Quattro: La Missiva

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«É difettoso. Eliminatelo.» Quella voce, dura come il marmo, era un riecheggio soffocato; come se quelle parole fossero state pronunziate attraverso una parete d'acqua.

«Non possiamo distruggerlo, Eddon. Il seme sembra avere ormai raggiunto uno stadio evolutivo troppo sviluppato. Respira... vive.» Obiettò un'altra voce, esitate.

«Allora uccidetelo. Di questi... di questi "cosi", ne abbiamo già prodotti abbastanza. O preferisci forse che Aeros ci stacchi la testa dal collo?» Ringhiò la prima voce, violenta come un pugno.

«Pedro ha ragione; non siamo assassini, Eddon. Il seme è maturato: è un essere umano, ormai.» Proruppe il tono competitivo di una donna.

Un rumore secco vibrò nell'aria, come se qualcuno avesse appena sbattuto le mani con potenza su un bancone.

«NON É UN ESSERE UMANO!» S'infuriò l'uomo, la voce declinata in un tono irato.

«É... É solo un esperimento.» Tremò di rabbia, nel vano tentativo di reprimerla. «La sua vita non possiede alcun valore. Né per me, né per nessun altro. É soltanto un esperimento fallito. E ora, se non volete perdere il vostro posto, buttatelo via assieme agli altri.»

«Eddon...»

***

Mi svegliai di soprassalto, prendendo un boccone d'aria, strabuzzando gli occhi.
Mi fischiavano le orecchie.
«Alaska Joel!» Ululò un uomo da dietro la porta d'entrata, scricchiolante e mezza incrinata.

Rimasi immobile, gli occhi fissi sull'uscio di casa nascosto nella penombra, le coperte tirate sù; trattenni persino il respiro.

«Non sei nei guai, Alaska Joel. Sono venuto per consegnarle una missiva.»

***

«Una lettera? Un lettera... per me?» Quelle parole si riversarono dalle mie labbra involontariamente, mentre offrivo al messaggero dell'infuso di salvia.

«Una lettera per lei, esatto.» Ripeté il portalettere, porgendomi l'epistola color terra.

«Da parte di chi?» Domandai, versando l'infuso in due vecchie tazze di porcellana: una per me, una per lui.

Hugh - il postino della Quarta Setta - fece spallucce, portandosi la tazzina alle labbra.

«Che posso saperne io? Vivo nella Quarta, ragazzina. Ciò che non serve a far sopravvivere quanto basta me e la mia famiglia, sinceramente non m'interessa granchè.» Richiuse il borsello dal quale aveva raccattato la mia lettera, e si scostò i capelli grigiastri dal viso squadrato.

«Eseguo il mio lavoro e basta.» Concluse.

Hugh era il solito tipo che non si faceva mai gli affari degli altri. Aveva una pelle oleastra, che entrava in un astruso contrasto con i suoi fatui occhi azzurri, e doveva presentare all'incirca una quarantina d'anni, se non di più.

«D'accordo. Grazie, ad ogni modo.» Ghermendo la bustina, me la rigirai fra le dita, studiandola con occhio critico.

Uno carente schizzo di ceralacca rossastra sigillava l'involucro, ma sopra non c'era inciso alcun simbolo di riconoscimento, nessuna firma.

«É anonima.» Notai, corrugando le sopracciglia.

Il postino rise.

«Be', almeno può stare tranquilla che non sia una missiva del Governo. Ad ogno modo, credo che toglierò il disturbo, Joel. Ho un sacco di lavoro da fare, ancora.» Hugh ripose la tazzina vuota sul tavolo di legno instabile e sgangherato, e si alzò.

«Buona giornata.» Salutò, svoltando verso l'uscita.

***

Mi sedetti su uno sgabello vacillante, nel silenzio tenue calato di botto nella mia stanza.

Il Seme dell'AlchimistaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora