Capitolo 11

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Rhett

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Rhett

Il mondo non è che uno spettatore silenzioso del nuovo passo avanti che sto facendo. Dovrei sentirmi braccato, ma non mi pesa mettermi in ginocchio, sotto l'unica luce accesa, quella dell'albero, che abbiamo addobbato insieme.
Nella testa ho così tanti discorsi da sentirmi a malapena lucido mentre le sfioro la mano, accarezzandole il dorso.
Il fatto e che, in un certo senso, mi sento felice di averle regalato una prima volta.
«Rhett, che stai facendo?»
Non c'è timore nel suo sguardo ancora acceso da una gioia che non aveva mai mostrato di poter vivere e che sono stato io a regalarle. Forse non dovrei procedere, forse dovrei lasciare questo attimo così com'è senza sporcarlo con un impegno che avrà una data di scadenza. E che a prescindere cambierà le nostre vite.
«Forse una cazzata», ammetto.
I suoi lineamenti si addolciscono. Non si rattrista né mi urla addosso di fermarmi.
«Che tipo di cazzata?», domanda assecondandomi, continuando a sorridere.
«Del tipo che ti dedico parole che non ho intenzione di ripetere a nessun'altra e poi ti intrappolo con una promessa eterna», ribatto sollevando la scatolina. «Ti sto dando la possibilità di fermarmi, piuma».
Sbatte le palpebre una manciata di volte. Sulla sua fronte si forma una minuscola linea che distorce la sua espressione felice. Dura solo un secondo, poi abbassa le spalle e stringe appena la presa sulla mia mano. Guarda l'albero, sposta gli occhi intorno a noi e infine li posa su di me.
Mi sento riscaldare. Lei è come una coperta adagiata sulle spalle mentre dentro fa freddo.
«Cosa vuoi chiedermi?»
Il cuore potrebbe uscire dalla gabbia toracica senza il minimo sforzo; tanto sta battendo con violenza. Un brivido mi scivola addosso e sento l'elettricità tra noi tornare a farsi viva e pulsante, inseguendo i miei battiti.
«Rhett, so che non è facile per te. Sento che ti hanno sottratto qualcosa di più oltre a tua madre. Non abbiamo una vita normale e non mi aspetto che mi ami. Non voglio sentire niente che non sia la verità cruda e diretta. Quindi togliti quel disagio di dosso e fammi la tua domanda».
«Mi stai mettendo pressione. Non è così che funziona», le sorrido. «Dovrei essere io a metterti fretta».
Lei torna a stringermi la mano, attendendo paziente. «Va bene, aspetto».
Sospiro scuotendo la testa con finta esasperazione.
Da dove partire?
«Hai ragione quando affermi che mi hanno sottratto più di mia madre. Quel giorno non è solo morta lei, ma una parte di me. Sono rimasto orfano di un amore che non mi è stato donato perché mi è stato strappato con violenza e di cui ho fatto a meno fino a privarmene del tutto o a cibarmene solo a spizzichi per non dover soffrire un'altra volta. L'amore è una trappola, piccola piuma, una lama seghettata e abbandonata alle intemperie pronta a ferirti e a lasciarti sanguinante. In attesa di un colpo che ponga fine a ogni dolore che si è lasciato alle spalle».
Faye scivola in ginocchio mettendosi alla mia altezza. La sua mano si sgancia dalla mia per offrirmi una singola carezza, prima di tornare nella stretta del mio gesto.
«Ho passato una vita a cercare di evitare i sentimenti. Tu sei il mio primo strappo alla regola», continuo con voce roca. «Per gran parte del tempo non ho provato altro che diffidenza, distacco e forse persino timore. Ho barricato ogni emozione di fronte un nemico invisibile. Ho stretto alleanza continuando a lottare contro me stesso per non essere debole. Ho dato tanto, ma mai realmente tutto me stesso. Ho sempre visto le relazioni attraverso la lente storpiata di mio padre. Non avrei mai voluto prendere parte ai suoi piani, restarne fuori era l'unico obbiettivo. Eppure quando ti ho vista, tutto il distacco, il problema dell'amore, si è come sciolto ai miei piedi. In una pozzanghera dentro la quale sono precipitato e sto cercando di non annegare».
Faye si avvicina. «Rhett, non sei tuo padre. Hai un cuore e questo batte nonostante l'enorme vuoto lasciato dalla perdita. Batte e merita di essere riempito. Anche se non così, non con la forza o le minacce».
Mi fermo a osservarla. Seguo il movimento ritmico del suo petto, accarezzo con lo sguardo il rossore che le sboccia sulle guance. Siamo sempre più vicini. Così tanto che inizio a perdere di vista quella linea di confine in cui sono ancora in grado di capire dove finisce il suo respiro e inizia il mio. Ciò che sento con maggiore forza, è quel senso di appartenenza. Come se tutto fosse suo, persino la mia anima.
«So che dovrei ricevere spontaneamente l'amore e che questo non è altro che un patto. Eppure c'è una minuscola voce che mi sussurra, che mi guida verso di te. E so anche che alle tue orecchie queste sono parole costruite e melense, ma non sono bravo a dichiararmi. Pur avendo scritto un discorso e averlo ripetuto, ho come rimosso quei pezzi fondamentali e sto arrancando», mi schiarisco la gola.
«Non importa, va bene anche così, con qualche sbavatura, qualche attimo di esitazione», Faye continua a rassicurarmi.
Dovrei essere io a farlo. Dovrei comportarmi da adulto e farla sentire protetta. Prometterle che andrà bene perché è quello che voglio da questo patto. Invece lei continua a essere quella forte. Ma ho come il timore che si sia arresa all'inevitabile.
Mi rendo conto che io e lei siamo fatti della stessa pasta grezza. Siamo creta rotta, lasciata alle intemperie. Reperti di una vita che ha valore e significato solo dopo esser riemersi dalla terra.
In questo istante, piacere e paura si mescolano dentro di me mettendo in subbuglio quel già precario equilibrio che pensavo di aver recuperato nel corso delle ore grazie all'aiuto dei miei fratelli.
«Ciò che sto cercando di dirti è che potrò non essere il principe di questa storia. Colui che ti libererà dal cattivo. Magari non sarò in grado di regalarti tutto quello che vuoi o di cui hai bisogno. Ma credo che tutto questo, noi, abbia un senso solo se siamo insieme. Non dobbiamo per forza amarci. Io sono disposto a farmi carico delle tue paure, delle tue debolezze, dei tuoi giorni felici se vuoi».
«Solo se sei disposto a cedermi i tuoi», sussurra con voce roca e gli occhi arrossati.
Sollevo di colpo la testa e sbatto le palpebre come se mi avessero appena colpito.
Scoppia a piangere, nascondendo il viso contro il mio petto. Si aggrappa a me come se fossi il suo unico appiglio per non sprofondare e perdersi in quel vuoto di cose non vissute e di altre ancora da vivere.
«Mi sento così stupida. Pur essendo consapevole che  questo momento prima o poi sarebbe arrivato, ho il cuore che rischia di scoppiarmi dall'emozione. Non me lo sarei mai aspettato e non so come ringraziarti per aver reso questo istante unico».
La sua voce graffiata da quel nodo che le si è stretto alla gola e dalle lacrime, risulta dolce e in parte seducente. Accarezza ogni mio nervo teso facendolo vibrare.
Sfilo l'anello dal cuscinetto che lo tiene incastonato nella confezione e glielo avvicino. Un piccolo cerchietto d'oro bianco con un diamante. Non è il classico anello da fidanzamento. Questo l'ho fatto incidere all'interno e ho fatto incastonare il diamante tra le due parti del cerchio d'oro.
Faye osserva l'anello. Il mascara le è colato dalle palpebre e sta macchiando le sue guance con linee frastagliate che virano dal nero al grigio. Tira su con il naso una volta e poi mi avvicina timida la mano.
«So che non vorresti sentire la domanda diretta, ma devo chiedertelo lo stesso. Faye, vuoi diventare il mio tutto in mezzo a questo mare di niente?»
Si mordicchia l'angolo del labbro. Lo rilascia dalla stretta dei denti e fa un cenno con la testa accettando. «Sì», soffia fuori.
Le infilo l'anello ed esito. Lei si protende, preme la fronte sotto il mio mento e sospira afflosciandosi come un palloncino. Si asciuga una lacrima in modo sbrigativo, poi mi circonda il busto con le braccia, aggrappandosi ancora al mio corpo.
Le bacio la testa e inspiro l'odore del suo shampoo.
Lei stacca la mano solo per osservare l'anello prima di nasconderlo sotto il mio braccio, lontano dalla nostra vista.
«Grazie per stasera. La cena, l'albero, il regalo e le parole che hai espresso... io non sarò in grado di ricambiare».
Le accarezzo la schiena. «Lo stai già facendo. E non devi sentirti in debito, mai».
Solleva la testa. «Rhett?»
«Sì, piccola piuma?»
Mi sale a cavalcioni, stringe la presa sulla mia cravatta e mi attira a sé baciandomi.
«Voglio essere il tuo tutto in mezzo al niente e spero che sarai il mio».
Il cuore rischia il collasso a ogni nuova raffica di palpiti che lo stanno mettendo a dura prova. Un'olimpiadi di contrazioni che si alternano generando nuovo sangue che potrei usare per colorare questo cazzo di mondo fin troppo grigio.
Faye, come se mi leggesse dentro, mi avvicina ancora al suo corpo sinuoso e perfetto per le mie mani che stanno esplorando senza il minimo senso del pudore.
«Dobbiamo recitare davanti agli altri?»
«No, torneremo lì e diremo semplicemente che presto saremo il signore e la signora Blackwell perché hai accettato la mia proposta. Sempre se vorrai prendere il mio cognome».
«A questo non ho ancora pensato. Faye Blackwell, suona così strano», pronuncia il suo nome affiancandolo al mio cognome usando un tono che ha della malizia di fondo.
Le mie mani stanno risalendo lungo le sue cosce. Lei si lascia sfuggire un breve verso e mi si avvinghia avvolgendomi le braccia intorno al collo.
Le bacio la guancia. «Per quanto l'idea mi faccia impazzire, non ti scompiglierò. Saremo impeccabili».
Sfiora le mie labbra mentre inarca la schiena. «Solo sporchi dentro».
«Uhm», annuisco strofinando la punta del naso sul suo, pensando a qualcosa di disgustoso per far passare l'eccitazione. «Come macchie d'inchiostro sulla pelle».
Le sue mani scendono fino a raggiungere le mie premute sulle sue cosce. Le nostre dita si intrecciano. Porto la mano con l'anello alle labbra e gliela bacio. «Come un tatuaggio».
Faye sprofonda il viso contro il mio petto, come se questo potesse proteggerla da qualcosa di terribile e in agguato, come se fossi un muro da abbattere per arrivare a lei. Ho le narici piene del suo profumo. Ormai percepisco la sua fragranza tenue e vanigliata come qualcosa che sfiora il mio essere fino a intorpidirlo e a catturarlo in una spirale pericolosa dove i confini si confondono.
«Stiamo correndo», sussurra.
«Hai paura?», le domando, cercando di non spaventarla e chiedendole al contempo di affrontare le nostre famiglie in attesa alla festa. «Non devi averne. Alza il mento come hai fatto quella sera e affronta il resto, piccola piuma».
«Perché ci sarai tu accanto a me?»
Una parte di me sa bene che le cose da questa sera in poi, per entrambi, non saranno semplici. Il fatto è che stiamo iniziando a essere qualcosa. Al momento non c'è niente di definito. Non siamo che dei tratti imprecisi su una tela che sarà riempita di arte e sentimenti che solo noi riusciremo a capire.
«Proprio così», ribatto premendole un bacio sull'incavo del collo. «Ci tengo a esser sincero con te, piuma. So che non ci conosciamo, ma inizio a sentire che tra noi c'è qualcosa. Puoi anche negarlo, ma è sempre più evidente», i miei occhi tornano nei suoi. «Mi auguro di stare qui per tutto il tempo in cui mi permetterai di farlo», dico abbassandomi sul suo petto, premendo le labbra sul cuore. «Mi auguro ci sia abbastanza spazio».
«Rhett?»
A stento riesco a sentire la sua voce. Ma ogni volta che pronuncia il mio nome, sento il cuore cambiare ritmo.
«Sì?»
Sulle sue guance si diffonde quel rossore che conosco perché ho imparato, nell'osservarla, a cogliere il momento esatto in cui l'imbarazzo prende il sopravvento su tutto il suo autocontrollo, imponendole di essere decisa.
«Ho ancora voglia di baciarti».
L'eccitazione mi esplode nel corpo.
Come attirato da un campo elettromagnetico, mi avvicino a lei e le mie labbra sfiorano la pelle delicata della sua spalla, risalgono lungo il collo, sotto l'orecchio.
«E cosa stai aspettando?»
Faye non trattiene il suo desiderio. Si protende e prende. E il mio corpo reagisce reclamando ciò che gli spetta.
Mi si svuota la mente perché il sapore del suo bacio ha la capacità di eliminare tutto.
La sua bocca prende il sopravvento. Affondo la mano tra i suoi capelli e lei dopo aver abbassato le palpebre geme nella mia bocca. Mi sporgo ancora un po', abbastanza per imprimerle sulla pelle tutto me stesso mentre assaggio il sapore di un paradiso del tutto effimero, prima della punizione divina a cui andrò in contro.
«Dobbiamo andare, non è vero?»
«Possiamo restare tutto il tempo che vuoi».
Sospira e giocherella con l'indice sul contorno delle mie labbra, facendomele formicolare. «Ma prima o poi ci toccherà tornare indietro».
«Se non vuoi posso inventarmi qualcosa».
«Lo faresti per me?»
«Ti stupirebbero le cose che potrei fare se solo me le chiedessi».
Scuote la testa. Afferra il mio mento e abbassandomi la testa mi bacia languidamente.
Perché continua a sorprendermi il fatto che sia lei a volermi baciare?
«Non lo farò. Non ti chiederò di fare niente che tu non voglia. Prima o poi dovrò tornare da mio padre e dal resto degli invitati».
«Lo faremo insieme».
Abbassa gli occhi sull'anello. «Come lo annunceremo?», chiede con un po' di timore.
«Sfoggiandolo», le bacio ancora la mano con l'anello. «Niente di più semplice, piuma».
Vedendola insicura, le mollo un colpetto sotto il mento. «Puoi fidarti di me. Puoi farlo solo per stasera».
Lei riflette, come se fosse in combutta con se stessa. Alla fine annuisce. «Solo per stasera», accetta.

* * *

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* * *

La festa, durante la nostra assenza, sembra essersi trasformata. La gente da posata, adesso balla senza apparente inibizione, chiacchiera animatamente e si diverte dopo essersi spostata verso il locale interno della villa. Quello usato da mio padre e dai suoi uomini per divertirsi dopo ogni affare o vittoria sul campo.
Stringo la mano di Faye per farle capire che sono al suo fianco, mentre avanziamo tra i presenti alticci e ammaliati dalle donne in abiti succinti che ballano sui pali dando sfoggio delle loro doti.
Faye osserva e registra tutto. Non mi sfugge la sua disapprovazione e le domande che quasi sicuramente sta ponendo a se stessa per avere un quadro completo sulla mia famiglia, sul nostro stile di vita.
Non mi è mai piaciuto questo luogo di incontro e dissolutezza per stipulare affari sfruttando ogni piacere. Se mai dovessi salire su quel trono invisibile succedendo a Seamus, demolirò ogni centimetro di questo posto. Se ciò non dovesse accadere, mi auguro che uno dei miei fratelli appicchi un incendio e non si guardi più indietro o gestisca al meglio gli affari al posto mio.
«Sono tutti ubriachi?»
Contraggo la mascella. «Forse sarà più difficile di quanto ci aspettavamo in partenza», non nascondo il pensiero di un possibile fallimento.
Faye cerca tra la folla le sue sorelle, suo padre e Ersilia. Si trovano in fondo alla sala, in compagnia di Parsival e Seamus, mentre tutti gli altri gli girano intorno. Le sorelle invece stanno giocando a carte.
Le faccio cenno di avviarci per poter mettere fine a questa serata.
Seamus mi intercetta, non lascia trasparire niente dal suo volto sempre tanto calmo quanto spietato. So che non ha visto di buon grado il cambiamento di programma.
«Dove eravate?», domanda semplicemente, facendo mettere sull'attenti Wild, il quale per la prima volta dopo settimane ha il coraggio di guardarmi dritto negli occhi. E forse anche di rendersi conto della presenza della figlia che ha cercato costantemente di ignorare a favore delle gemelle. Persino di fronte alla mia famiglia non si è fermato a riflettere bene sulle proprie azioni, dando dimostrazione di essere un figlio di puttana egoista e opportunista.
Presto gliela farò pagare. Le mancanze che ha Faye sono tutta colpa sua.
«Ho portato Faye a fare un giro e le ho chiesto di sposarmi», lancio la bomba senza tanti giri di parole o esitazione.
Cerco tra la folla e faccio cenno a un cameriere di avvicinarsi con il vassoio pieno di calici che distribuisco a tutti sfoderando un sorriso. «E lei ha accettato».
Le conversazioni e persino la musica sembrano essersi spente. Tutti hanno appena sentito, ma attendo paziente la reazione di Seamus. Sospetto stiano facendo lo stesso anche i Wild. Ersilia ha almeno la decenza di contenere lo stupore, mentre Theodore sembra piuttosto soddisfatto.
Dopo appena qualche secondo, Seamus sorride raggiante e sollevando il calice urla perdendo un po' della sua tipica compostezza: «Brindiamo a questa nuova coppia!»
Tutti applaudono e bevono alla nostra salute, Seamus mi afferra per la nuca e mi sussurra all'orecchio: «Ben fatto!», dandomi una pacca.
Io mi limito a sorridere, a fare un passo di lato quando si sposta verso Theodore e a tenere possessivamente vicina Faye, avvolta dal mio braccio intorno alla sua schiena. Siamo così tanto vicini che quando si volta le nostre labbra si sfiorano. Mi abbasso e le depongo un tenero bacio sulla spalla e uno sulla tempia.
Sto mostrando un lato che dovrei tenere nascosto, me ne rendo conto. Ma con Faye faccio cose che normalmente non farei per non attirare problemi.
La vedo rabbrividire. «Stai bene?», le chiedo attento.
Lei posa il calice. «Hanno ottenuto quello che volevano. Adesso tocca a noi prenderci qualcosa».
Non ho il tempo di chiedere una spiegazione. Nel voltarmi tra la folla intravedo qualcosa di insolito. Una delle guardie che dovrebbe essere all'esterno a controllare il perimetro insieme ad altre guardie, si sta aggirando intorno continuando a controllare ogni angolo con un certo nervosismo. Riconosco quel tipo di comportamento e so a chi attribuirne la colpa.
Avvicino Faye al petto, mi abbasso al suo orecchio. «Che ne dici di andare?», cerco di modulare la voce per non farle intendere la tensione.
«Di già?»
«Non mi va di restare», mento e lo faccio sbrigativamente. «Andiamo?»
«Sì, ma dove mi porti?»
Senza indugiare, la prendo per mano. Cerco tra la folla i miei fratelli, i quali colgono al volo il segnale, l'unico che riesco a fare prima degli spari, delle urla e della fitta che mi attraversa. Poi tutto diventa confuso. Una macchia nera che mi risucchia in un limbo oscuro e silenzioso.

💛🪽

Savage - Come carezza sulle cicatriciDove le storie prendono vita. Scoprilo ora