Una settimana. Era passata una settimana dalla prima seduta con Carlotta, la dott.sa Visconti. Ed era da una settimana che Mimmo non gli rivolgeva la parola.
Quando era uscito non lo aveva trovato ad aspettarlo, allora aveva preso il telefono e aveva guardato se per caso gli avesse mandato qualche messaggio, magari era successo qualcosa. Nulla.
Ehi, dove sei finito?
E lo inviò.
Salì in moto e tenne aperta la chat per qualche altro minuto prima di riporlo in tasca e mettersi il casco.
...
Si era comportato da codardo, per la seconda volta. Mentre si allontanava verso la prima stazione della metro nelle vicinanze, continuava a ripetersi che lo stava facendo proprio perché teneva tanto a Simone, lo faceva per lui, ma sapeva anche che ne avrebbe sofferto perché poco prima gli aveva detto che non lo avrebbe lasciato.
Ma era meglio così.
Il problema era che lo avrebbe visto a scuola e non sapeva se sarebbe riuscito ad evitarlo a lungo.
Adesso doveva concentrarsi solo sul fare le cose per bene, forse così Molosso lo avrebbe lasciato in pace. Illuso. Sentì una vocina venire dalla sua mente, somigliava alla sua stessa voce e non voleva ascoltarla, ma sapeva che aveva ragione. Queste persone non ti lasciano in pace, nemmeno se fai quello che ti chiedono.
Quella che passò fu la settimana più dura per lui. Simone continuava a scrivergli, a scuola cercava in tutti i modi di parlargli, di rimanere soli in biblioteca perché nessuno sapeva di loro. Mimmo lo mandava via ogni volta, anche se gli faceva male al cuore farlo. Voleva solo essere stretto tra le sue braccia.
Anche lui aveva finalmente cominciato terapia, con il dottor Tiberio Potenza. Era un uomo basso, rispetto a Mimmo, circa 1.70, calvo ma non completamente pelato, con un po' di pancia ma non troppo robusto. Portava sempre una cravatta diversa e colorata o con disegni particolari.
A Mimmo stava simpatico. Si era dimostrato da subito disponibile ad ascoltarlo senza giudizi, dopotutto collaborava da tempo con il carcere e ne aveva sentite di storie.
Gli offriva sempre una tazza di tè o di cioccolata, e le prime volte Mimmo aveva lo stomaco così chiuso che non se la sentiva di accettare nemmeno una tazza di tè.
Ci andava ogni settimana e, a volte, anche due volte a settimana, se necessario.Mimmo aveva parlato della sua infanzia, della sua famiglia, di come non conoscesse bene suo padre e che quelle poche volte che l'aveva visto aveva avuto comportamenti violenti, sia verbalmente sia fisicamente nei confronti suoi e di sua madre. Sua madre era una donna tosta, che riusciva sempre a rimettersi in piedi, ma in qualche modo dovevano sopravvivere, e anche lei era finita in carcere.
Gli raccontò del fratello, con il quale non aveva un buon rapporto. Da piccolo lo vedeva come il modello da seguire, ma crescendo si era reso conto che stava diventando come il padre e si erano allontanati. Lui frequentava brutti giri, con cui Mimmo non voleva avere a che fare.
Era finito dentro solo perché voleva dare una mano alla madre e tentare di rapinare un negozio gli sembrò più semplice dello spacciare droga.
Parlò delle persone che aveva conosciuto a Roma: di Carmine, che nel giro di quel mesetto aveva cominciato a considerarlo la sua famiglia; del professore, che voleva che riprendesse gli studi perché aveva capito che era un suo interesse la scuola; e poi parlò di Simone.
Parlando di Simone fu inevitabile l'argomento delicato che era il capitolo di Nisida. Il dottore cercò di metterlo a proprio agio, facendogli fare qualche esercizio di respirazione, così che fosse più rilassato nel momento in cui avrebbe parlato, e non gli mise fretta nel raccontare.