Nine

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La sera stava calando lentamente, avvolgendo la città in una coperta dal colore del crepuscolo mentre Artyom ed Enea viaggiavano verso la periferia. Il cielo si dipingeva di una sinfonia di sfumature arancioni e viola, un ultimo tributo del sole prima che la luna prendesse il suo posto. La radio trasmetteva una musica leggera (anzi leggerissima), le note fluttuavano nell'aria come un sussurro, accompagnando il ritmo costante del motore e creando un'atmosfera intima e serena.

La strada, ormai avvolta dall'oscurità, era illuminata da una sequenza di lampioni che proiettavano lunghe ombre tremolanti sull'asfalto. Ogni tanto, il fascio di luce dei fari di altre macchine tagliavano la notte, rivelando brevi scorci di paesaggi che sembravano usciti da un sogno. Enea, seduto accanto a Artyom, guardava fuori dal finestrino abbassato, il vento fresco della sera che gli scompigliava i capelli e portava con sé il profumo della terra e delle piante umide.

Artyom guidava con tranquillità, le mani salde sul volante, lo sguardo concentrato sulla strada ma con un'espressione rilassata. Di tanto in tanto lanciava uno sguardo a Enea, e nei suoi occhi si leggeva un misto di tenerezza e complicità. Il silenzio tra loro era confortante.

Milo sedeva tranquillamente sui sedili posteriori, osservando il mondo esterno con occhi curiosi, occasionalmente alzando le orecchie per captare un suono interessante.

La strada si snodava attraverso campi e piccoli boschi, un percorso che sembrava condurli sempre più lontano dalla frenesia urbana e più vicino a un luogo di quiete e serenità.

Enea si sentiva stranamente in pace, il suo cuore batteva in sintonia con la musica, chiuse gli occhi per un momento, godendosi la sensazione del vento, Artyom lo osservò di nuovo, un sorriso gentile e affettuoso si delineò sul suo volto.

"Felice?" chiese, la parola quasi un sussurro che si confondeva con la musica.

Il pasticcere, perso nei suoi pensieri, non colse subito la domanda. "Mh?" mormorò, voltandosi verso Artyom con uno sguardo interrogativo.

Artyom sorrise, e questa volta alzò gli occhi per guardare Enea, la luce dei lampioni che passavano proiettava ombre danzanti sui loro volti. "Ti ho chiesto se sei felice," ripeté, con una nota di tenerezza nella voce.

Enea esitò per un attimo, poi un sorriso spontaneo si allargò sulle sue labbra. "Sì," rispose, sentendo il cuore battere un po' più forte. "È così ovvio?"

Artyom ridacchiò piano, scuotendo leggermente la testa. "Quando sorridi hai delle fossette adorabili," disse, il suo tono sincero e divertito. "È difficile non notarlo." aggiunse riportando gli occhi alla strada.

Enea abbassò lo sguardo per un momento, sentendo un leggero rossore salire alle guance. Artyom, notando l'imbarazzo di Enea, spostò la mano dal cambio e la posò delicatamente sulla coscia del più giovane, accarezzandola piano.

Continuarono a viaggiare attraverso la notte,ogni tanto, Artyom stringeva leggermente la coscia di Enea, a volte invece la lasciava andare per usare il cambio, solo per poi riportarla a quello che ormai sembrava diventato il suo posto.

Finalmente, dopo un po' di strada, arrivarono in una zona più tranquilla della periferia, dove le case erano sparse e la luce dei lampioni era più rarefatta. Artyom svoltò in una stradina secondaria e si fermò in uno spiazzo di parcheggio circondato da casette con bei giardini rigogliosi e tante piante che emanavano un profumo fresco e avvolgente. Solo un lampione solitario illuminava la scena.

Spegnendo il motore, Artyom si girò verso Enea, il suo sguardo fermo e dolce. "Siamo arrivati," disse con un sorriso, "Dovremo camminare solo un po', spero non ti dispiaccia."

Enea scosse leggermente la testa, un sorriso giocoso che gli increspava le labbra. "La prenderò come una passeggiata romantica," scherzò, il suo tono leggero ma con un sottile velo di emozione.

Artyom sorrise di rimando e, togliendo la mano dalla coscia di Enea, aprì la portiera. "Vieni," disse.

Uscirono dalla macchina, il fresco della sera li accolse, e Milo scese agilmente dai sedili posteriori, scodinzolando felicemente.

Gli uomini si incamminarono lungo una stradina che portava a una rampa di scale in cemento, con un sottile corrimano di ferro che serpeggiava tra gli alberi rigogliosi. Milo corse su per i gradini con un'energia contagiosa, mentre Enea si fermò un momento, inspirando profondamente l'aria fresca della sera, pervaso da un profumo dolce che gli avvolgeva i sensi.

"Che buon profumo," disse, osservando gli alberi che affiancavano la scalinata. Erano carichi di larghi fiori bianchi, disposti a grappoli, che emanavano una fragranza dolcissima.

"È tiglio," spiegò Artyom, avvicinandosi a Enea. Per un istante esitò, poi mise una mano leggera sulla schiena del pasticcere, guidandolo dolcemente su per i gradini.

Ogni passo sembrava portare Enea a un livello di ebrezza sempre più alto, tanto che inciampò goffamente sull'ultimo gradino, finendo di peso tra le braccia del barista, il quale in quella posizione, finalmente, non doveva più guardarlo dal basso.

I loro occhi si incontrarono in un secondo di silenzio, uno di quelli buffi piuttosto che imbarazzanti. "Ciao," mormorò Enea, con un sorriso imbarazzato ma felice.

"Ciao," rispose Artyom, i suoi occhi brillavano divertiti. I loro visi erano così vicini che potevano sentire l'uno il respiro dell'altro. Artyom alzò un sopracciglio con un sorriso provocatorio. "Fatto male?"

"No," rispose Enea, scuotendo leggermente la testa, il rossore che gli colorava le guance visibile anche alla luce fioca. "Solo un po' imbarazzato."

Artyom strinse un po' di più la presa, mantenendo Enea saldo. "Non c'è niente di cui essere imbarazzato," disse dolcemente, i loro corpi ancora vicini. "Sei in buone mani."

Enea ridacchiò, cercando di distogliere lo sguardo per un attimo, ma trovandosi irresistibilmente attratto dagli occhi di Artyom. "Non fare l'eroe" sussurrò, lasciandosi andare per un attimo a quel contatto che sembrava così naturale e giusto.

Artyom lo aiutò a rimettersi in piedi, mantenendo comunque una mano sulla sua schiena, come per assicurarsi che Enea fosse stabile. "Andiamo," disse infine, guidandolo con delicatezza lungo il sentiero che conduceva alla loro destinazione.

Il palazzo in cui Artyom viveva era una struttura modesta, due piani, mura di un giallino sbiadito ed un piccolo giardino ben curato. Al piano inferiore, abitavano i suoi vicini, una coppia di anziani ficcanaso che trovava sempre un motivo per tenere d'occhio chi entrava e usciva dal palazzo. Il barista invece, abitava al piano di sopra.

Mentre i due salivano le scale buie e strette, i loro passi risuonavano sordi contro le pareti spoglie, creando un eco familiare. All'improvviso, un paio di occhi gialli e vigili apparvero tra le sbarre della ringhiera: il gatto dei vicini, Duchessa, che non mancava mai di far sentire la sua presenza.

Quando il felino incontrò lo sguardo di Milo, un soffio minaccioso risuonò nell'aria. Ma il cane, impassibile e tranquillo, ignorò la provocazione, seguendo fedelmente Artyom ed Enea lungo la scalinata.

Nel frattempo, dall'ombra dei gradini già percorsi, due paia di occhi curiosi seguivano ogni loro movimento. I coniugi Carron, veterani nel mestiere di spioni di quartiere, non perdevano occasione per raccogliere informazioni sui loro vicini. La signora Carron, con i suoi occhiali a mezzaluna e i capelli raccolti in un austero chignon, annotava mentalmente ogni dettaglio. Il marito, borbottava commenti poco lusinghieri sui giovani d'oggi.

Finalmente, giunsero davanti a una porta alta e scura, imponente nella sua semplicità. La fessura delle lettere recitava il nome "Artyom Alekseev", seguito da un lungo cognome russo che sembrava difficile da pronunciare: "Miroshnichenko". Enea, osservando quel nome, si rese conto con un sorriso di non aver mai afferrato completamente l'intera identità del suo, ormai a tutti gli effetti, amante.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 16 ⏰

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