Sei: Forze dell'Ordine

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Le prime luci dell'alba abbracciarono la mia stanza tacita come tentacoli evanescenti.

Quel mattino riservò per me un risveglio eclatante; fuori signoreggiavano amorfe grida popolane, che mi strapparono ferocemente via dalle mie elucubrazioni.

Mormorii, esclamazioni di reclamo, grida adirate, rimostranze e lamentele esplosero fra le piazze, così come fra i viottoli più angusti.

Una strana sensazione gravava nelle mie viscere e nella mia mente, inerpicandosi in cima ai miei pensieri, che iniziavano a farsi pesanti, quasi violenti.

Mi catapultai immediatamente fuori di casa, per assimilare cosa stesse accadendo.

Aprii la porta, e subito il clamore delle urla si fece estremamente più vivido.

Alzai lo sguardo: l'albeggiare del cielo era soggiogato dietro una massiccia flotta aerea, i cui rumori erano sovrastati dalle urla popolane.

I domiciliati del ventiseiesimo quartiere correvano secondo un ordine confuso, chi a destra e chi a sinistra, reclamando e bestemmiando alla ricerca di un rifugio sicuro, pur consapevoli che lì, di sicuro non c'era neppure il proprio nome.

Una corrente di ragazzini mi sfrecciò dirimpetto, i loro piedi che sollevarono spruzzi da una pozzanghera; sul loro volto era impresso il terrore.

«Ehi, aspetta! Ma che succede?» Con il cuore che mi martellava furiosamente in petto, afferrai il primo tizio che mi passò dinanzi.

In quell'istante, un elicottero sferzò l'aria a bassa quota, virando trasversalmente in direzione della Piazza Principale.

«Prendetene quanti più possibile! Prendeteli e ritiratevi!» Ordinò un individuo in tuta mimetica dall'aereomobile, con un tono quasi esaltato, la voce resa potente dagli altoparlanti.

L'uomo, che ancora tenevo per una manica, si guardò attorno frenetico e spaurito, le palpebre spalancate.

Mi scoccò infine un'occhiataccia, spingendomi via e riprendendo prontamente la sua fuga, ancor più celere di prima.

Io caddi bocconi a causa dello spintone, scorticandomi dolorosamente il ginocchio contro il pavimento pietroso, e spellandomi le mani, protese in avanti per attutire la caduta.

Zampilli di sangue scarlatto iniziarono subito a fiottare fuori dalle lesioni sulle mani. Me lo succhiai, tentando disperatamente di arrestare il prolisso flusso sanguigno.

Anche il ginocchio mi sanguinava, e dovetti ingollare una modesta quantità di saliva per trovare la forza di ignorare il bruciore, e quindi di rialzarmi dal terreno corroso.

«Alaska!» Alzando lo sguardo, vidi Laila precipitòlarsi verso di me.

«Ma che diavolo succede?» Gridai, per sovrastare quel complesso caleidoscopico di urla, che si divulgavano ininterrottamente per tutta la Setta.

«Sono arrivati!» Gemette lei, tirandomi per un braccio, ansimante. «Dobbiamo andare, subito!»

«Chi? Laila, chi è arrivato!?»

«Le Forze dell'Ordine.» Sibilò, le pupille ridotte a due fessure.

Un brivido gelido mi percorse la schiena; fissai la mia migliore amica, che m'intimava di correre via...

Eppure non per un attimo non riuscii neppure ad udire le sue parole; sentivo solamente il mio respiro farsi ancor più morboso, mentre milioni di tedi pensieri mi si annidavano nella mente.

«La lettera...» Boccheggiai.
Laila si pietrificò per un istante, per poi annuire lentamente, il volto plissettato da una preoccupazione innaturale.

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