Capitolo dieci

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Claire

Non è passata neanche una settimana dal litigio con Blake eppure eccomi qui, a cercarlo per tutta la scuola.

Questa volta, però, ho un motivo preciso. Voglio chiedergli del dono. E magari, se riesco, chiarire un po' la situazione tra noi.

Attraverso il primo corridoio, passando accanto a studenti che non conosco.
I loro sguardi indifferenti scorrono su di me, ma non ci faccio caso.

La mia mente è troppo occupata, annebbiata dai pensieri. Continuo a ripassare la nostra discussione nella testa, rivedo ogni parola, ogni sguardo, ogni gesto.

E ora... mi sento in colpa. Forse avrei potuto evitare di rispondergli così. Potevo essere meno dura, meno tagliente.

Ma cosa sto dicendo? No, ho fatto benissimo.

L'ultima cosa che voglio è farmi mettere i piedi in testa da uno che non sa neanche cosa fare della sua vita, con quell'aria da mezzo depresso.

Mi scopro a ripensare anche alla voce
che mi è tornata durante il nostro scontro. Mi sta tormentando da giorni e non so più cosa fare per scacciarla.

È un'ombra costante, che si insinua nella mia mente nei momenti peggiori, rendendo ogni pensiero una lotta.

Salgo la scalinata imponente, lo sguardo fisso a terra, completamente immersa nei miei pensieri.

I gradini si susseguono, uno dopo l'altro, ma il mondo intorno a me è ovattato, lontano. Non vedo nulla, non sento nulla. C'è solo quella voce nella mia testa, e Blake.

Senza nemmeno accorgermene, il piede manca il gradino e, in un attimo, sento il vuoto sotto di me.

Il cuore mi balza in gola mentre il corpo si prepara a una caduta rovinosa.
Ma una presa salda, ferma, quasi troppo forte, mi stringe la vita, bloccandomi contro la ringhiera con una forza che mi toglie il fiato.

Apro gli occhi di scatto, il cuore ancora in tumulto, e... oddio, come non detto.

Blake. Le sue mani, fredde e decise, mi tengono stretta, impedendomi di precipitare.

I suoi occhi, sempre così impenetrabili, ora sono fissi su di me, scrutando ogni angolo del mio viso come se stesse cercando qualcosa di invisibile, qualcosa che solo lui può vedere.

Il suo respiro è lento, controllato, ma il mio è ancora irregolare, sconvolto non solo per lo scampato pericolo, ma anche per questa inaspettata vicinanza.

Che si fa in queste situazioni? Dovrei forse sorridergli come un'ebete, ringraziarlo con un "oddio mi hai salvata, grazie!"?

O dovrei spostarmi, scrollare tutto di dosso e fingere che non sia successo nulla?

Non ne ho la più pallida idea, e mentre i pensieri si accavallano confusi nella mia testa, rimaniamo lì, così, immobili.

Quindici secondi. Quindici interminabili secondi in cui nessuno dei due parla, nessuno si muove.

Solo il suo respiro e il mio che si incrociano, la sua mano ancora saldamente ancorata alla mia vita, come se temesse che, mollando la presa, potessi sparire.

Poi, lentamente, mi rendo conto della tensione accumulata nei suoi muscoli, come se in quella frazione di secondo si fosse trattenuto dal farmi crollare, ma ora non sapesse come lasciarmi andare.

Il silenzio tra di noi è denso, quasi palpabile, carico di tutto ciò che non ci siamo mai detti, di quello che abbiamo evitato di affrontare.

La sua mano sulla mia vita è un'ancora che mi tiene ferma in un momento sospeso, eppure, dentro di me, tutto si agita.

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