I carretti del commercio affollavano le strade anfrattuose della Piazza.
Gli inconfondibili odori delle lingerie e dei vestiti puliti si amalgamavano disorganicamente con quelli del caffè macinato, del té aromatico e del vino; della carne, di mille verdure differenti e dei filoni di pane caldo, ancora fumante.
Le strade erano un caotico andirivieni di gente, le cui parole si ammassavano fra di loro creando un trambusto estenuante; i bambini gridavano e correvano, le donne si scambiavano pettegolezzi, gli uomini parlavano e scherzavano fra loro, i venditori gridavano per accaparrarsi quanti più clienti possibili.
L'oreficeria di Grenn, tuttavia, era seminascosta in una delle serpeggianti ramificazioni che si prolungavano dalla Piazza Principale.
Era un posto illuminato solo dalla luce fioca di una vecchia lampadina impolverata, e l'aria puzzava di rancido.
Le pareti in legno erano attraversate da un leggero strato di pulviscolo, e le attrezzature arrugginite e attempate erano riposte ordinatamente su degli scaffali traballanti, consumati dal tempo.
«Sarà stato solo uno dei tuoi tanti sogni. Come... come quel pianoforte ossessivo, no?» Mormorò Grenn, quando ebbi finito di raccontargli la faccenda della lettera.
Poggió, poi, in un contenitore di metallo sia il martello ossidato che il catenaccio ardente, che utilizzava per lavorare il ferro battuto.Si asciugò la fronte imperlata di sudore con l'avambraccio, un sorriso sornione increspato sul volto.
«Oh, ma sei serio? Se fosse stato un sogno, la lettera non ce l'avrei, adesso.» Ribattei, ruotando gli occhi al cielo.
Lui mi squadrò molto a lungo, attentamente, per poi sospirare.
«Ce l'hai qui? La lettera, intendo.» Domandò, spostando lo sguardo per fingersi quasi totalmente disinteressato.
«Sì, ma tanto non riusciresti a leggerla. Ci ho già provato io... e pare scritta in arcaico.» Proruppe Laila, accanto a me, le braccia incrociate al petto esile e privo di seno.
Negli ultimi due giorni, Laila era rimasta sempre rintanata in casa, senza cibo e con pochissima acqua dal sapore stantio. Avevo provato diverse volte a bussare alla sua porta, ma ricevevo in risposta solo un "vattene via" soffocato dalle sue lacrime apparentemente inesauribili.
Tuttavia, adesso sembrava stare di gran lunga meglio.
Probabilmente perchè mi ero introdotta di forza a casa sua per costringerla a leggere questa dannata lettera, ma fatto sta che non sembrava più così... depressa.
Era riuscita persino ad uscire di casa.
«E allora perchè tu sei riuscita a leggerla?» Riprese Grenn, rivolto a me.
Il ragazzo alzò le sopracciglia, in un chiaro gesto di sfida.
«Non lo so neanch'io il perchè.» Risposi semplicemente, con un'innocente scrollata di spalle.
«Grenn, vuoi dieci minuti di pausa?» Urlò Aleksander, il capo di Grenn, dall'altra parte della stanza. Il suo volto anziano e rugoso era nascosto dietro una maschera nera da saldatura.
Grenn assentì e, spolverandosi il corpo con le mani, ci condusse verso l'uscita della bottega per prendere un po' d'aria.
Con le spalle, si poggiò sullo stipite della porta sghemba.
«E se fosse stato solo uno scherzo? Di qualche ragazzino, magari. Non puoi mai sapere cosa passi per la testa di...»
«Oh mio Dio, Grenn!» Rimbeccò Laila, le sopracciglia corrugate a formare un'unica linea ramata.