in un groviglio pesante, come un masso al centro di una radura impossibile da estrarre, mentre una scarica piacevole si dirama veloce e scoppiettante dal petto fino a ogni altra parte sensibile del mio corpo.
«Quindi è colpa mia adesso? Perché invischiarmi in questo stupido gioco quando è chiaro che tuo padre è solo un bastardo e ne trarrà ogni vantaggio dal patto? Non prendermi in giro, Rhett. Seamus Blackwell ha tanto l'aria di uno che sa come fottere la gente. È un manipolatore».
Notando il modo in cui mi sto agitando e sto offendendo suo padre, provo a ricompormi. Stringo e allento la presa delle mani, per farle smettere di tremare. «A ogni modo, a breve dovrei cenare e vorrei farlo senza dovermi sentire circondata o sotto osservazione come un topo da laboratorio. Quindi se non vi dispiace...»
Faron è il primo a rispettare la mia richiesta. Nonostante ciò, prima mi si avvicina e con un sorrisino mi prende la mano e mi bacia il dorso. «Sarai proprio a tuo agio con i Blackwell. Ci divertiremo. A presto».
Dante lo segue a ruota, al contrario del fratello non si avvicina. Prima di uscire dalla stanza si volta. «La prossima volta, e spero non succeda, difenditi almeno».
Spalanco gli occhi. «Come...»
«Faron ha ragione. Sarai la benvenuta in famiglia. Per la cronaca, neanche noi ci saremmo mossi implorando pietà. Ma a volte è necessario reagire contro i bastardi quando sono distratti o fin troppo tranquilli», mi fa l'occhiolino ed esce dalla stanza.
Attendo che anche Rhett faccia lo stesso. Lui però rimane seduto sul divano. Non si muove. I suoi lineamenti sono del tutto inespressivi.
È fin troppo tranquillo.
Controlla l'orologio, mentre io prendo un altro cioccolatino. Ho troppe domande sulla punta delle lingua, ma non voglio che rimanga ancora qui dentro a infestare l'aria con il suo profumo e il suo umore.
Adesso capisco i discorsi delle mie sorelle mentre si pettinano a vicenda o si fanno le unghie. Comprendo persino Joleen e la sua improvvisa voglia di provare cose nuove, prima di mettere la testa sulle spalle.
È assurdo perché non lo conosco, Rhett riesce ad attrarmi. Provo vergogna per una simile emozione, ma non posso allontanarla. Mi brucia dentro e lui sembra alimentarla con poco.
Sono cresciuta in una famiglia in cui ho dovuto nascondere ogni debolezza. Perché quando mostri emozioni chiunque può distruggerti. Ma di fronte a lui, non credo di poter avere la stessa forza, non quella di combatterlo.
Rhett è maestoso. Odio il modo in cui lo odio. Odio il modo in cui mi fa sentire. Non è giusto. Non va bene. Non lo accetto. Non posso trovarlo affascinante quando dovrebbe ripugnarmi l'idea di essere finita nella sua rete.
Lungo il corridoio sentiamo rimbombare dei passi pesanti. Mio padre, pochi istanti dopo, entra come una furia nella stanza.
«Faye!», sbraita il mio nome.
Sussulto.
Non appena vede Rhett incespica e si ferma sulla soglia. Cerca di ricostruire una facciata meno irata e finisce per avere un sorriso da doppiogiochista.
Rhett, di rimando, non è da meno. «Signor Wild, che piacere rivederla».
«Rhett», mio padre lascia uscire il suo nome con un singulto. Alle sue spalle compaiono Faron e Dante.
Nonostante siano dei ragazzi e non uomini fatti e finiti, fanno un certo effetto schierati in quel modo. Sono fieri e hanno quel luccichio pericoloso nei loro sguardi.
«Buona sera, signor Wild», esclamano. «La stavamo giusto aspettando. Ci chiedevamo quando sarebbe arrivato. Deve essere stato impegnato dopo aver ottenuto tutti quei fondi».
