Capitolo V - Youthanasia

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Tempest's POV
<<Ma che... che caz... dove sono?>> borbottò assonnato Dave.
Aprii un occhio. Mi trovavo sdraiata sul prato di casa mia, mentre Dave era seduto poco distante da me; si stropicciava gli occhi, guardandosi in torno smarrito.
Dovevano essere più o meno le 6 di mattina, visto che il sole stava sorgendo.
<<Siamo nel mio giardino Dave>> mormorai fra uno sbadiglio e l'altro.
<<Dovevo essere proprio fatto. Non mi ricordo un cazzo di quello che è successo>> disse ridendo, cercando di mettersi in piedi.
Ripensai alla serata precedente. Niente. Era come se avessi un grande buco nero. E anche sforzandomi non ricordavo nulla.
Chiusi di nuovo gli occhi e mi riaddormentai.
<<MAMMA! MAMMA! Temp sta dormendo nel prato!>> urlò Joy precipitandosi fuori dalla porta saltellando.
Mi svegliai di sobbalzo. Dave non era più lì. Doveva essere tornato a casa sua; molto meglio così, almeno non sarebbe finito nei pasticci con i miei genitori ne tantomeno li avrebbe insospettiti. Con una fatica immensa mi misi seduta. Mia madre mi stava fissando dalla finestra di camera mia, mentre mio padre era in piedi vicino alla porta d'ingresso. Entrambi avevano una faccia spaventata e molto irritata.
Mi trascinai in casa. Mio padre mandò Joy di sopra, poi mi guardò incazzato come una bestia.
<<Si può sapere dove eri finita? E che diavolo hai fumato!>> mi urlò addosso.
Lo guardai con faccia ebete. Dovevo fare già un grande sforzo per tenere gli occhi aperti e reggermi in piedi. Lasciai mio padre in cucina, mentre si rimproverava con le solite frasi che un genitore si dice quando il proprio figlio fa una gran cazzata, del tipo: <<ma dove ho sbagliato? Ho sempre creduto di essere un genitore modello e ora scopro che mia figlia fa cose del genere>>.
Mi buttai a letto e mi avvolsi fra le coperte.
Stetti una giornata e mezza a letto a dormire. Il massimo che riuscivo a fare era andare ogni tanto al bagno e mangiare qualche biscotto dalla riserva segreta sotto al mio letto.
Mi sentivo uno straccio.
Il terzo giorno mi svegliai più rilassata e mi sentivo molto meglio. Anzi, sembrava non fosse successo niente. Ai miei era passata l'incazzatura, Joy continuava a chiedermi cosa stessi facendo in giardino (anche se nemmeno io lo sapevo bene) e mi era tornata l'esplosiva energia adolescenziale.
In quei giorni cominciai a studiare e a fare i compiti. Ero bravina a scuola, anche se un anno avevo rischiato di essere segata perché avevo bigiato troppe volte e alla fine ero stata cazziata.
La materia che odiavo di più era matematica; difatti non avevo proprio voglia di fare tutte quelle espressioni, operazioni e ogni diavoleria che quella vecchia ci aveva dato per le vacanze.
Appena i miei uscirono di casa per andare a lavorare, corsi giù al piano di sotto, sollevai la cornetta e composi il numero di casa di... Ellefson. Era oramai l'unica persona che avrebbe potuto aiutarmi. Alex non mi parlava da settimane, e oltre a qualche amico fattone non conoscevo nessun altro se non lui.
<<Pronto?>> disse Ellefson con la sua solita voce calda.
<<Ciao Ellefson, sono Jackson. Mi servirebbe una mano per i compiti di matematica>>. Cercai di essere più gentile e tenera possibile.
<<In che senso vuoi una mano? Ripetizioni? Esercizi? Oppure vuoi il mio libro da copiare o... che te li faccia proprio io?>> disse lui con un tono un po' scocciato.
L'unica cosa che riuscii a fare fu soffocare una risatina un po' imbarazzata.
<<Sei proprio la solita.>> replicò lui scazzato.
<<Dai Ellefson! Siamo o no compagni?>>. La mia voce suonava come quella dei dolci cavallini protagonisti del cartone animato che Joy amava vedere. Disgustoso.
<<O mi paghi o io non ti faccio nessun compito>> disse all'improvviso.
<<Cosa? Che cazzo stai dicendo?!>> ero incredula. Voleva essere pagato? Lui?
Lanciai un'occhiata al mio portafogli appoggiato sul tavolo. Lì dentro c'erano a malapena i soldi per comprarmi dei vestiti nuovi, non li avrei certo sprecati per darli ad uno sfigatello come lui.
<<Non se ne parla proprio.>> dissi infine.
<<Ok, ci si risente Jack>> concluse lui.
Non potevo farli quei compiti. Nemmeno per tutto l'oro del mondo.
<<Aspetta David! Aspetta!>> urlai mentre stava per terminare la chiamata.
<<Cosa c'è ora?!>> sbuffò lui. Era la prima volta che lo chiamavo per nome.
<<Al posto dei soldi... posso... posso darti qualcosa d'altro?>> cercai di persuaderlo.
<<E che cosa avresti?>> ridacchiò lui.
Cercai di fare il conto delle cose che possedevo. Oltre al materiale scolastico e ai vestiti avevo solo qualche romanzetto, Bomber, qualche cianfrusaglia metal e... il mio basso acustico! Ma... no. A Ellefson non sarebbe mai interessato un basso acustico. E... non avevo nemmeno molta voglia di separarmene.
<<Allora? Dai, una ragazza come te? Il tuo basso elettrico? Oppure... be, se vuoi... possiamo sempre...>> lasciò la frase in sospeso.
<<No grazie Ellefson. Non ci tengo proprio a...>> mi guardai in giro per vedere se Joy era nei paraggi <<... a guardare cosa c'è sotto ai tuoi pantaloni. Prima... hai detto... ti interessa... suonare?>> ero incredula.
<<Si, mi piacerebbe imparare a suonare qualcosa>> rispose lui con tono baldanzoso.
<<Ho un basso acustico. Potrei darti quello... però mi fai sia i compiti di matematica che quelli di geometria>> proposi io.
<<Solo se mi insegni qualcosa>> disse lui.
<<Quello se mi fai anche fisica>> ribattei io.
<<Sei proprio una pigrona!>> mi canzonò lui.
<<Allora?>> sbottai io.
<<Andata. Oggi pomeriggio alle 4 a casa mia>>.
<<Ci sarò>> conclusi.

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