La prima cosa che avvertii non appena ripresi coscienza, fu un odore acre, quasi nauseabondo.
Attorno a me, tutto era atono: nessun suono, oltre al pulsar del mio cuore e ad un lontano stillicidio d'acqua.
Ero sdraiata supina sulla pietra nuda e corrosa, che mi grattuggiava la schiena.
Le mie palpebre si spalancarono lentamente; dovetti strizzare più volte gli occhi, sebbene tutto ciò che mi si parava davanti fosse un buio fitto ed opprimente, come un abominevole muro di fumo.
Colta alla sprovvista, mi mossi in quel mare nero: ero cieca e sperduta.
Con un azzardato colpo di addominali mi alzai scattosa, ma uno spasimo improvviso mi smorzò il fiato in gola, costringendomi a contorcermi in preda ad una fitta di dolore alla spalla destra, che mi fece gemere.
Portandomi una mano sul punto dolente, strinsi forte; le mie dita vennero però a contatto con qualcosa di viscido, scivoloso.
Uno squarcio apriva la pelle della mia spalla, scoprendone un fascio di carne viva; sussultai più volte, gli occhi umidi di lacrime e i denti affondati nelle labbra morbide.
Capii solo allora da dove provenisse quell'odore acre che mi tappava le narici: il mio sangue.
Soffocai un urlo.
Dovetti ingoiare una modesta dose di sailva per farmi forza; rimasi quindi a giacere immobile, le palpebre serrate, il mento tremante.
Quando il dolore si attenuò, mi armai di coraggio: mi tastai cautamente attorno con una mano, tenendo a riguardo il braccio ferito.
Alla mia destra s'ergeva un'impenetrabile palizzata ruvida, chiaramente di pietrisco zigrinato che mi scoritcò la pelle delle dita.
Sotto di me, invece, ristagnava immobile un sottile flusso d'acqua, che s'increspava ad ogni mio più lieve movimento.
Passarono un paio di minuti di silenzio, durante i quali continuai a non scorgere nulla, abbarbicata nel lugubre abbraccio di innumerevoli tentacoi di tenebre, gelidi e appuntiti come spilli.
In quel silenzio di tomba, mi appiattii contro la parete di ghiaino e chiusi gli occhi, tremante.
Molteplici scene di sangue, dolore e devastazione affollarono morbose la mia mente, riproiettandosi all'interno delle mie palpebre, come tatuaggi in movimento: l'arrivo della lettera, la Quarta Setta demolita e preda delle fiamme, le Forze dell'Ordine armate, gli elicotteri che affollavano il cielo, il sicario che mi puntava una pistola contro, uno sparo...
La distruzione. Sangue, lacrime e morte: come mai prima d'allora, mi sentii come se tutto ciò fosse irreparabilmente entrato a far parte di me.
Quei pensieri latenti andavano e venivano, ingravidandomi la mente, offuscandola, artigliandola.
Mi sentii afferrare dal panico, una stretta invisibile che parve la presa di un gigante, cinta gelidamente contro la bocca del mio stomaco.
"É solo un brutto sogno", tentai di tranquillizzarmi. Ma quelle parole risultarono nella mia mente quasi remote, indistinte.
Riaprii e richiusi gli occhi diverse volte, solleticandomi le gote con le ciglia lunghe, senza tuttavia cogliere alcuna differenza: tutto rimaneva avvinghiato da un alone fosco, come avvolto in un panno d'oscurità.
Di punto in bianco, mi raggiunse la cospicua sensazione di essere osservata, come se miriadi di piccoli occhietti lattiginosi e disumani mi stessero studiando curiosi, spogliandomi dei miei segreti, sovrapponendo il terrore al lume della mia ragione.