Rhett si abbottona la giacca alzandosi dal divano. «Come mai non è in sala da pranzo?»
«Sono venuto a chiamare Faye».
Rimango seduta sul divano. Non mi soffermo sullo sguardo indispettito di mio padre quanto piuttosto sulle espressioni dei tre ragazzi. Che cosa hanno in mente di fare?
«Perché non mandare una cameriera?»
Mio padre arrossisce. «Volevo accertarmi che, ehm, che Faye stesse bene. Che fosse disposta a scendere».
Bugiardo!
Mi avrebbe costretta con la forza, proprio come ha urlato che avrebbe fatto se mi fossi ribellata ancora ai suoi comandi.
«Oh, sta sicuramente alla grande dopo il suo piccolo incidente».
Qualunque cosa mio padre legga nei suoi occhi, lo fa agitare ancora di più.
Non esulto. Non mi intrometto. Sento soltanto addosso la paura. Perché lo percepisco nell'aria. Non è sottile, è soffocante quello che Nolan Rhett Blackwell emana.
Quel senso di rabbia tenuto a bada e nascosto dietro quell'espressione seria e a tratti rilassata, è talmente assurda da farmi tremare dentro.
«Così alla grande da avere dei punti di sutura sul suo bel viso e dei lividi, molti dei quali evidenti, sul corpo», prosegue.
«Così alla grande da starsene isolata in questa stanza, lontana da chiunque possa spifferare qualcosa su quanto è successo tra queste pareti solo poco dopo che lei ha rifiutato una proposta e mio fratello se ne è andato», si intromette Faron.
«Così alla grande da essere obbligata a nascondere quello che invece rimarrà sulla sua pelle», prosegue Dante, senza nascondere il proprio disprezzo, a differenza degli altri due.
Mio padre ride in maniera isterica mettendo le mani avanti. «Suvvia ragazzi, è stato un incidente. Non è vero, Faye? Diglielo! È sempre stata goffa. La sua caduta dalle scale...»
«Interessante. Non ero a conoscenza di questa versione», Rhett lo raggiunge mettendosi davanti a lui. Gli sistema la cravatta stringendo un po' di più il nodo. «E voi?», chiede ai suoi fratelli che come avvoltoi hanno appena circondato mio padre.
«No, io no».
«Neanche io».
Perché stanno facendo tutto questo? Com'è possibile che dei semplici ragazzi siano in grado di emanare un simile potere, semplicemente unendo le forze?
«Co-cosa vi ha detto?», mi indica senza riuscire a guardarmi in faccia, dando per scontato che io abbia spifferato tutto per farmi proteggere.
Non sono un'infame come lui, e vorrei tanto dirglielo.
Dopo essersi scostato da lui, Rhett, finge di sistemarsi i polsini della camicia. Ma non ha niente in disordine. È impeccabile, quasi in modo innaturale.
«In realtà è stata Ersilia a dirci che Faye non stesse bene perché indisposta. A quanto pare lo è ma per un motivo diverso dal suo ciclo mestruale».
Mio padre avvampa. I suoi occhi scattano nei miei e capisce di avere commesso il primo errore a credermi una spia. Si è annodato il cappio da solo. Lo stesso che poco prima Rhett gli ha sistemato.
Mi agito e trovo una posizione più comoda sul divano. Non voglio perdermi nessun dettaglio di questo spettacolo. Umiliare Theodore Wild è raro quanto vedere un unicorno.
«Perché non scendiamo a cena?»
«Gradirei che mi si portasse qualcosa qui, in modo tale da cenare con Faye. Non vorrei che si affaticasse dopo il suo piccolo incidente. Cercherò di tenere d'occhio la sua goffaggine, lo prometto», dice Rhett, sfoderando un sorriso impertinente.
A che razza di gioco sta giocando?
Rhett fa un cenno con il capo ai fratelli, i quali si spostano e attendono che mio padre lasci la stanza per seguirlo.
«Scenderò dopo il dolce, signor Wild. Si goda la cena. Mio padre ha delle cose da dirle».
Perché nel suo tono sembra ci sia qualcosa di definitivo? Un messaggio nascosto, come a dire: "Si goda la cena, perché dopo non sarà lo stesso quando la torturerò".
Rimasti di nuovo soli, Rhett viene a sedersi.
«Cos'era quella messa in scena?»
Scosta i fiori e la scatola di cioccolatini facendo spazio sul tavolo basso da caffè per l'arrivo della cena, la quale ci viene servita pochi minuti dopo. Lui va a prendere il vassoio, lo porta nel salottino, disponendo tutto con attenzione.
Attende che la cameriera se ne sia andata dal piano per parlare.
«Nessuna messa in scena, piuma».
Sbatto le palpebre. «Davvero?»
Solleva la cloche e assaggia il filetto di salmone su un letto di rucola con salsa al pepe rosa e patate. «Davvero», si lecca le labbra e beve un sorso d'acqua dopo aver annusato il bicchiere.
Prima non mi è sfuggita la smorfia che ha fatto quando gli ho offerto parte del cioccolatino.
Mi io vedo al di là del modo in cui si muove nello spazio in cui si trova. Oltre il suo corpo, la sua sicurezza, quell'espressione selvaggia e ribelle, nasconde angoli pieni di segreti che mi piacerebbe conoscere a uno a uno. Ma dubito che mi farebbe avvicinare così tanto da svelare ogni sua più lieve sfumatura. A Rhett Blackwell piace vivere tra le ombre.
Mangio quello che riesco, senza strafare. Giunta al dolce, esito. «Non è che anche stavolta mentre provo a godermi il mio pasto preferito tu rovini tutto?»
Scrolla la testa. L'ombra di un sorriso a increspargli le labbra, prima della piega all'ingiù.
Il suo dolce rimane intatto, non lo guarda nemmeno.
«Se avessi avuto un'altra scelta, l'avrei fatta».
«Sono desolata di essere una pessima scelta», affermo irrigidita.
«Sei quello che non mi aspettavo», dice, controllando l'ora.
Nell'aria si libera qualcosa di spaventoso e incontrollabile. Elettricità e consapevolezza di essere esposti.
Ci fissiamo, mentre il silenzio si protrae rendendo il mio respiro quasi affannoso, il mio battito un tumulto di scosse repentine e rumorose nel mio petto e rimbombanti nelle mie orecchie.
Rhett si avvicina. Fa quel passo che io avevo evitato con così tanta fatica. Sicuro di sé, mi sfiora appena il viso. Una carezza innocente e quasi palpabile, ma che mi fa sentire una morsa stretta allo stomaco e un prepotente brivido seguito da una fiamma che accende il mio corpo nei punti più sensibili.
«Devo andare».
«Dove?», domando così in fretta da sorprendere persino me stessa.
Mi strizza l'occhio. «Non ho dimenticato il mio piano, tantomeno dimentico i miei doveri. Adesso che sei sul punto di far parte della mia famiglia, neanche tu dovresti», mi dà un bacio sulla tempia, infine raggiunge la porta.
Non dovrei lasciarmi ammaliare dalla sua tenerezza, né permettergli di attirarmi a sé con così tanta facilità. Dovrei respingere ogni impulso di avvicinarmi e lasciarmi avvolgere per non avere più paura, per non tremare al ricordo della violenza subita.
Schiva il cuscino che gli lancio e mi sorride facendomi un cenno con la testa, prima di uscire dalla mia stanza.
Non so cosa abbia in mente ma... inizio ad avere paura.💛🪽
STAI LEGGENDO
Savage - Come carezza sulle cicatrici
AksiIl dolore fisico lo puoi controllare quando smetti di provare qualsiasi emozione e ti indurisci. Il rumore di un'anima che è stata sopraffatta dalla paura, invece è difficile da sedare. Questo lo sa bene Nolan Rhett Blackwell. La sua vita è un incu...