Capitolo 14

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Rhett

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Rhett

Il senso di colpa, mio fedele nemico, torna a farsi vivo.
Lei non si è accorta di nulla. Non ha il minimo sospetto di aver affidato al ragazzo sbagliato, colui che la guarda con desiderio, la propria fiducia e incolumità.
Cazzo, avrei dovuto prevedere che non sarebbe finita tanto in fretta dopo il primo attacco. Che quel qualcuno con un così tanto odio nei nostri confronti si sarebbe scatenato trovandoci deboli.
Forse era proprio questo il suo piano sin dall'inizio. Coglierci nel momento di vulnerabilità.
Mi sento fatto a pezzi quando Faye mi si avvicina chiedendomi un po' di protezione. Non so se sono all'altezza del compito. Ci sto provando e, in un certo senso, sento che un giorno sarò un uomo migliore grazie a tutte le nuove esperienze che mi sta facendo provare. Mi auguro di farla sentire sempre al sicuro.
«Che succede?», domanda, in parte già consapevole della risposta.
Colgo al volo il bagliore nei suoi occhi da cerbiatta e ne seguo il percorso che si spinge verso le due figure immobili e, in apparenza, affatto allarmate dall'attacco.
Fingo di non aver capito i suoi collegamenti logici e i suoi sospetti, e tenendola stretta al petto, la conduco verso la stanza simile a un bunker che abbiamo fatto costruire di recente, coperto dai miei fratelli; come sempre pronti a tutto pur di difendermi.
«Dove stiamo andando?»
«Al sicuro», ribatto monocorde, continuando ad arrovellarmi sul possibile coinvolgimento di Wild o di Joleen.
Qualcosa sfugge quando tento di collegare bene ogni filo che si è ingarbugliato nel corso del tempo.
Continuo a chiedermi che ragione avrebbe quella ragazza di unire le forze con il padre dell'ex amica e cosa ci guadagnerebbe. Non accetto la risposta più ovvia, ovvero quella del potere e del denaro. No, c'è qualcos'altro.
Se durante il primo attacco avevo un sospetto, adesso le carte in tavola sembrano essersi mescolate e ho una pessima mano. Ma non posso passare. Il gioco continua, anche a costo di rimetterci tutto.
E se non ci sono loro dietro questi attacchi, chi potrebbe manovrare o l'uno o l'altra?
Perché dietro ogni marionetta, c'è sempre un burattinaio pronto a muovere i fili, rifletto. I due non hanno i mezzi per portare avanti una possibile guerra contro di noi. Riuscirò a scoprire chi è che sta attaccando la mia famiglia. E per farlo mi toccherà sporcarmi un po' le mani.
Con questa promessa silenziosa, riporto la mia attenzione sulla ragazza dagli occhi spalancati come quelli di una cerva abbagliata dai fari di un'auto.
«Rhett, non avrai mica intenzione di lasciarmi qui dentro e di andartene nel bel mezzo di un attacco con il braccio ancora fuori uso, spero».
Come sempre con la sua perspicacia riesce a battermi sul tempo prima che possa darle una spiegazione. Ma non l'ho portata qui per tenerla lontana dagli attacchi. L'ho portata qui perché non ho nessuna intenzione di avere il timore di perderla. Devo essere lucido e non avere nessuna distrazione mentre difendo ciò che è mio.
Ho fatto un patto con mio padre e intendo mantenere la parola data. Neanche i miei fratelli conoscono la verità sulla sera in cui prendendo una decisione ho cambiato le nostre sorti. Loro sanno che Seamus mi ha permesso di tenere le redini decisionali. Il fatto è che non ero più disposto a dimostrare il mio valore. Volevo prendermi una rivincita. Volevo possedere qualcosa senza dovermi preoccupare di poterla cedere da un momento all'altro. Faye è stata la mia unica eccezione. La mia scelta.
Se mio padre cambia idea o se succede qualcosa a uno dei due, mi aggrapperò alle mie clausole e per parte del mio patrimonio sarà la fine. Lui crede che non sia riuscito a eliminarlo da qualche affare. Presto potrebbe rendersi conto dell'errore. Perché mi ha sempre sottovalutato. Ho solo abbassato il capo finché ho potuto reggere il peso delle sue decisioni e dei suoi ordini.
Non sarei mai arrivato a tanto se non avessi visto una via d'uscita verso una libertà che non mi è mai stata concessa.
Adesso che un nemico sta giocando con noi, questa è l'occasione migliore per mostrare a tutti di che pasta sono fatti i Blackwell quando vengono attaccati.
Troverò quel figlio di puttana e lo farò a pezzi. Farò lo stesso con i suoi complici. Ho già parecchie idee in merito. Prima però gli toglierò tutto, specie la speranza.
«Il mio braccio sta benone. Saperti qui al sicuro mi farebbe concentrare, capisci?»
Faye all'inizio tenta di protestare, poi però nota qualcosa nel mio sguardo solcato dalla determinazione e dopo aver chiuso la bocca, annuisce. Cela al meglio la delusione, trafiggendomi il petto con le parole successive.
«Ma torna da me tutto intero. Intesi?»
Non mi abituerò mai a tanta dolcezza o che la mia incolumità possa in qualche modo importare a qualcuno.
Mi avvicino e lei si morde il labbro tra i denti mentre le sue dita stringono la mia camicia per trattenermi.
Abbassandomi mi ritrovo all'altezza dei suoi occhi. Sono spaventati, ma al contempo contengono una luce piena di speranza e coraggio.
Affondo la mano tra i suoi capelli legati in uno chignon e glieli sciolgo. Sentendola fremere sotto il mio tocco, premo avido la bocca sulla sua.
Quando mi tiro indietro perché è giunto il momento di andare ad affrontare il nemico, silenziosamente le faccio un'altra promessa.
Faye si inumidisce le labbra mentre le mie sono avvolte dal suo sapore che mi inebria e mi carica di una nuova e forte determinazione.
Faccio un passo indietro e aspetto che entri nella stanza. Non è sotterranea, ma abbastanza rinforzata da risultare inespugnabile. Ho fatto in modo che all'interno vi fosse tutto quello di cui una persona può aver bisogno.
«Tornerò a prenderti tra poco», la rassicuro ancora una volta.
Lei esita, la mano ancora aggrappata alla mia camicia. «Davvero non posso venire con te?»
«Ci siamo noi a guardargli le spalle», prova a rassicurarla Faron che freme sulla soglia, pronto a passare all'azione. «Ci farà stare sereni saperti qui al sicuro, principessa».
«Hanno attaccato l'ingresso principale», ci informa Dante, il quale ha rubato una ricetrasmittente da poter usare. «Dobbiamo andare».
«Digli di tenere a bada l'area est e di prepararsi al contrattacco», gli ordino, mentre avvicino Faye ancora una volta al petto. «Fa' la brava, okay? Sarò di ritorno prima di quanto immagini», premo un bacio sulla sua fronte. «Adesso entra e aspettami».
Lei mi abbraccia. «Sta' attento».
«Sempre. Voglio tornare da te, mica sono scemo», ribatto con un ghigno.
Questo la fa sciogliere un po' e mi lascia andare. Poi guarda i miei fratelli. «Se non riportate il culo qui dentro tutti e tre, dovrete vedervela anche con me», afferma con le mani sui fianchi.
«Ricevuto, principessa», esclama Faron, facendole l'occhiolino prima di allontanarsi correndo.
«A dopo», replica invece Dante, premendo il tasto sulla ricetrasmittente, ripetendo ai nostri uomini l'ordine che gli ho impartito.
Nostro padre non sta muovendo un solo muscolo per permetterci di agire e di dimostrare se siamo degni della sua approvazione.
Non potendone fare a meno, schiocco un altro bacio sulle labbra imbronciate di Faye. Non l'ho mai vista tanto scontenta e spaventata fino a ora.
Quando entra nella stanza, chiudo la porta inserendo il codice digitandolo sul tastierino elettronico.
È per la sua sicurezza, mi ripeto.
Prendo un lungo respiro, mi concentro e seguo Dante verso l'entrata secondaria e la cabina di monitoraggio.
«Credi che Wild abbia a che fare con tutto questo?», domanda dando libero sfogo ai propri dubbi.
«Se non è lui, chi altri?»
«La ragazza, Joleen, non sembrava poi così spaventata. Si sta inserendo in fretta nei nostri ranghi. Non mi piace più di tanto. Specie da quando ha agito alle spalle di Faye. Forse dovremmo continuare a tenerla d'occhio».
«Una cosa è certa, o sono in combutta o stanno solo eseguendo un ordine».
Dante riflette mentre raggiungiamo la cabina e ci avviciniamo al monitor centrale per visionare le telecamere. Alcune di queste sono già state manomesse. Altre mostrano i nostri uomini, in attesa di passare all'attacco.
Do l'ordine di prenderli alle spalle.
«In tal caso come dice il vecchio "Tieni stretti i nemici"».
«Troveremo un modo per farli confessare».
«Hai già in mente qualcosa, vero?»
«Forse».
Dalla cabina ci spostiamo in sala dove mio padre sta guardando dinanzi a sé, apparentemente imperturbato, mentre i nostri uomini cercano di non far entrare il nemico.
All'inizio sembra un'imboscata il cui esito pende a nostro sfavore.
Un boato fa tremare tutto e parte dell'ala ovest della villa viene bombardata. Vetri e fumo volano e si disperdono insieme alle urla di chi si ritrova attaccato.
Ersilia si stringe al marito continuando a pigolare e a chiedergli di tornare a casa perché ha paura. Forse avrei dovuto portare anche lei con Faye. Ma se Wild ha ordito l'attacco, sa che non verrà toccato. Oppure dovrà chiedermelo in ginocchio di salvarle la vita, qualora quegli uomini armati dovessero entrare e prenderci di mira senza distinzioni.
I genitori di Joleen se ne stanno terrei sul divano, ovviamente non avvezzi a tali situazioni. Sussultano a ogni colpo di arma da fuoco che arriva attutito dall'esterno. Lei sembra iniziare a realizzare di essere sotto il fuoco nemico e si avvicina alla madre tenendo gli occhi fissi su di me. Non credo in quella facciata tanto perfetta.
«Hai dato l'ordine?», domanda mio padre, per accertarsi che io abbia tutto sotto controllo e che Wild abbia sentito.
Annuisco impercettibilmente guardando il lungo viale acciottolato e costellato da abeti. Una delle nostre auto d'epoca, posteggiata poco più avanti, quasi a ridosso della fontana al centro della rotonda, viene fatta esplodere e le aiuole vicine prendono fuoco. I nostri uomini compaiono alle spalle degli assalitori e comincia una lotta fatta di armi, pugni, insulti, sangue.
«Seamus, mi spieghi perché non hai ancora detto niente e stai facendo agire i tuoi figli? Come ne usciamo?», esclama Wild, il viso arrossato dalla smania di far sentire la sua voce. «Ti sembra un film questo?»
«È il momento», mi dice mio padre.
Cerco i miei fratelli e insieme usciamo dalla villa dal portone principale proprio quando un nuovo gruppo di nemici ci accerchiano.
Credono che siamo in inferiorità numerica, inermi e ancora alle prime armi. Soprattutto ghignano nascosti dalle loro maschere a nascondergli parte del viso, pensando di avere la possibilità di far fuori in un colpo solo i tre fratelli, i figli di Seamus Blackwell. Unici eredi della famiglia.
Ci hanno colto di sorpresa, certo. Noi però abbiamo sempre una via di fuga.
Senza esitazione, prendo la mira e faccio cadere come sassi tutti quelli che trovo davanti o che tentano di attaccarmi.
Difficile affermare a quale Clan appartengono. Non hanno niente che possa in qualche modo collegarli a una rete o a uno dei nostri soci in affari scontento. Sono stati furbi a celarsi di nero.
Chiunque sia, riceverà la sua risposta a breve.
Becco un pugno sulla mascella, vedo le stelle, ma non permetto al mio corpo di cedere. Mi abbasso e freddo l'uomo che sta tentando di farmi fuori.
Sputo un fiotto di sangue e mi occupo dell'uomo che ha messo all'angolo mio fratello. Dante prova a sparare ma il colpo va a vuoto perché la sua arma si è inceppata.
«Le tue ultime parole?», gli sta ringhiando il bastardo con un ghigno feroce e la bava alla bocca per l'opportunità.
Premo la pistola sulla sua nuca. «Noi non vogliamo sapere le tue», sparo e Dante, coperto da schizzi di sangue, mi molla una pacca per ringraziarmi.
Non vediamo Faron a causa della nebbia bianca che si è innalzata quando hanno lanciato dei fumogeni. Ma lui quasi sicuramente starà dando filo da torcere a chiunque gli si pari davanti. Forse ha persino trovato il loro comandante, suggerisce la vocina nella mia testa.
«Cerca di non farti ammazzare», mi urla in mezzo al frastuono Dante, cominciando a tossire.
«Cerca di non ripetere lo stesso errore di prima», lo rimbecco, consapevole che non succederà. Dante impara in fretta da ogni lezione.
Mi arresto quando vengo sbattuto contro il muro e un pugno mi viene piantato nello stomaco. Sputo aria e sangue, annaspo, tiro su con il naso e quando mi volto per affrontare il tizio che mi sta bloccando, la mia vista si sdoppia. Mi ha appena storto il braccio ferito.
Faccio un enorme sforzo a non svenire.
Dal mio petto prorompe un urlo liberatorio. Riesco a spostare l'arma che mi è stata puntata verso l'uomo che mi tiene sotto tiro e sparo. L'uomo si accascia a terra con un foro nel cuore.
Controllo il suo volto sfilandogli il passamontagna e riuscendo a stare in allerta, scatto una foto. Più tardi, per rintracciarlo, inserirò la foto nel database. Superandolo corro ad aiutare i miei uomini.
Dopo minuti passati a colpire, disarmare, catturare, il nemico finalmente si ritira.
Gli uomini rimasti in piedi urlano la vittoria ma guardandomi intorno, ciò che vedo sono solo macerie. Pezzi dei sacrifici che mio padre e la mia famiglia ha dovuto fare per arrivare dove siamo ora.
Qualcuno non apprezza il nostro potere e la prova mi circonda attraverso il fumo e i detriti della villa che è stata bombardata.
Non mi fermo a festeggiare. Per me non è stata una vittoria. Abbiamo avuto comunque delle perdite e domani faremo i conti con la realtà.
Non doveva succedere.
Corro dentro.
Seamus esce dal salone zoppicante e sostenuto dal suo nuovo bastone personalizzato, seguito dagli invitati. Nessuno di loro proferisce parola. Sono in attesa, pallidi e spaventati. Cosa assurda, Wild non ha chiamato i rinforzi per aiutare il suo socio in affari. Un po' sospetto.
«Avete mandato il messaggio?», mi domanda mio padre, elaborando un piano tutto suo, forse perché ha avuto i nostri stessi dubbi sulla lealtà delle due famiglie presenti. Non è stata una prova dura solo per noi, a quanto pare.
«Sì».
Seamus allora si volta verso Wild. «Potete andare», gli ordina sbrigativo. Neanche fossero degli insetti da scacciare.
«È sicuro?», domanda Ersilia, ancor più turbata di prima e timorosa.
«Se avessero davvero voluto farci del male sarebbero entrati dalle finestre e ci avrebbero fatti a pezzi», spiega ancora una volta imperturbato Seamus. «Tuo marito non te lo ha detto? Non ha neanche cercato di aiutarci. Non che ne avessimo bisogno. Ma sa com'è quando si fanno affari, gli amici si aiutano. Non si sa mai quando sarà il momento di ricambiare quello che potrebbe succedere. Adesso andate», li incita. «E... Theodore?»
Wild resta rigido sulla soglia. Attende come un cane che ha appena fiutato un castigo.
«Convocherò una riunione. Mi aspetto di vederti».
«Mandami a prendere quando sarà il momento», replica quest'ultimo imprecando a bassa voce e guadagnandosi una gomitata dalla moglie.
Seamus non si prende la briga di salutare il resto degli invitati. Le guardie sono pronte a scortarli tutti fuori per potersi dedicare al resto delle faccende.
Joleen, si lascia trascinare dalla madre. «Buona notte», saluta, assumendo uno sguardo impaurito per attirare la mia attenzione.
Le volto le spalle e salgo al piano di sopra. Raggiungo la stanza un po' barcollando, un po' zoppicando, non so nemmeno io come riesco a stare ancora in piedi. Inserisco il codice sul tastierino e spalanco la porta, mandandola a sbattere contro la parete.
Faye, seduta sulla soglia della finestra antiproiettile, balza a terra e corre da me. Non appena mi si preme addosso, il dolore prende forma e mi scappa un grido.
Non faccio in tempo a rassicurarla perché sentendolo mi spinge a sedermi sulla poltrona più vicina, controlla che non abbia nessuna ferita e poi procede, quando le indico il braccio, aiutandomi a disfare la fasciatura per valutare i danni.
Cerco di muovere le dita ma sono indolenzite e il minimo movimento mi fa serrare i denti.
«Dovrebbe esserci del ghiaccio secco da qualche parte», dico a denti stretti. «Puoi prendermelo per favore?»
Le sue gambe traballano quando corre verso il bagno tornando con un flacone di antidolorifici. «Niente ghiaccio. Ho trovato solo questi».
«No, non prenderò niente del genere. Trovami del ghiaccio».
«Rhett, stai soffrendo», mi rimbecca fissandomi la mano, il polso sempre più gonfio. «Prendi queste dannate pillole!», esclama con un tono di voce che diventa acuto.
Strizzo le palpebre e mi rifiuto. «Non prenderò nessuna sostanza. Sai com'è morta mia madre. Ti prego, non farmi rivivere quel dolore. Allontana dalla mia vista quel flacone».
I suoi occhi si velano di lacrime. «Rhett... questo non è vel...»
«Fa' come cazzo ho detto!», urlo. «Non insistere!», stringo i denti piegandomi in due. «Porca puttana!»
Nella stanza arrivano Faron e Dante. Entrambi stanchi e pieni di sangue.
«Che succede?»
«Succede che questo testardo non vuole prendere una pasticca per tenersi il dolore. Fatelo ragionare voi, vi prego».
I due sembrano combattuti.
«Ne ha bisogno», aggiunge.
Alla fine è Faron a lasciarsi convincere dagli occhi sempre più arrossati della ragazza che sta tentando di spingermi ad assumere qualcosa che aborro.
«Rhett, non puoi soffrire inutilmente», comincia a parlarmi come se avesse di fronte un cane randagio ferito. «Una pasticca ti aiuterà a sopportare il dolore mentre aspettiamo l'arrivo di un dottore. Lo abbiamo già contattato ed è per strada. Siamo qui con te».
«Andatevene!», urlo in preda alle fitte che mi tolgono il fiato. Quel bastardo mi ha rotto il polso, ma a lui è andata peggio. «Toglietevi dal cazzo!»
«Non puoi...»
Guardo Dante così storto che lui solleva in segno di resa le mani ancora insanguinate. Ha dei tagli sulle braccia e qualche escoriazione sul viso. Mentre Faron ha un occhio pesto e un taglio sulla fronte.
«Uscite ho detto».
«Vado a chiamare a casa per dirgli che sono vivo», esclama Dante come se non avessi inveito. La cosa mi fa incazzare ancora di più. Lui lo sa e infatti mi punta addosso i suoi occhi verdi. «Tu sei venuto qui per dirle che sei vivo. Prendi quelle pillole se non vuoi patire le pene dell'inferno».
Quando sto per urlare di nuovo, sospira. «Oppure non prenderle e soffri in silenzio senza rompere il cazzo», ringhia allontanandosi.
Faron scuote la testa. «Ti stai comportando da stronzo».
Si allontana anche lui, ma Faye rimane. Se ne sta immobile a guardarmi come se non mi conoscesse.
«Anche tu. Esci da qui».
Scuote la testa. «Trascinami con la forza se ci riesci».
Sbuffo. «Faye!»
Sbatte le palpebre. Le sue guance si tingono di un rosso vivo. Stringe i pugni in vita. «Sai, non ti credevo tanto idiota da rifiutare una mano. Questo non è veleno», mi tira addosso il flacone. «Io non sono il nemico. I tuoi fratelli non stanno tramando alle tue spalle. Smettila di rivivere il passato, Rhett. Smettila di allontanare chiunque quando sei ferito», scrolla via la lacrima che le solca la guancia. «Non posso comprendere il dolore che hai dovuto percepire in quegli istanti, ma ora non corri nessun pericolo. Ci sono io qui con te. Davvero non hai ancora capito cosa provo?», tira su con il naso. «Se non mi vuoi, allora permetti ai tuoi fratelli di esserci».
Distolgo lo sguardo e lei abbassa le spalle abbattuta. «Bene, fa' come ti pare», esce dalla stanza.
Rimango seduto a terra, in preda al dolore per quelle che mi sembrano ore.
Il dottore mi trova in un bagno di sudore e mi aiuta a mettermi seduto sul divano a poca distanza. Prova anche lui a darmi qualcosa, ovviamente rifiuto. Passa allora a visitarmi e a medicarmi. Con abilità mi sistema il polso, procede avvolgendolo sotto uno strato di garza e una stecca per tenerlo fermo e se ne va lasciandomi ancor più stordito.
Riesco a mantenermi lucido solo per un altro istante. Dopodiché la vista mi si offusca e il mio mondo viene invaso da una grossa macchia che si espande fino a inghiottirmi. Il calore, il sudore, il tremore dovuto al dolore, il battito accelerato del cuore, tutto si ferma. Finalmente mi fermo.

Quando mi sveglio ho una coperta adagiata sopra e una flebo che stacco immediatamente. I miei occhi si adattano alla semioscurità e colgo la figura di Faye raggomitolata in un angolo del divano sul quale sono sdraiato.
Il senso di colpa mi si abbatte come un getto d'onda. Mi travolge e combatto per non inabissarmi.
Merda.
Mi sollevo e con una smorfia dovuta allo sforzo di trattenere un lamento, la raggiungo sdraiandomi alle sue spalle.
Non appena mi sente, sospira, quasi fosse sollevata, si volta, si rannicchia e continua a dormire.
Le bacio la tempia. «Scusami», sussurro. «Ho perso la testa».
Non si sveglia e io veglio su di lei fino all'alba, quando riscuotendosi e credendo che io stia dormendo si scosta. La sua mano si adagia sulla mia fronte e alzandosi in fretta corre in bagno per tornare con un panno fresco che mi aiuta a rilassarmi e a far abbassare la febbre.
Il suo via vai mi fa addormentare, ma il sonno è breve e tormentato da incubi in cui continuo a girare come uno spettro in ogni stanza della villa, tra macerie e morti, per poterla ritrovare. Ma lei non c'è. Mi ha abbandonato.
Quando mi sveglio sono solo. La coperta scivola e mi alzo frastornato.
«Biancaneve finalmente si è svegliata», esclama Dante entrando nella stanza.
«Pensavo fossi con i sette nani. Che ci fai qui?», borbotto. «Non dovresti essere a casa a rassicurare i tuoi familiari?»
«Faye aveva bisogno di una pausa e di una boccata d'aria. Le stavo dando il cambio, ma vedo che sei tornato dal regno degli inferi pieno di energia».
Mi gratto la nuca. «Da quanto sto qui?»
«Due giorni».
Spalanco gli occhi. «Due? Che cazzo! Perché non mi avete svegliato?»
«Calma. Non è successo niente. Abbiamo solo seppellito le guardie e portato quelle vive che siamo riusciti a catturare al porto, per interrogarle».
«La riunione?»
«Sai com'è Seamus, l'ha spostata di proposito fingendo un impegno più urgente. Vuole che siamo presenti».
Mi porge una tazza di caffè. Scruto il liquido e lui alza gli occhi al cielo, mi strappa la tazza dalle mani, beve e poi mi ripassa la tazza.
Bevo un sorso di caffè e mi riscaldo mentre il senso di colpa mi scivola addosso.
«Faron?»
«Dorme. Ha coperto il turno di notte».
«Avete scoperto qualcosa?»
«Non ancora. Quegli uomini canteranno», dice fiducioso.
Dalla porta arriva Faye. Non appena mi vede sveglio il suo sorriso si smorza e va a sedersi composta in un angolo.
Dante coglie al volo l'occasione per defilarsi. Prima però mi fa cenno di rimediare.
Lascio intercorrere qualche istante prima di avvicinarmi e attirare la sua schiena al petto. Premo il mento sulla sua tempia, sentendola tremare.
«Volevi aiutarmi e io mi sono comportato da coglione».
«Era il dolore a parlare».
Le bacio la guancia. «No, ero accecato dal rimorso».
Faye si volta. «Tu non hai nessuna colpa».
«Non è così che la vedo da quel giorno».
Quando abbassa gli occhi, la mia mano solleva il suo mento. «Mi dispiace. Potrei promettere che non accadrà più ma questo sarà sempre il mio tallone d'Achille».
Non sono abituato a così tante emozioni. Mi sconvolgono e mi offuscano la mente. Non riesco a oppormi. Sono una tentazione per il mio dolore, per questa debolezza che fa sussultare il mio cuore. Un cuore che adesso batte, risvegliato da una sconosciuta che ha saputo far scorrere di nuovo vita nelle mie vene.
«Piuma?»
«Sì, Rhett?»
«So che dovrei mettermi in ginocchio e implorarti di perdonarmi», comincio. «Ma puoi restare qui con me?»
«Dormirò a poca distanza. Domani me ne torno al college. Non posso più stare qui», acconsente, dandomi al contempo un preavviso sulle sue reali intenzioni. «Sandra tornerà dopo capodanno. Per allora mi sarò sistemata nel nuovo alloggio che abbiamo ottenuto».
Non sono soddisfatto e non lo nascondo.
«Tu non vai da nessuna parte. Ti voglio vicina».
«Non credo sia il caso».
«Perché?», cerco di non far trasparire la mia reazione al suo rifiuto.
«Perché divento debole. Perché se mi sdraio accanto a te poi io mi avvicino. E se mi avvicino non mi fermo», si agita, gesticola. «E se non mi fermo... ti perdono».
«Non voglio che ti fermi. E devi perdonarmi perché io e te siamo legati».
Mi guarda sorpresa, con le guance rosse, gli occhi lucidi. È talmente bella la sua fragilità da mozzarmi il fiato.
«Rhett», soffia il mio nome. «Non farmi questo».
«Grazie per avermi aiutato», insisto, e sono sincero.
«Volevo che lo sapessi», replica stanca.
«Sapere cosa?»
«Che non ti abbandono».
Stringo la mano sulla sua nuca e usando un po' di forza per avvicinarla, contro ogni buon senso, la bacio.

💛🪽

N/a:
Buona sera, nuvole.
Grazie per aver letto Savage fino a questo punto. Volevo solo avvisarvi che tra pochi capitoli vi racconterò il dopo della storia tra Rhett e Faye.
Spero sempre nel vostro prezioso riscontro.
Un abbraccio virtuale,
Gio.

Savage - Come carezza sulle cicatriciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora