Capitolo 8

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Faye

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Faye

Cerco di restare lucida. Ma è inutile.
Sento tutto.
La presa delle sue mani sulla mia pelle quando si insinuano sulle cosce. La pressione delle sue labbra mentre con la lingua accarezza languidamente la mia. Il suo sapore. Lo stesso che sa di perversione e di quel peccato di cui aveva parlato. Che forse in fondo mi aveva persino promesso. Sento e provo più di quanto avrei mai pensato di poter provare con un bacio. Il primo.
Ogni mia terminazione nervosa a breve potrebbe uscirne distrutta. Così come il mio cuore, suggerisce la voce ansiosa e fuori dal coro nella mia testa. Quella a cui al momento non do credito perché voglio ogni cosa. Voglio tutto questo e molto di più. Voglio prendermi tutta la sua luce per ogni mio angolino di oscurità. Voglio che riempia la mia anima dello stesso desiderio e con lo stesso brivido che mi sta facendo tremare e inarcare. Voglio che questo attimo non si concluda in un semplice ricordo imbarazzante. Non ora che mi sto sentendo voluta.
Trasportato dal piacere, Rhett, serra la presa sulle mie cosce facendo scivolare le mani, in un graffio delicato e possessivo, verso il bordo degli slip e poi sui fianchi. Mi solleva ancora di più e le mie gambe, trasportate dallo stesso impeto, stringono la presa sui suoi fianchi mentre gli passo le mani sul petto, sul collo, tra i capelli che scompiglio a mio piacimento.
Spettinato dal mio avventato bisogno di guardarlo mentre è vulnerabile, ai miei occhi diventa più bello di prima, mentre rivela tutta l'eccitazione che sta provando a ogni suo nuovo movimento, a ogni bacio.
Sapevo che sarebbe stato così incredibilmente attraente. Non solo per l'aspetto. Quello è ovvio. Rhett lo è proprio per quello che non mostra. Il suo essere padrone di sé in ogni situazione fa deragliare la mia attenzione e mi fa credere di poter essere accolta in un posto dove sono voluta.
Per un attimo perdo la cognizione del tempo, il quale si prolunga aumentando solo la temperatura del mio corpo. Non mi sento in imbarazzo o in pericolo. Sono viva.
Tiro il suo viso verso il mio avvicinandomi al suo corpo con un bisogno di cui non credevo di essere in grado di poter avere.
Rhett non esita e non si ferma neanche per riprendere fiato. Fa risalire la sua mano lungo la mia vita, il mio petto e la mia guancia. Le sue labbra sfiorano le mie in un gesto giocoso dopo l'impeto di passione. Poi stringe di nuovo la presa sulla mia coscia e in quel momento un gemito mi sfugge, suscitandomi il timore di aver appena fermato tutto.
In realtà, non finisce qui. Rhett si stacca a malapena solo per premermisi meglio addosso e la sua bocca, in modo avido, si riappropria della mia.
Tengo la mano immobile, indecisa se aggrapparmi a lui o respingerlo. Se insinuarla sotto la camicia o richiudergli il primo bottone che ha tirato fuori dall'asola con uno strattone poco prima di avventarsi su di me. Neanche fossi un pensiero turbolento da dover scacciare.
Rhett emette un suono rauco e unisce del tutto le nostre labbra come un affamato. Il suo corpo si riposiziona tra le mie gambe con più pressione, talmente tanta che d'istinto mi si aprono, prima di serrarsi intorno a lui.
Un nuovo gemito mi si forma in gola. Non lo trattengo. Non me ne vergogno. Sono questa di fronte a lui. Spogliata di ogni mia sicurezza.
Ancora una volta tutto si appanna e mi risulta assurdo pensare che Nolan Rhett Blackwell mi stia baciando. Che assapori il nostro bacio neanche fosse il suo ultimo pasto. Anzi, come se assaporasse per la prima volta qualcosa che non ha veleno ma che sia dolce come il miele.
Avrei dovuto sapere che non si sarebbe fermato. Avrei dovuto starlo ad ascoltare tutte le volte in cui mi ha detto che non avrebbe mollato la presa. Ogni singola battuta o risposta, conteneva un fondo di verità. La stessa con cui mi sono appena scontrata.
