I riflessi del Lago Nero si erano adagiati su ogni superficie disponibile: sulle pareti, sui mobili, sulle coperte e persino sui libri.
Drago si rigirò nel letto.
C'era buio, tremendamente buio, ma uno spiraglio di luce sembrava fluire dall'acqua.
Tremò e si rimboccò meglio le coperte.
C'erano sempre suoni inquietanti che provenivano dal fondo del Lago, suoni su cui Draco aveva imparato da tempo a non interrogarsi.
Si rannicchiò, cercando di ignorare i brividi che avevano iniziato ad attraversarlo da capo e piedi.
Il lieve russare dei suoi compagni di stanza attutiva quei suoni, ma comunque non era tranquillo.
E poi, lì immerso in quel buio striato di verde, si ritrovò improvvisamente ad osservare il Marchio. Lassù, nel cielo scuro della Coppa del Mondo, dove aveva fatto la sua comparsa dopo anni terrorizzando il mondo magico.
Aprì gli occhi di scatto e balzò giù dal letto, come scottato.
Si appoggiò col busto alla scrivania e si passò una mano in fronte, trovandola impregnata di sudore freddo.
Era da quell’estate che il Marchio continuava a rubargli il sonno, tormentando i suoi sogni e costringendolo a levatacce degne di sua cugina. Da che ricordava, dei due era sempre stata lei quella mattiniera.
Aveva ancora sonno, ma nessuna voglia di rivedere quel Marchio. Ne aveva già avuto abbastanza.
Si appoggiò male al bordo della scrivania con una mano e il legno cigolò sotto il suo peso. Un frusciare di carta, però, attirò la sua attenzione. Sembrava che un foglio si fosse mosso nel cassetto, ma lui era sicuro di non averne messo nessuno. Non in tempi recenti, per lo meno.
Infatti, nel cassetto non c'era nulla.
Rovistò per un po', alla ricerca di quel qualcosa che aveva attirato la sua attenzione, ma senza alcun risultato.
Poi, preso dall'irritazione, tirò un pugno secco sul legno. Qualcosa scattò ed un minuscolo scomparto segreto si aprì.
E lì sì che c'era un biglietto. Anzi, una lettera.
Si guardò attorno, ma i suoi compagni dormivano ancora della grossa.
Così, con mani tremanti ed una profonda curiosità a muoverlo, si decise a prendere la lettera.
Non c'era alcuna scritta sulla busta. Niente di niente. Nemmeno un nome. Nulla. Solo la carta ingiallita.
Non c'era neppure il sigillo. Strano.
La aprì velocemente, ma esitò un istante prima di leggerla. Che fosse qualcosa di privato?
Poi però scosse il capo e ruppe gli indugi: chiunque l'avesse scritta o ricevuta non doveva averci tenuto più di tanto per averla lasciata lì.
Per Sir.
Non so perché abbia deciso di scriverti a quest'ora di notte, non chiedermelo. Probabilmente è soltanto debolezza.
Volevo farti sapere che sarei venuto con te. Ti avrei seguito, anche a casa dei Potter, anche a casa di tuo fratello.
Ma non potevo. Non posso.
Non posso perché nostra madre, nonostante tutto, ha sempre amato più te che me. E ho detto tutto.
Tu eri la stella più brillante del nostro cielo oscuro, Sir. Tanto brillante da abbagliare persino lei. Se solo avesse saputo come controllarti... suppongo saresti stato il perfetto erede della nostra nobilissima casata. Ironico, vero?
E ora che te ne sei andato, devo restare io. Perché la nostra famiglia di basa sì sulle stelle, ma anche sul sangue. Soprattutto sul sangue. Ed ora che tu sei fuggito, resto soltanto io.
Non posso andarmene, capisci Sir? Non posso. Vorrei, ma non posso. Per nostra madre, che tu chiamavi sempre e solo Walburga, per nostro padre, che forse non pensa già più a te. Per il nostro antico e nobile nome.
Quella calligrafia ordinata, elegante, sottile, si trasformò d'un tratto, quasi la mano di chi aveva impugnato la penna avesse tremato. Una macchia umida ricopriva quel pezzo di pergamena, dove una singola lacrima era caduta.
Portami con te. Dai Potter, in quello stupido pub Babbano che ami tanto, dove vuoi, ma portami via da qui. Non posso sopportare oltre tutto questo.
Un'altra lacrima aveva bagnato il foglio. E poi un'altra e un'altra ancora.
Poi doveva essere riuscito a calmarsi, perché la calligrafia tornava ad essere per lo meno simile a quella che aveva vergato con le prime parole la pergamena.
Con ogni mio pensiero,
Reggie
Draco rimase a lungo in silenzio, interdetto, senza sapere cosa fare.
Reggie. Regulus. Regulus Arcturus Black. Suo cugino. Il padre di Annie.
Eppure, non vedeva nulla del Mangiamorte traditore in quella lettera; non vedeva niente neppure del prefetto di Serpeverde, né del perfetto erede dei Black. No, in quella lettera vedeva soltanto un ragazzino spaventato e solo che cercava di farsi forza. Che cercava di non lasciarsi sopraffare dalle ombre della sua dimora.
Si scoprì a rispecchiarsi in quelle parole. Se ricordava bene, il traditore del suo sangue, Sirius Black, era scappato di casa a sedici anni; Regulus doveva essere poco più grande di lui, allora, quand'era successo, ragionò Draco. Rabbrividì.
Nonostante i recenti dissapori, non riusciva ad immaginare un Malfoy Manor senza Annie: sarebbe stato un incubo, solo sotto la lente di ingrandimento di suo padre. Almeno loro erano in due, ancora per lo meno. Perché non sapeva con certezza quanto quella Casa di scapestrati l'avesse traviata e temeva di svegliarsi un giorno e trovare la sua stanza vuota.
Sì, forse poteva capire il tormento di suo cugino.
Sfiorò ancora la pagina ingiallita, seppur con mani tremanti. Ora capiva che non era stata l'incuria a spingere il proprietario a lasciare lì quella lettera, in un cassetto nascosto di un dormitorio di scuola. Ora capiva che, sul punto di inviare la lettera, Regulus si era ricreduto e aveva deciso altrimenti. Eppure non l'aveva neppure mai bruciata. Sarebbe stato più sicuro consegnarla alle fiamme fredde del camino della Sala Comune: nessuno avrebbe mai potuto trovarla, nessuno avrebbe mai potuto accusarlo di essere un traditore, un infido. Eppure non l'aveva fatto.
Forse non aveva neppure mai avuto intenzione di spedirla e la busta priva di nomi sembrava confermarlo.
Forse voleva soltanto sentire di nuovo vicino quel fratello perduto, forse voleva soltanto sfogare la sua frustrazione.
Decise in un momento. Non dovette neppure pensarci più di tanto. Non avrebbe detto nulla a sua cugina. Sapeva quanto Annie cercasse di recuperare quante più storie, foto o informazioni su suo padre, ma quello... no, quello non avrebbe mai dovuto vederlo. Perché sapeva anche quanto Annie guardasse a suo padre (o a quel che le avevano raccontato di lui) come esempio. L'aveva scoperta più di una volta, seduta davanti alla toelette della sua stanza, con una foto un po' sbiadita di un giovane, tanto serio e immobile da sembrare esser stato catturato da una macchina fotografica Babbana e non da una magica, con i capelli d'ebano raccolti in una mano ed una camicia chiara per somigliare il più possibile al mago della foto. Draco aveva impiegato qualche istante per riconoscere il cugino in quello scatto. Eppure avrebbe dovuto capirlo subito: era troppo simile ad Annie. Gli stessi occhi, gli stessi zigomi, lo stesso naso, la stessa bocca... troppo simili.
Come avrebbe potuto reagire a quella lettera? Tutto quel che si era immaginata su di lui sarebbe caduto come un castello di carta. E Draco non voleva essere responsabile per quel crollo.
Al contempo, però, non aveva alcuna intenzione di bruciare quella lettera. Era privata. Non aveva alcun diritto di bruciarla quando il suo proprietario non l'aveva fatto.
E poi... beh, poi era la prova tangibile che qualcun'altro oltre a lui, prima di lui, si era sentito soffocare, avvolto dalle braccia scure della sua antica casata.
Improvvisamente si sentì un po' meno solo e le ombre e i riflessi verdastri del dormitorio gli parvero appena meno inquietanti.
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La figlia di Regulus Black - Convenienti torti
FanfictionSappiamo tutti cosa successe al quarto anno. Tutti ricordiamo il ritorno di Voldemort. Non è certo un mistero. Ma Annie Black? Lei, in questo quarto anno così imprevedibile, cosa farà? Ora che finalmente ha delle risposte sul conto di suo padre, cos...