Capitolo 10

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Rhett

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Rhett

Un'adrenalina carica di aspettativa e ansia annega le mie vene, mentre uno stormo di rapaci sta banchettando con le mie viscere.
Restare calmo non mi è concesso. Così come non è possibile che un piano, una volta tanto, vada liscio come l'olio.
Mio padre, di seguito al dolore vissuto per la morte di mia madre, sempre ammesso che ne abbia provato, mi ha cresciuto con una vena di crudeltà. Il suo motto è sempre stato lo stesso, trasmesso a ogni generazione e di conseguenza ai suoi figli: "Famiglia. Onore. Dovere".
Lui ne ha fatto un vanto, credendoci, ed è riuscito a nascondere i suoi spigoli celandoli dietro una maschera. La stessa che ha fatto indossare ai suoi figli per difenderli da un mondo corrotto. Io, invece, continuo a ripetermi le parole nella testa e a non collocarvi nient'altro che dolore e solitudine.
Proprio mio padre sta ipnotizzando gli invitati con chiacchiere inutili, musica, buon champagne, vino proveniente dalle migliori cantine e cibo di qualità, preparato da uno chef stellato che chi vuole può persino vedere all'opera; mentre io mi concentro sul respiro, sul discorso che ho imparato a memoria e ripetuto fino alla nausea per non commettere nessun errore nel caso in cui i miei piani dovessero cambiare. Non solo, mi concentro anche sui gesti meccanici quando mi ritrovo a dover affrontare uno degli adulti pronto a mettermi alla prova per vedere se sono degno. Soprattutto, sto cercando di evitare qualsiasi conversazione sull'argomento di cui tutti vorrebbero parlare per non generare inutili aspettative. Ormai sospetto che Seamus, andando a porgere il suo invito di persona a chi stasera si è unito ai festeggiamenti, abbia già spifferato la notizia mettendomi di proposito in svantaggio.
Avrei dovuto aspettarmi la presenza di persone che mai avrei voluto intorno in un giorno così unico. Perché in fin dei conti lo è. Sarà la mia prima e ultima dichiarazione. L'unico momento che mi concederò prima che tutto si dissolva. Non succederà più. L'ho promesso a me stesso. Forse l'avevo già stabilito sin dal nostro primo incontro.
Ciò che non potevo prevedere più di ogni altra cosa è la presenza di una ragazza che ha messo in pericolo la donna che voglio al mio fianco fino al mio ultimo respiro.
Ricordo di averla messa in guardia. Di averla lasciata libera e in vita per non dover spiegare a Faye i pensieri di un mostro che erano affiorati poco dopo aver fatto confessare quel bastardo.
«Che cosa hai in mente?», mormoro a denti stretti, fingendo di portare alle labbra un calice e sorridendo in direzione di due donne che si sventolano e continuano ad ammiccare nella mia direzione.
«Cristo, hanno cent'anni insieme e non riescono proprio a contenersi dal provarci con un ragazzo che a breve sarà impegnato», sibila Faron, arricciando il suo naso dritto con un po' di disgusto. «Dovrebbero fare la fila per nostro padre o per nostro zio».
Nominarlo fa irrigidire entrambi. I miei occhi corrono lungo la folla e lo individuano in fretta. Parsival se ne sta comodamente seduto su una sedia come se fosse su un trono. Sta presentando a chiunque il suo nuovo giocattolo.
Mio cugino, o presunto in quanto so che non ha un goccio del nostro sangue in corpo, seduto accanto a lui, ha l'aria annoiata. Non mi è di certo sfuggito il modo in cui ha continuato a fissare la porta. Non è l'unico a voler scappare da questa sala piena di avvoltoi pronti a planarti addosso e a cibarsi di ogni tua debolezza.
I vani tentativi di zio Parsival di appropriarsi del nostro patrimonio sono quasi sempre eccessivi. Ecco perché non me la bevo questa improvvisa voglia di fare il padre.
Quel poveretto non dovrebbe trovarsi qui. Non avrebbe mai dovuto diventare una pedina. Mi dispiace per lui e da una parte spero non venga rovinato dalla nostra famiglia.
Ci ho provato ad avvicinarmi, a trattarlo come un fratello, ma a quanto pare è come un gatto randagio. Parecchio schivo e pronto a soddisfare qualsiasi capriccio del suo nuovo padrone.
Mi auguro non riceva brutte sorprese quando il cerchio si chiuderà. Perché in un modo o nell'altro, succederà.
Faron controlla l'ora, prendendo un sorso di champagne.
«Non dovresti bere», lo redarguisco.
«Mi serve coraggio liquido per tollerare tutto questo. Un goccetto potrebbe aiutarti a sciogliere la tensione. Vuoi che vada a prenderti quel liquore invecchiato di Seamus? Quello che abbiamo nascosto?»
Per quanto la sua proposta sia allettante, nego. Bere non è mai la soluzione e stasera devo essere lucido e presente. «Non voglio che nostro padre rovini anche questa serata. Ha già invitato chi non avrebbe dovuto».
Faron appoggia il calice vuoto su un vassoio. «Se è per gli invitati non preoccuparti. Al loro arrivo sono stati perquisiti come dei cazzo di pregiudicati e i loro telefoni rimarranno dentro una cassaforte. Qualcuno ha avuto da ridire su questo trattamento e ha iniziato a spettegolarci sopra», ghigna. «Il nostro caro Seamus riceverà ben più di un contraccolpo dai suoi cosiddetti amici. Se pensi a Faye, invece, arriverà. Ai Wild piace fare un po' di scena e l'attesa ne fa parte».
«So che verrà», giocherello con il liquido nel mio calice. «Non so come reagirà a tutto questo», indico la sala addobbata in pompa magna. Candelabri, oggetti di cristallo, posate d'argento, raffinate porcellane. Poi ancora, bouquet di fiori a ogni angolo. Il puzzo di una ricchezza guadagnata con il sangue versato e un'arma puntata alla tempia del nemico.
Faron soppesa il mio sguardo. «Ci sarai tu ad alleviare tutto. È ciò che conta», mi rassicura. «Tutto questo, per lei ha il valore di un granello di sabbia».
Non dovrei abbassare la guardia ma questa fiducia mi riscalda e fa sciogliere per un momento la tensione dal mio corpo. Abbastanza da non riportare i miei pensieri verso quel lato catastrofico.
«E per te ci sarà lei. Ci saremo noi», Faron indica se stesso e Dante, impegnato a nascondersi dal resto degli invitati dietro una colonna, con il broncio e le braccia conserte.
Sorrido e passo un braccio sulle spalle di Faron. «Quando non fai lo stronzo sei tollerabile».
«Sì, anch'io ti voglio bene. Adesso vado a rompere le palle a quell'anima oscura di Dante. Scommetto che sta pensando ancora a quella ragazzina e a come svignarsela prima dei fuochi d'artificio», brontola, allontanandosi per raggiungere nostro fratello.
Rimasto solo, controllo ancora tra la folla.
Joleen, nel suo abito lungo color glicine e i capelli biondo ossigenato raccolti, sta chiacchierando amabilmente con degli invitati. Neanche fosse lei a dover ricevere la proposta, continua infatti a mettersi in mostra. Di tanto in tanto i suoi occhi cercano tra la folla soffermandosi su di me. Non muove un passo nella mia direzione. C'è solo un pizzico di sfida e il suo essersi invaghita di una persona che non avrà mai: me.
I suoi genitori sono del tutto ignari delle ambizioni della figlia. Non c'è voluto poi così tanto per capirla. Lei e Parsival potrebbero stare perfettamente insieme.
Mi auguro si mantenga a debita distanza e non abbia niente in mente o la promessa di non farle male verrà ritirata seduta stante e i presenti saranno testimoni della mia furia. Già una volta mi sono lasciato abbindolare. Non commetto mai lo stesso errore.
Joleen si è tenuta alla larga da Faye, vero. L'ho fatta controllare da due dei nostri uomini fidati e non ha usato nessun mezzo per rendere la vita di Faye un inferno come avrebbe tanto voluto fare prima del mio intervento. Sa bene che la sua famiglia potrebbe ritornare verso la periferia, senza un soldo. Una sola parola e ogni loro ricchezza conquistata gli verrà sottratta.
Ma so anch'io che quando si teme qualcosa poi con il tempo la si rincorre fino a distruggerla. Lei è una cacciatrice. Dubito si sia arresa tanto facilmente.
Mi liscio il gilet chiudendomi la giacca mentre dalla porta sfilano due ragazze dai sorrisi raggianti e dai capelli rossi, i volti pieni di sorpresa non solo per la ricchezza mostrata dai Blackwell, quanto per l'opportunità di poter conoscere un possibile pretendente. Al loro seguito, una donna con un abito color crema, Ersilia, al braccio di Theodore Wild in completo elegante e i capelli pieni di gel.
Dopo pochi istanti, sola e austera come una regina, dalla soglia entra Faye.
