10. Né compassione né pietà

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«Mamma ti ricorda la
tua adolescenza?»
«Il suono di una chitarra»

«Jess, esci andiamo a fare colazione al bar.» dissi non appena la mia migliore amica rispose al telefono, sapevo che stava dormendo ma la mia voglia di fare una colazione diversa dal solito mi aveva costretto ad alzarmi presto.

Jacob dietro di me aveva le braccia incrociate, abbassò gli occhiali da sole come se ci fosse un sole che spaccava le pietre e non un cielo che annunciava una giornata priva di raggi solari.

«Datemi 10 minuti.» bastarono quelle poche parole da parte mia che la sentii alzarsi dal letto senza troppe storie. Di solito ci avrebbe mandati a fanculo e sarebbe tornata a dormire dimenticandosi anche di chiudere la chiamata ma quella mattina era, stranamente, di buon umore. E perché non approfittarne?

Nel mentre io tornai in auto, scrollai lo schermo del cellulare guardando le foto postate sui social negli ultimi giorni finché non mi imbattei nel profilo di Charlotte, l'avevo già visto, così cercai quello di Evan.

Ci misi un po' perché un sacco di persone seguivano Charlotte ma alla fine lo trovai, come immaginavo era privo di foto profilo o descrizione, seguiva poche persone ed era seguito da altrettante poche. Gli mandai la richiesta.

Continuai a farmi i fatti di Charlotte e mi imbattei in una ragazza, probabilmente sua amica, che aveva postato una foto di lei insieme ad un sacco di altri ragazzi.

La cosa che mi colpii fu un sorriso, uno dei più belli che avessi mai visto. C'era Evan in primo piano che sorrideva in modo così spontaneo da crearmi delle pieghe nel cuore. Sembrava la reincarnazione della felicità, il suo viso scosso da una risata fece sorridere anche me.

Non avrei mai creduto che uno come lui fosse in grado di sorridere e farlo in quel modo così genuino e mozzafiato.

Guardai la data e la foto risaliva a quasi due anni prima, si trovavano al mare quindi intuii fosse in estate, continuai a guardare le foto della ragazza e trovai un'altra serie di scatti sempre con le stesse persone. Evan compreso.

Sorrideva in tutte le foto e in quelle in cui non lo faceva emanava lo stesso solarità. Mi domandai per quale motivo lui non fosse più così.

Forse aveva paura di fare una strage di cuori in una scuola dove non conosceva nessuno.

Pensai bene se chiederglielo o no. Ero una persona molto impicciona, non sapevo farmi i fatti miei ma capivo quando una persona che si stava spegnendo.

E guardando quelle foto e mettendole a confronto con il lui di adesso mi si stringeva il cuore pensare che i suoi occhi non brillavano come facevano lì. Forse non era un tipo da piccolo paesino, ed ebbi la risposta, affermativa, nelle foto successive: lui che rideva ad una festa, piena di gente, ballava e si stringeva ad una ragazza.

«Non ti piacciono le feste?»
«Non più.»

Mi aveva detto una volta.
Feci un piccolo sospiro.

Uno schiocco di dita davanti al mio viso, sollevai il viso e la testa bionda di Jessica si inclinò attraverso il finestrino per sorridermi.
«Di nuovo tra le nuvole?»
«Un posto fisso.» sorrisi.

Entrò in auto e si sedette dietro. Jacob la seguì poco dopo, non disse una parola. «Offrite voi, giusto? Sono uscita senza portafogli.»
«Niente colazione per te.» rispose mio fratello. «Allora ci perdi anche te.»
«Pago io.»

Il suo cambio di risposta mi colpì. «Non voglio sapere cosa avresti perso se non le avessi pagato la colazione.»
«Un aiuto con i compiti di fisica.» rispose lei. «Mh, mh. Si, si.» feci "finta" di assecondarla.

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