«Faye», mi richiama con voce sofferente.
Come se fosse scoppiata una bolla, entrambi ansimanti, ci fissiamo increduli ma non del tutto certi di volerci separare per non mettere alla prova i nostri muscoli.
Non se ne è accorto ma in un attimo ha invaso tutto. Ha azionato un'esplosione indomabile in ogni centimetro della mia pelle dopo averla cosparsa interamente di polvere da sparo e averci gettato un fiammifero acceso.
Il suo bacio non è stato solo dettato dall'impeto o dalla voglia di tapparmi la bocca. Lui mi ha baciata come se dovesse dimostrare a entrambi qualcosa. Come se dovesse dimostrarmi che mi sto sbagliando.
Con dita tremanti, afferro il suo viso e prendo un lungo respiro per placare i colpi scorretti del mio cuore al galoppo, mentre lui preme la fronte sulla mia.
Non è niente, niente di lontanamente simile a quello che provo di fronte a un coetaneo quello che sento per il ragazzo dai lineamenti affilati e virili di cui un giorno farà sfoggio e sarà oggetto di attenzione e attrazione da parte delle donne.
Al momento ha tutta la mia di attenzione. Non solo perché mi ha appena baciata, quanto per il fatto che non riesco a smettere di guardarlo per non dovermi sentire abbandonata quando si sarà preso ogni cosa, mi volterà le spalle e se ne andrà. In qualche modo lo sto trattenendo e gli sto impedendo di lasciarmi. Cosa che avrei trovato assurda solo qualche mese prima.
«Non chiuderti. Parlami».
«Sei sicuro di voler conoscere ogni mio pensiero?», ansimo ancora lievemente.
Con il pollice mi accarezza la coscia facendo formicolare il mio corpo e facendo depositare la tensione sul mio basso ventre. Il mio corpo si sta risvegliando come un fiore a primavera. Gli è bastato così poco.
«Sono sicuro e disposto a inoltrarmi anche nel pozzo oscuro della tua infelicità se poi potrò far riemergere qualche sprazzo di luce e tenerne un po' per me», risponde.
Chiudo gli occhi segnata dalle sue parole dette con tanta sincerità. Quasi simili a quelle a cui ho pensato poc'anzi immersa nell'impeto di passione.
«Mi piacerebbe provare il tipico distacco di chi è indifferente a ogni cosa», spiego. «Ma per quanto io ci stia provando, sento di essere comunque coinvolta in questa cosa, qualunque essa sia», balbetto agitata, prendendo a gesticolare nel breve spazio che separa il mio corpo dal suo. 
«Lo capisco. È lo stesso anche per me, piuma. Sei una scossa di terremoto che non riesco a prevedere. Sei riuscita a mettere ogni cosa alla rinfusa dopo aver fatto tremare il mio mondo».
Non sono sorpresa quando la sua mano, da salda sulla mia coscia, risale ancora lungo l'addome soffermandosi sul seno fino al mio viso. A ogni tappa, affonda le dita sulla mia pelle, diretto verso la nuca.
«È sbagliato», ringhia. «Ma sarei un vero ipocrita se adesso dicessi che non mi piace quanto sia scorretto e pericoloso abbandonarmi a una simile follia».
Con il pollice mi sfiora il labbro inferiore sensibile e gonfio. «E so che anche per te è così. Puoi negarlo, saresti solo una bugiarda. La più bella che io abbia mai dovuto osare assaggiare».
Rhett pensa di non meritare la mia bocca? Ha appena detto questo tra le righe o sono io che ancora stordita mi sto facendo dei viaggi mentali?
Sbatto le palpebre, incapace di replicare o anche solo di aprire la bocca e affrontare ogni conseguenza di ogni parola che potrei pronunciare.
Rhett libera la presa sulle mie gambe e lentamente scivolo lungo il suo corpo fino a posare le piante dei piedi sul pavimento freddo, il quale mi ridona un briciolo di lucidità. Mi addosso alla parete per reggermi in piedi e continuo a fissarlo come una preda di fronte alla bestia sul punto di agire.
Sento una scossa potente nel petto. Coperta da brividi e un tremore appena visibile, sollevo il mento.
«Rhett».
Nella pronuncia del suo nome c'è tutto il significato dell'attimo che abbiamo vissuto e di tutti quelli che abbiamo attraversato.
Lui fa un passo indietro. Chiude la porta che solo adesso noto ancora aperta e vi si appoggia contro.
«Per una volta, ti chiedo di essere sincera».
«Se ammettessi quello che sento quando ti sto anche solo a pochi passi, non potrei più tornare indietro. Sarebbe impossibile andarmene».
Incrocia le braccia al petto, l'espressione mortalmente seria. «Perché?»
«Perché non posso affezionarmi. Non se ho intenzione di andarmene e lasciarmi tutto alle spalle».
«Faye».
È raro che pronunci il mio nome e non il nomignolo che ormai mi ha attaccato come colla da masticare addosso. Ma stavo imparando ad accettarlo prima di sentire la sua voce e rendermi conto di volere che lo ripeta.
«Non ti ho chiesto di restare», alza il tono.
L'aria si inasprisce e ancora una volta il senso di colpa si insinua in me.
«Non posso impedirti di andare dove il tuo cuore sta cercando di portarti».
«Ma non posso neanche pretendere che ci sarai», dico a bassa voce. «Non posso essere così egoista da ingabbiarti fino a quando? Fino al giorno in cui non avrò capito di aver sbagliato e avrò cambiato idea? Meriti di avere una vita piena. Non di cose vissute a metà».
Non mi aspettavo di potermi sentire così abbattuta. Ma è la verità. Ho il terrore di avvicinarmi troppo fino a ridurmi in un inutile frammento.
«Vieni qui». È tutto ciò che dice dopo un prolungato attimo di silenzio.
«Ma...»
«Ho detto vieni qui», ripete scandendo bene ogni parola.
«Rhett», piagnucolo quasi.
«Togliti da quella fottuta testa che ti lascio, piuma. Puoi continuare a organizzare il tuo piano per scappare, non mi opporrò. Ma vieni qui».
Adesso sì che sono scossa.
Rhett si stacca dalla soglia, mi prende per mano e poi mi avvicina a sé.
Si trattiene a stento e sento forte la sua voglia di stringermi proprio mentre sono così vulnerabile e disorientata. Proprio mentre voglio che se ne vada e che resti al contempo per poter tenere insieme i miei pezzi.
«Rhett», ripeto il suo nome neanche stessi pronunciando una litania. In realtà lo sto supplicando. Non so nemmeno io del perché. So solo che va fatto.
«Che ne dici se per adesso non pensiamo al dopo?»
«Ogni scelta ha una conseguenza».
«Dimmi di cosa hai bisogno», mi sorprende invece.
«Di non tremare così tanto. Di non sentirmi così sola o sbagliata in questo periodo dell'anno. Di non pagare con costanza per le azioni degli altri», sospiro. «Devo proprio continuare? La lista è lunga».
Rhett mi ha riportata al punto di partenza. Io sono addossata al muro e lui è davanti a me.
«C'è altro?»
Non capisco se la sua sia semplice curiosità o se c'è davvero un genuino interesse verso di me.
Abbasso gli occhi ma vanno a puntarsi sulla sua bocca imbronciata. «C'è tutto», sussurro quasi afona.
Rhett riesce a sentirmi e le sue mani arpionano i miei fianchi. Mi sollevo sulle punte dei piedi quando fa un passo avanti e mi ritrovo a dovermi inarcare per non sfiorarci troppo. Ma succede. Io e lui siamo la calamita e il ferro. Siamo incapaci di non essere il polo opposto l'una dell'altro.
Mi scosta i capelli dal viso, mi accarezza le guance, poi preme un bacio sulla punta del mio naso, risale e ne lascia un altro sulla fronte. Infine, torna verso le mie labbra ma le sfiora appena, perché subito dopo scende in direzione della mia spalla, del collo, del petto.
Sono baci soffici che sanno di brividi e peccato. Sto infatti tremando come una foglia e sto cercando in tutti i modi di scendere a patti con me stessa perché devo chiedergli di smettere quando non voglio che si fermi.
Mi cade l'occhio sulle sue braccia muscolose. Il mio respiro accelera quando mi circondano e presto mi ritrovo avvolta in un abbraccio. Il mio cuore scalpita in modo pesante. In ritardo, mi accorgo di fissare una vena particolarmente gonfia e riporto lo sguardo sul suo volto. Sollevo un po' il mento cercando di risultare sicura e fredda. Non voglio apparire come una povera sprovveduta. So che le cose che ci siamo appena detti hanno un peso, ma devo rimanere del parere che non potrà esserci niente senza rischiare almeno un pezzo di cuore. Cosa che mi terrorizza.
Rhett, ha tutte le emozioni cucite addosso con dei fili resistenti. Mentre le mie sono a brandelli.
Attendo il suo prossimo passo, una sua nuova mossa, con il cuore incastrato in gola, i polmoni stretti in una morsa dolorosa e quei pensieri che continuano ad attraversarmi con invadenza.
Quando Rhett sposta il viso, le nostre bocche si sfiorano. Abbasso le palpebre e mi protendo come un girasole verso il sole. Solo che il mio sole è più un cielo grigio, ha le spalle ampie e il viso di un angelo caduto pronto a indurmi in tentazione.
Inumidisco le labbra prima di affondare i denti sulla parte inferiore. «Dovresti andare, adesso».
Il mio tono non è autoritario, la voce fuoriesce leggermente storpiata dall'agitazione che sento montarmi dentro a ogni suo respiro.
I suoi occhi cristallini mi si conficcano come stalattiti sottopelle e l'istinto di fuggire è sempre più incombente. Perché l'uomo che ho davanti a me è ferale, di una pericolosità degna della più brutale delle bestie.
«Rhett, vattene», ripeto quando qualcosa passa rapidamente sul suo volto.
«È questo quello che vuoi, ora?», domanda inclinando la testa come un rapace.
«Non importa cosa voglio», replico con voce stridula. «Qui si tratta di fare la cosa giusta».
«Sei brava a rifilarti queste bugie del cazzo», afferma stizzito. «Sei brava a strappare a te stessa un briciolo di felicità alla volta. E per provare che cosa?»
Un solo passo ed è premuto su di me. «Puoi anche ostinarti, ma una parte di te sta desiderando questo e tanto altro. Hai gli occhi di chi ha bisogno di essere sporcata e rovinata. Dimmi, piccola piuma, hai mai desiderato qualcun altro come stai facendo ora?»
Non attende una risposta. Le sue mani stanno strizzando forte le mie natiche sotto il vestitino. Con un ginocchio mi allarga le gambe e ci si piazza nel mezzo.
Picchio i palmi sul suo petto. «No».
Sulle sue labbra affiora un sorrisetto. Si protende e sfiora le mie avvicinandomi a sé.
Provo a pronunciare una delle tante parole che ho sulla punta della lingua, ma ancora una volta lui mi precede. E sembra intenzionato a demolire quel briciolo di terra sicura che avevo conquistato.
«Non vuoi stare bene?», mi tira delicatamente i capelli, facendomi flettere il collo.
Il mio ventre sbatte contro la sua erezione quando mi tira a sé.
Deve notare il modo in cui ho appena dissimulato la sorpresa perché annuendo dice: «Proprio così, ho bisogno di stare bene. E per stare bene voglio te».
E il mio di bisogno?
La risposta arriva immediata dal mio corpo proteso verso il suo.
Una sensazione calda mi fa fremere e serrare le dita sul bordo della sua camicia.
«Dimmi di sì e per stanotte smetterò di tormentarti».
«Non capisco. Cosa mi stai chiedendo?»
«Non stiamo più giocando o stipulando un accordo. Quello che facciamo o diciamo non ha più lo scopo di imbastire una menzogna».
«Mi stai chiedendo di esserti amica?»
Strofina la punta del naso sul mio. «Ti sto chiedendo di essere mia. C'è differenza».
Prima che possa ribattere, il suo bacio mi annienta. Ma, al contempo, mi regala anche la sensazione di essere così viva, nel posto giusto.
Ogni dubbio iniziale evapora.
Rhett questa volta pretende dal nostro bacio e aumenta la presa sulla mia carne mentre di tanto in tanto muove i fianchi.