Indossa un abito lungo di morbida seta nera, con le spalline sottili e lo scollo quadrato. Lo spacco fino al ginocchio le lascia intravedere la gamba slanciata. I capelli in una piega mossa sono raccolti lateralmente a nascondere parte della cicatrice a forma di luna sul viso e tenuti fermi da un fermaglio a forma di ramo pieno di lustrini. Si è truccata lievemente e non ha nient'altro addosso. Niente anelli, niente orecchini, nessuna collana. L'unico gioiello si trova allacciato al suo polso. Si tratta del braccialetto che le ho regalato. Un simbolo e in parte un messaggio.
I miei piedi si stanno già muovendo nella sua direzione.
Perché non conta dove siamo o di cosa siamo circondati. Non contano le ricchezze, le persone. Lei quando entra in una stanza, diventa l'unica.
I suoi occhi si aggrappano ai miei e accorgendosi di non essere più sola avanza con maggiore sicurezza su quei tacchi a spillo.
Giunto davanti a lei, mi chino e le prendo la mano baciandole il dorso.
Stando al gioco si profonde in un lieve inchino.
«Principessa Faye», la saluto.
«Principe Rhett», ricambia nascondendo un sorriso.
Le porgo il braccio e lei me lo circonda. La porto subito dai miei fratelli, i quali attendono con impazienza e la accolgono con il loro affetto, seppur contenuto a causa della situazione in cui ci troviamo. Seamus infatti continua a tenerci d'occhio, intenzionato a intervenire al minimo errore.
«State entrambi bene così in tiro», si complimenta con loro, facendo nascere in me un po' di sana gelosia. 
«Tu sei magnifica. Riservami un ballo», le dice Faron ammiccandole, prima di scomparire tra la folla.
«Vado a controllare che non inizi una rissa con Coleman. Adora stuzzicarlo», Dante alza gli occhi al cielo.
«E a te chi ti controlla?»
Sbuffa, si volta e mi sfida nascondendo il dito medio tenendolo alzato dietro la schiena, prima di raggiungere Faron, il quale lo aspetta.
Faye nota il modo in cui sto osservando i miei fratelli e mi molla un breve colpetto con la spalla. «Puoi sorridere, sai. Ti brillano gli occhi quando li guardi».
«In un certo senso è come se li avessi cresciuti. Sono la mia famiglia e parte del mio sangue».
«Stanno crescendo e devi iniziare a lasciarli andare», mi prende in giro.
Le porgo un calice ma lei lo rifiuta. «Voglio essere sobria. Ho notato Joleen e non voglio nessuna sorpresa. Dio solo sa cosa potrebbe inventarsi. Non capisco perché sia qui».
Le circondo la schiena con un braccio. Quando la mia mano si adagia sul suo fianco lei si inarca e mi si preme addosso.
Non ho dimenticato i momenti che abbiamo vissuto meno di due settimane fa nella sua camera al college. Stento a trattenermi dall'abbassarmi ulteriormente e dal baciarle una spalla o il collo. Sto anche cercando di immaginare qualcosa di sgradevole per evitare un'erezione.
«Si trova qui perché i suoi stanno iniziando a integrarsi, dato che lavorano per una delle società di mio padre. Lei non farà niente», la rassicuro. «Non se vuole continuare ad avere lo stile di vita di una principessa», aggiungo.
Faye non pone domande scomode in merito alla mia constatazione. Non sembra nemmeno indignata dalla mia sicurezza. Sa come funziona.
«Proverò a fidarmi della tua parola».
La mia futura sposa si sta trasformando in un'ossessione. Tutto parte da questa passione così improvvisa, da questo bisogno per la quale sto mettendo da parte ogni altro impegno. Non ho tempo per essere romantico, dovrei concentrarmi sugli affari. Non posso apparire così debole. Eppure è così che mi sento.
Facendo attenzione a non metterla in imbarazzo, e a non sembrare disperato, mi avvicino e premo delicatamente il palmo sulla sua guancia. Avverto la solita scossa invitante e pericolosa che mi fa rizzare il cazzo nei pantaloni.
Faye mi guarda, come sempre attenta e piena di domande. Sposto la mia attenzione su quelle morbide labbra sempre martoriate e arrossate dai denti che smanio di assaporare.
«Ho qualcosa sulla faccia?»
Per quanto desideri spogliarla e perdermi nel suo corpo florido, scoparla e farle urlare il mio nome, voglio qualcosa di più. Voglio che si senta talmente legata a me da non lasciarmi.
Qualcosa nella mia espressione deve metterla in tensione. Abbasso le spalle e con le nocche le accarezzo ancora una volta una guancia.
«Posso farti un complimento?»
«Uno solo. Te lo concedo. Forza, fai del tuo peggio».
Sorrido. «Sarà anche il più banale, ma... sei bella».
«Grazie, Rhett».
L'attiro e la vicinanza dei nostri corpi fa innalzare la temperatura. Ancora una volta immagino qualcosa di viscido per non avere una grossa sporgenza in mezzo alle gambe a indicare a tutti quanti quello che mi provoca il sedere sodo di Faye strusciato contro il mio inguine.
Mi abbasso per sussurrarle all'orecchio. «Ti va di spostarci nel mio posto preferito?»
Finge di essere scioccata portandosi la mano davanti alla bocca. «Nolan Rhett Blackwell, pensavo non avresti mai chiesto di appartarci. Chi sono io per rifiutare una richiesta tanto allettante e sconveniente».
La mia mano scivola nella sua. L'intreccio delle nostre dita attira qualche sguardo ma io e lei non fissiamo nessuno, ci concentriamo solo sulla porta che conduce al giardino.
Ci affrettiamo prima che qualcuno ci fermi e raggiungiamo la panchina sulla quale mi siedo, apro le gambe a l'avvicino.
Faye arrossisce, impreparata alla mia spontanea manovra. Non si oppone e adagia le braccia sulle mie spalle.
«Puoi toccarmi. Prometto di non mordere».
Piega la testa di lato. Fa scorrere la mano sul mio viso. Con il pollice mi accarezza una gota, poi scende e vira verso le mie labbra.
«Mi chiedo se potrò avere ancora in bocca il tuo sapore. Tu no?»
Mi prende il viso con entrambe le mani. Si abbassa, lasciandomi intravedere il panorama delle sue tette al di sotto della stoffa sottile. Mi sfiora il naso con la punta del suo e prima che possa baciarla lei preme le labbra sulla mia fronte.
Rido. «Stronza».
«Sei come un confetto stasera», si lecca le labbra. «Vediamo se hai lo stesso sapore», afferra la mia cravatta e mi tira a sé baciandomi.
Le sue labbra sono davvero morbide come sembrano. Hanno un sapore persino più dolce.
Dovrei fare attenzione. Qualcuno potrebbe intrufolarsi in giardino, scattarci delle foto per venderle o ricattarci, ma non bado più a niente. Mi arrendo all'avidità, sprofondando ancora di più nella sua bocca.
Sento il fuoco lambirmi e rafforzo la presa sulla sua pelle. Gemo quando sento il suo corpo pronto a strusciarsi sul mio.
Lei mi sta consumando lentamente. Sono un fiammifero che ha sfregato sulla carta ruvida che ha preso fuoco.
Grazie allo spacco del vestito che le permette ampia manovra, la faccio sistemare a cavalcioni.
Mugugna qualcosa quando sente di essersi appoggiata alla mia erezione. Geme contro la mia bocca e continua a inondarmi del suo sapore dolce e assuefacente.
Le sue labbra si staccano di pochi centimetri lasciando uscire un mugolio alla sensazione della mia durezza sotto di sé.
Senza neanche rendermene conto sto muovendo i fianchi dondolandoli e l'attrito le fa venire la pelle d'oca. La sento bagnarsi sotto le mie dita.
«Dimmi che ti sono mancato, piccola piuma».
«No, neanche un po'».
Le mordo il labbro inferiore e staccandomi dalla sua bocca percorro con le labbra il collo facendola tremare. Quando le sfioro sotto l'orecchio, stringe le gambe sui miei fianchi e prova a fermarmi. Ma sta muovendo il bacino inseguendo un piacere che potrei darle senza indumenti addosso.
Le schiocco un bacio sul collo e torno a guardarla. «No, neanche un po'», sussurro.
Lei nega. «Neanche io ti sono mancata».
Le sue dita si allontanano dal mio petto, risalgono e tracciano la curva della mascella fino a raggiungere lo zigomo. Seguo i suoi movimenti lasciandomeli incidere sottopelle.
Inspiro bruscamente con il petto scosso dai battiti scostanti e le blocco i polsi.
«Piuma, così non vale».
Controllarmi è un supplizio spaventoso per la mia salute mentale. Ma le mie mani navigano indisturbate e senza alcun controllo sul suo corpo proteso.
«Sei la mia mela del peccato. Un solo morso e sarò dannato in eterno». Nonostante sappia già di non avere scampo, pronuncio lo stesso queste parole.
Le mie dita accarezzano e si insinuano di nuovo tra le sue gambe, sfiorando quel calore che sento mio.
«Rhett, cosa stiamo facendo?»
Mi piace che abbia incluso se stessa a questa equazione esplosiva. Significa che non sono solo ad affrontare una storia incerta ma di cui ogni volta ricavo qualcosa di unico.
Affondo il viso nell'incavo del suo collo. «Vuoi che mi fermi?»
Schiude le labbra inalando un po' d'aria e gonfia il petto. Dopo appena una manciata di secondi deglutisce e nega scuotendo la testa. «Io... no, non credo di volerlo».
Le bacio il collo, assaporando i suoi brividi. «Se non ti piace qualcosa, fermami».
Annuisce, preparandosi a qualsiasi gesto da parte mia. Ma non ho intenzione di slacciarmi i pantaloni nel bel mezzo della nostra serata. Voglio solo aiutarla a rilassarsi, vederla libera e a suo agio con me. Perché ho tutta l'intenzione di stare al suo fianco. Non di abbandonarla. Neanche quando sarà lei ad andarsene.
Le mie dita accarezzano pigre il tessuto dei suoi slip, percependo il calore solo a poca distanza. Un gemito irregolare le sfugge dalla bocca e con la mano scatta agguantandomi il viso. Si inarca e nel frattempo sale ad aggrapparsi ai miei capelli, attirandomi a sé.
Scosto la stoffa e sfioro la pelle delicata e umida, scoprendo la bellezza che le si dipinge sul volto quando la tormento o mi fermo. Sto giocando con le sue terminazioni nervose e questo mi fa impazzire. Sono prigioniero di un desiderio che continua ad alimentarsi.
È vicina. La sento irrigidirsi, affondare le dita sulle mie spalle e lasciare andare un verso di pura e intima estasi, quando inarco appena le dita e torturo quella parte delicata del suo clitoride.
Vicina al punto di rottura, sotto i movimenti delle mie dita, pronuncia flebile il mio nome. Ma non mi chiede mai di smettere. Questo mi spinge a procedere, muovendo ancora le dita in quel varco caldo.
Sentiamo dei passi e delle risate. Lei scende nell'immediato dal mio grembo cercando di mettersi in ordine. Il volto stravolto e arrossato.
Le impedisco di allontanarsi da me. La faccio sistemare in modo da sedersi sulle mie ginocchia. Le afferro il viso e prima che protesti la bacio.
«Sei pronta?»
Sospira. «No. Tu?»
«Neanche un po'».
«Bene».
«Bene?»
Ridacchia. «Sembriamo due cretini»
«Già», rispondo roco, accarezzandole la guancia.
Lei adesso mi fissa in modo timido. «Rhett?»
«Sì, piccola piuma?»
Scrolla la testa. «Non è vero che non mi sei mancato».
Mi palpita forte il cuore. Un tumulto incessante innescato dalla sua confessione sincera.
Vorrei dirle che in parte lo avevo capito quando mi ha permesso di spingerle dentro le dita.
«Che ne dici se dopo ti porto lontano da qui?»
«Accetto se mi prendi un gelato».
«Sai che odio le cose dolci», le faccio notare. «Inizio a credere che sia il tuo unico modo di torturarmi», mi fingo irritato.
Si stringe nelle spalle sollevandosi e mettendosi di sua spontanea volontà tra le mie gambe. «Devi accontentare la tua futura sposa», sbatte le ciglia e indietreggia ridacchiando.
«Non è così che funziona», provo a riprenderla.
Inarca un sopracciglio. «Ah no?»
«Prima voglio qualcosa in cambio».
Si imbroncia fermandosi, dandomi l'opportunità di riavvicinarla. «Ma tu sei difficile da accontentare».
«Niente affatto», ribatto quasi scioccato dalla sua affermazione.
Di solito quello che voglio lo ottengo senza problemi. Forse è questo a farmi apparire ai suoi occhi come un qualcuno impossibile da accontentare. In realtà quello che desidero è molto semplice.
«Cosa vuoi?»
«Una notte».
Mi guarda confusa. Un leggero rossore le si diffonde sul viso e sul petto tornando a ravvivare la sua pelle di porcellana.
«Cosa?»
«Prima che questo finisca, voglio una notte con te».
«Rhett...»
«Pensaci e fammi sapere entro fine serata. Se non vorrai accettare, lo capirò».
Le prendo la mano, l'avvicino, le bacio le labbra di sfuggita e insieme torniamo alla festa con un timer che scorre sulle nostre vite intrecciate.

Savage - Come carezza sulle cicatriciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora