Ci muovemmo nascosti nell'ombra, instradando i viottoli più bui e angusti, quelli meno popolati... nonchè i più sicuri.
«E se dovesse essere una trappola?» Ipotizzò Grenn, cercando di sovrastare il vento che ci fischiava nelle orecchie, accompagnato dalla detonazione di poliedrici spari e fragori affini.
«E se non lo fosse?» Rimbeccai io, mentre i miei piedi avanzavano recalcitranti in quel terreno melmoso, disseminato di pietrisco.
Infiniti tumulti si affollavano risolutivi nelle mie orecchie, ma ciononostante riuscii ad udire il sospiro titubante di Grenn vibrare nell'aria rigida.
«Dovremmo combattere insieme agli altri. Non dovremmo fuggire così, come... come codardi.» Recriminò l'albino, il tono ripugnato; fra le mani cingeva una pistola, il dito basato lievemente sul grilletto.
Al mio fianco, I capelli rossicci di Laila danzavano al vento come vessilli di guerra, incorniciando grottescamente un'espressione granitica, troneggiante sul suo volto morbido.
«Parli di combattere, ma sei davvero convinto che la Quarta sia in grado di farlo?» Proruppe ella.A quelle parole seguirono lunghi istanti di silenzio, raggelante come il ghiaccio.
«Potremmo.» Decretò infine Grenn.
I lineamenti delicati del suo viso - dall'effige quasi femminea, oserei -, s'indurirono di colpo.«Certo, potremmo senz'altro. Ma come? Con un pezzo di pane stantio e delle belle paroline? Non serviranno a nulla gli elogi, quando ci ritroveremo la canna di una pistola ancora fumante in mezzo agli occhi... credimi.» Sospirai.
L'eco fallace di uno sparo si ripercosse nell'aria torbida, nel momento in cui pronunziai quelle parole.
Un brivido inquieto mi scosse la schiena, mentre transitavamo sotto un'arcata di pietra posta ad introdurci verso lo Spiazzo degli Archi, uno slargo a sud-ovest della Piazza Principale.
Di lì in poi, fu silenzio per molto tempo.
Una volta giunti nel piazzale, non parvero esserci soldati delle Forze dell'Ordine ad attenderci; tuttavia non seppi decretare se fosse, in effetti, una cosa positiva o non.
Superammo di slancio locande decadenti, ostelli dalle insegne sfarfallanti e alloggi devastati, calpestando le salme ancora sanguinanti degli uomini caduti.
Uomini che non conoscevamo, la cui esistenza, ormai cancellata definitivamente, c'era stata ignota fino a quel momento...
ma anche uomini che, in fin dei conti, avevano patito le nostre stesse pene, chi più e chi meno.Fratelli nostri non di sangue, ma di vita.
Un drappello di dozzine di elicotteri saettarono sopra le nostre teste; gli uomini all'interno sbraitavano ordini e parolacce, le labbra premute contro gli altoparlanti.
Tuttavia, per nostra fortuna, la flotta era troppo occupata per notarci, così ci oltrepassò senza preludi.
«Di qua.» Sussurrò Grenn, indicandoci una stretta via, che ci condusse in breve tempo al centro diretto dello Spiazzo degli Archi.
Esso era letteralmente ciò che suggeriva: a cingere il piazzale si ergevano imponenti arcate di selce, pietra dura e corrosa dal tempo, più alte di qualsiasi altro monumento.
Ogni sconquasso dei mausolei e delle architetture che sorgevano in quella piazza, erano il collaudo incontrovertibile della sua estrema longevità: troneggiava al centro dello slargo un'ancestrale statua di terracotta, intaccata ai suoi lembi.
Rappresentava un leone dalla criniera d'oro, imponente come un re, le fauci spalancate a digrignare zanne placcate, come aghi.