Il rumore della porta che si spalanca fa fermare entrambi.
Sandra entra barcollando. All'inizio non nota niente, prosegue dritta verso la sua stanza continuando a parlare da sola. Poi però si ferma a metà del corridoio, si volta, torna indietro e mi sorride raggiante. Solleva la mano per salutare Rhett. «Oh, ciao», ridacchia e singhiozza.
«Stanotte dormo fuori, da un'amica. Prendo un cambio. Ci vediamo domani, Faye».
Chissà come riesce a tornare indietro nonostante abbia la vista appannata dell'alcol. «Divertitevi», facendomi l'occhiolino, si chiude la porta alle spalle. Poi la sento quando dice: «Dateci dentro e smettetela di guardarvi come due animali in calore».
La sua risata si perde e non so se lasciare andare un sospiro e scriverle un messaggio per dirle di aver esagerato o accertarmi che arrivi dalla sua amica sana e salva fingendo che non abbia assistito a niente di quello che c'è appena stato tra me e Rhett.
Quest'ultimo deve cogliere la mia indecisione perché afferrandomi per mano mi trascina nella mia stanza come se ci fosse già stato.
Chiude la porta. Non si guarda intorno. Semplicemente mi fa indietreggiare fino al letto dove ricado priva di peso. Lui sale con un ginocchio sul materasso, solleva le mie  facendole piegare e mi tira sotto il suo peso.
«Per essere tua dobbiamo fare sesso?», chiedo cercando di deglutire.
«Non ti chiederei di farlo. Devi sentirti pronta per quel passo».
«E se lo volessi?»
Prima di poter pensare, respirare o fare qualsiasi cosa il mio istinto stia tentando di spingermi a fare, me lo ritrovo sopra. Con la sua stazza tra le mie gambe che lui apre a suo piacimento per poter iniziare a muovere i fianchi, andando a stuzzicare, con quell'erezione evidente, zone sensibili del mio corpo non ancora esperto.
«Allora sarai mia», sussurra contro il mio orecchio.
Il mio corpo sussulta a quel contatto. Il colore chiaro delle sue iridi mi agguanta e mi trascina a fondo. C'è soltanto lui. Non c'è altro intorno a me. Lui che mi sta toccando di nuovo con sconvolgente dolcezza. Lui che mi sta regalando brividi di cui non ho paura. Lui che mi sta facendo scoprire il piacere di un tocco che non devo reprimere. Lui che mi sta facendo riscoprire me stessa.
«Hai paura?»
Inspiro lievemente sotto il peso dei suoi polpastrelli quando cominciano a giocare con la mia pelle. Le sue dita sono abili e sicure. Marchiano a fuoco ogni centimetro. «No. Devo averne?»
«Ti sentiresti più a tuo agio?»
«Non credo».
Non riesco a cogliere i suoi reali pensieri o le sue intenzioni a causa di quel cipiglio. So solo che quando abbassa la testa i miei occhi si chiudono e il mio corpo resta in attesa.
«Bene, adesso dimmi perché non ami le festività».
Spalanco le palpebre e le sbatto convulsamente. «Vuoi saperlo per poterlo usare contro di me o mi dirai poi qualcosa in cambio che voglio sapere sul tuo conto?»
Si sdraia su un fianco e comincia a giocare con una ciocca dei miei capelli. «Con te è una continua contrattazione», sospira in parte frustrato dalla mia ostinazione che suppongo gli piaccia e al contempo lo irriti. «Va bene! Una risposta per una risposta», mi concede, facendomi cenno di iniziare.
«Non puoi tirarti indietro», gli faccio presente, ancora un po' intontita dal cambio repentino di situazione e conversazione. 
Lascia andare la ciocca muovendo la mano in un gesto atto a invogliarmi a proseguire. «Forza!»
Resto supina e mi concentro sul letto per un momento. Intorno risuonano le note del nostro respiro. Non più affannato ma lento e regolare.
«Non ho mai festeggiato il Natale o qualsiasi altra ricorrenza», confesso, restando in attesa di una sua presa in giro. Ma non arriva. Rhett sembra piuttosto attento a ogni mio più lieve cambiamento di espressione. «Negli ultimi anni o...», lascia intendere il resto della domanda.
«Intendo che non ho mai festeggiato niente in tutta la mia vita. La cena a cui ho partecipato era la prima in cui mio padre mi abbia mai voluta. Ho scoperto più tardi la ragione».
Rhett aggrotta la fronte ed è sul punto di porre altre domande, ma adesso è il suo turno di darmi delle risposte. «Perché controlli il cibo o annusi ogni bevanda?»
Sembra colto alla sprovvista. Si schiarisce la gola con un colpo di tosse. «Posso passare?»
Mi volto. «No, non puoi».
Si gratta nervosamente la tempia come se stesse valutando e trovando un modo per rispondere riuscendo a sorvolare sull'argomento. «Una precauzione».
La sua risposta è fin troppo cauta ed evasiva.
«Per cosa?»
«È il promemoria costante della mia vita. Tutte le cose belle hanno una spina piena di veleno pronta a pungerti alla minima distrazione».
Mi sdraio su un fianco e lo guardo. «Rhett, che cosa è successo?»
Prende a massaggiarsi il ponte del naso e con occhi fissi in un punto lontano della mia stanza, tra la parete e la finestra, scuote la testa. «Abbiamo detto una domanda per una domanda. Perché non hai mai festeggiato niente?»
«Mio padre. Non ha mai voluto che fossi presente».
«Mi stai dicendo che mentre lui si diverte con la sua famiglia tu te ne stai nascosta tutto il tempo?»
Annuisco abbassando lo sguardo. Non dovrei provare vergogna per qualcosa di cui non ho colpa, eppure è così. Mi sono sempre sentita fuori posto, come una conchiglia scheggiata, imbottigliata, senza sabbia né mare. A ogni colpo di marea mi sono arenata in un abisso oscuro e solitario.
«Che figlio di puttana!», esplode impetuoso. «E se partecipavi, che succedeva?»
È di nuovo il mio turno di avere un briciolo di lui e non voglio addentrarmi troppo in quei ricordi. Mio padre mi ha sempre odiata. Ha fatto in modo che lo sapessi.
«Tocca a te».
«Ero solo un bambino quando mia madre è morta davanti ai miei occhi. Non ho potuto fare niente per aiutarla».
La mia mano scatta verso il suo braccio. Non per pietà, solo per conforto e vicinanza. Rhett accetta il mio gesto e adagia il palmo sul mio.
«Rispondi alla mia domanda, piuma».
Mi mordo il labbro. «Era Natale e avevo sei anni quando annoiata e incuriosita sono scesa al piano di sotto. Volevo solo vedere cosa ci fosse di così divertente. Non avevo intenzione di farmi beccare. In ogni caso le guardie mi avrebbero riportata nella mia stanza. Era la regola. Quando ho raggiunto il fondo delle scale senza esser vista, erano tutti riuniti nel salone, davanti all'albero che avevano addobbato insieme poche settimane prima, obbligandomi a guardare dalla soglia mentre lo facevano. Mio padre stava porgendo il suo regalo a Ersilia mentre le mie sorelle strillavano strappando la carta dei loro. È stata lei a vedermi per prima. Ma non ha fatto in tempo a dissimulare la sorpresa. Così mio padre quando si è reso conto della mia presenza, si è alzato, mi ha raggiunta e poi sono stata punita. L'ha fatto davanti a tutti. Da quel momento in poi la lezione è servita a non farmi più scendere durante le festività o le riunioni di famiglia».
Ricordo anche il fatto di essere cambiata. La rabbia ha incendiato la tristezza e consumato il bene che avevo da offrire. Perché in fondo ci credevo, mi beavo dell'illusione che un giorno sarei stata accolta.
Gli occhi, mentre racconto quegli attimi a Rhett, mi si riempiono di tristezza. Lui scivola verso di me, avvolge con un braccio la mia schiena e mi avvicina un po' a sé.
«Ha negato a una bambina ogni momento sereno e divertente. Soprattutto gli ha negato una famiglia, dei ricordi. Che razza di mostro fa una cosa simile?»
«È stato facile da allora vivere nell'ombra. Ogni errore mi sarebbe costato caro. Fino alla sera in cui hai chiesto la mia mano non avevo fatto un solo passo falso», tiro su con il naso.
«Mia madre è stata avvelenata durante una cena. Mio padre da allora è cambiato in peggio. Ha avuto solo storie da una notte. Alcune le aveva già da tempo e da cui sono nati i miei fratelli. Ma le cose dopo... quel giorno sono peggiorate. Non abbiamo mai trovato l'assassino. Abbiamo indagato a fondo e non è mai emerso niente. So solo o mi convinco che quel dannato bicchiere non avrebbe dovuto essere a tavola o destinato a lei».
Mi rannicchio contro il suo petto e lo sento sospirare. Appoggia il mento sulla mia testa. «Un giorno scoprirò chi è stato», afferma con una nota tesa nel tono della voce. Non continua rivelando la promessa di vendetta che ha fatto a se stesso. Ma non ho bisogno di sentirla.
«I tuoi fratelli lo sanno?»
«Sì. Ma non hanno mai fatto domande. Accettano il fatto che per me è un argomento delicato».
«L'hai raccontato a me».
«Volevo farlo».
«Da allora hai le tue manie?»
Sorride debolmente. «Chiamiamole pure così, piuma».
«Sai che non ho intenzione di avvelenarti, vero?»
Ridacchia. «Su questo potrei dissentire».
Gli pizzico il petto, ma lui non sembra neanche sentirlo. La sua risata roca mi riscalda. «Non potrei mai avvelenare una persona che ha messo in ginocchio l'uomo che mi odia e mi ha salvata da uno stupro».
Adesso capisco molte più cose di Rhett, sul suo comportamento e sulle reazioni che ha avuto di fronte a determinate situazioni.
«E lo farò tutte le volte che lui ti mancherà di rispetto o riterrà necessario l'uso della forza. Ti proteggerò da qualunque pericolo, piuma».
Ancora una volta me lo ritrovo sopra. Resta fermo, con le labbra schiuse.
Forse non mi abituerò facilmente alla possibilità di toccarlo senza dovermi preoccupare o imbarazzare. Il fatto è che il mio corpo si muove in sincrono con il suo. Le mie mani scorrono fino alla sua vita, premono e lui si abbassa ulteriormente quando allargo le gambe e fletto le ginocchia per intrappolarlo.
«Posso spogliarti?»
Lo guardo timida e annuisco.
Lui mi sfila dalla testa il vestitino e quando sono in intimo mi fa sdraiare e mi osserva con attenzione abbassando il viso e baciandomi le clavicole, il solco tra i seni contenuti in un reggiseno particolarmente stretto.
«Posso ricambiare?»
Rhett si porta la mia mano sulla camicia, mi lascia a sbottonargliela mentre la sua bocca torna sul mio collo. Mi inarco, tirando fuori ogni bottone dalle asole. Lascio la camicia aperta e gli slaccio i pantaloni, sfiorando il rigonfiamento che svetta attraverso i boxer.
Rhett emette un suono cavernoso. «Fermiamoci qui, piuma».
Tocco il suo addome sentendo i muscoli contrarsi. «Dove ti vedi tra dieci anni?»
Blocca il mio polso portandolo sulla mia testa e abbassandosi mi ruba un bacio. «Tra le tue gambe ad ascoltare i tuoi gemiti e a soddisfare ogni più piccolo dei tuoi desideri».
Avvampo. «Rhett!»
«Sono sincero. Ma aggiungo anche che mi piacerebbe diventare professore. Devo ancora decidere il ramo».
Gli sorrido.
«Cosa c'è? Pensi che sia un ignorante arrogante ed egocentrico?»
Nego mordendomi il labbro. «Al contrario. Hai così tanti strati che vorrei scoprirli a uno a uno».
Si sdraia e mi fa cenno di avvicinarmi. Non esito e non ho niente da ridire. Quando mi adagio contro il suo petto nudo, sento quel nodo della tensione iniziale sciogliersi e annodarsi a entrambi trasformandosi in qualcosa di diverso, meno doloroso.
Le mie palpebre si abbassano e non riesco a fare in tempo a dire niente prima di addormentarmi.

💛🪽

Savage - Come carezza sulle cicatriciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora