Uno: Il Pianoforte

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La libertà è un boccone troppo
ghiotto, persino quando è terribilmente amaro."

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Il vecchio pianoforte campeggiava solitario nell'angolo più buio della cantina, come un oggetto ormai dimenticato.

I segni della sua longevità erano lampanti; il legno traballante che reggeva lo strumento non era più lucido come un tempo, ma scalfito e consumato dall'età.

Un morbido strato di setoso pulviscolo giaceva da tempo immemore su quella tastiera consumata.

Un piccolo riverbero di luce subentrava dalla porta semichiusa alle mie spalle; tutto il resto era immerso nel silenzio e nelle tenebre.

L'unico rumore che scheggiava quella quiete volubile, era il monotono gocciolio dell'acqua, che stillava da una tubatura addossata ad una delle mura.

Lo scantinato era un ricettacolo vuoto e scuro, un umido spazio quadrangolare rivestito da pareti in pietra ruvida, color pece; il soffitto era crepato, e il pavimento era polveroso e raschiato.

Era quello il luogo dove gli oggetti dimenticati venivano gettati via per sempre.

Era quello il luogo che mi gremiva sempre di tanta amarezza, nostalgia; come quel vecchio pianoforte che, piano piano, periva in silenzio, nel buio e nella solitudine.

La porta dietro di me si chiuse di scatto, riportandomi al presente.

Ora ogni cosa era cinta fra le viscide braccia dell'oscurità.

Delle voci iniziarono a parlottare nella mia testa; voci quasi prive di tono, fredde e cupe come la morte... parole incomprensibili.

«Che succede?» Domandai, portandomi le mani alle tempie.

Mi sentivo come se la mia testa si stesse dilaniando lentamente in due parti.

Le voci però persistevano, senza sosta. Sempre più forti, sempre più opprimenti.

Mi toglievano aria dai polmoni.

Attorno a me, incombeva il nulla. Il piano forte era scomparso, e lo scantinato con lui.

«Andate via!» Gridai a quelle voci, cadendo in ginocchio.

Erano frasi senza senso che mi perforavano la mente, è vero, ma facevano male alla testa, come aghi conficcati nella carne.

«Via, via, via! Andate via!» Supplicai ancora; lacrime calde e soffici come seta iniziarono a rigarmi le gote.

Mi asciugai gli occhi da quel pianto sfrenato, quasi involontario... e mi guardai le mani.

Liquido scarlatto macchiava i miei palmi nivei.

Piangevo sangue.

«Il Seme è forte.» Udii quelle ultime parole, una voce maschile e burbera, arcigna.

Poi, ogni cosa piombò in un silenzio devastante.

Il Seme dell'AlchimistaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora