Capitolo 7

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Camminavo irrequieta lungo il perimetro della mia stanza.

Avevo messo il pigiama ed avevo provato a farmi una doccia rilassante, ma era servito a bene poco. Continuavo a camminare spedita con i capelli umidi che ricadevano sulle spalle, avrei dovuto asciugarli ma non riuscivo a fare altro che fissare la finestra che avevo lasciato aperta.

Iniziava a farmi male la pancia per la tensione.

Il resto della cena era stato particolare.

Io non riuscivo a spiccicare parola, ero convinta che quello che avevo fatto poco prima fosse impresso a caratteri cubitali sulla mia fronte. D'altra parte, del divano invece, un logorroico Pietro non faceva altro che parlare, ridere e scherzare.

Io evitai accuratamente ogni sguardo di mio fratello, scambiando giusto qualche monosillabo con Dario. Anche in macchina non fui di molte parole, fiondandomi subito dopo in stanza.

Ed ero qui.

La vibrazione del mio telefono mi fece sussultare.

Sullo schermo lampeggiava il numero di Pietro.

"Dimmi" risposi a bassa voce.

"Affacciati alla finestra" mi rispose chiudendo la chiamata.

Mi avvicinai al piccolo davanzale, sporgendomi di sotto, trovando un Pietro coperto dal grande giubbotto di jeans e due birre in mano. Non disse nulla, mi regalò solo un grande sorriso e poi mi fece segno con la mano di scendere.

Scendere?!

Ricomposi velocemente il numero.

"Tu sei pazzo, io non scenderò mai dalla finestra" sussurrai stizzita.

"Avanti Eleonora! Preferisci uscire dalla porta e rischiare qualcuno se ne accorga?"

"Ma se ami tanto il pericolo perché non sali tu?"

"Perché non voglio passare la notte in camera tua" rispose ovvio.

"Ed io non voglio rompermi una caviglia".

"Non ti rompi niente idiota, abiti al primo piano e sotto la finestra passa la tubature del condizionatore".

"Tu sei pazzo, non ci penso nemmeno" risposi velocemente riattaccando la chiamata e rientrando in stanza.

Si era rincoglionito, non c'era altra spiegazione.

Inconsciamente però, i miei piedi si mossero verso l'armadio dove pescai una maglietta larga a maniche corte rossa (se la memoria non mi inganna rubata proprio ad Andrea) ed un pantalone da tuta largo nero.

Mi morsi un labbro, i vestiti ancora fra le mani.

Corsi velocemente alla finestra, Pietro era ancora appoggiato alla macchina con le mai in tasca e lo sguardo verso la finestra.

Notandomi, mosse le mani muovendole a mo' di preghiera.

Prima che potessi pentirmene mi cambiai, i capelli erano ormai asciutti ma gonfi e ne approfittai per legarli in un raccolto abbastanza disordinato. Recuperai le scarpe e mi riaffacciai dalla finestra.

Effettivamente non era pericoloso, molte volte Andrea lo faceva per ritornare a casa ad orari indecenti.

Se ce l'ha fatta quel demente, pensai.

Poggiai le mani sul davanzale, facendo leva e poggiando i piedi sul tubo grigio.

Piano piano, come se fosse un'arrampicata su corda, iniziai a scendere giù.

Non feci in tempo a finire il percorso che due mani forti mi cinsero i fianchi e mi posero al suolo.

"Sei qui" gongolò Pietro soddisfatto.

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