capitolo 1: Silvanor

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Nel vasto regno di Aerathia, dove il vento danzava tra le cime degli alberi e i fiumi scorrevano come vene di vita attraverso la terra, sorgeva un piccolo villaggio nascosto tra le pieghe del tempo e dello spazio: Silvanor. Situato al confine nord-est, non troppo distante dalla maestosa città principale che ospita il trono del re Aldric di Aerathia, questo villaggio era come un gioiello dimenticato nell'epicentro di un bosco millenario che separava i due luoghi. Le strade di Silvanor si stendevano come serpenti d'argento nel cuore dell'inverno, avvolti dall'oscurità ma illuminati da una miriade di fiaccole volteggianti. Il gelo dell'aria mordace si insinuava tra le case, tessendo fili di ghiaccio invisibili, mentre il respiro degli abitanti si trasformava in nuvole vaporose alla luce tremolante delle fiamme. La folla si accalcava lungo le strade lastricate, come un fiume tumultuoso in piena, risuonante di voci allegre e canti sacri. Le case, addobbate con festoni di agrifoglio e luci scintillanti, emanavano un calore invitante che contrastava con l'aria fredda della notte. Era come se Silvanor intero fosse avvolto in un manto di festa, un'atmosfera magica e irripetibile. Le fiaccole, come stelle cadenti, dipingevano arabeschi di luce e ombra sulle facciate delle case, mentre le figure buie dei festeggiamenti ballavano sui muri di pietra antica. Per l'epoca, la vigilia di Natale era un'occasione sacra, un momento in cui gli abitanti del villaggio, conosciuti come i Silvani, si univano in un coro di voci per celebrare l'arrivo della nascita del figlio di dio. Sebbene modesto rispetto alle maestose celebrazioni della vicina città di Aerathia, il villaggio emanava una magia tutta sua, una magia tessuta dalle storie antiche e dalle leggende che vibravano nell'atmosfera come foglie sospinte dal vento. Ma sotto la superficie luminosa della festa, si celava un velo di timore e di incertezza tra i dimorati, che cercavano di nascondere sotto a un sorriso gioioso e un po' di vino. Le leggende millenarie narravano di creature oscure che vagavano nelle foreste al chiaro di luna, di fate e spiriti che si nascondevano tra le increspature degli alberi. Era come se il richiamo della notte fosse più forte della luce del giorno, e anche durante la festa più gioiosa, i residenti di Silvanor non potevano ignorare il sussurro degli antichi miti che aleggiava nell'ambiente. E in mezzo a tutto questo, una figura solitaria si muoveva tra la folla, come un'anima errante in cerca di risposte.

Apnea, si ritrovava immersa nel suo mantello scuro come la notte stessa. Il freddo pungente dell'inverno la stringeva con le sue gelide dita, ma non riusciva a scalfire la calma apparente che avvolgeva la giovane. I suoi passi erano lievi, quasi eterei, come se temesse di lasciare un'impronta indelebile sul terreno ghiacciato. I suoi occhi, occultati dai ciuffi di capelli rossi ribelli, erano come due orbite vuote, privi di luce e di vita. Eppure, malgrado la sua vista fosse limitata dal cappuccio, poteva percepire il clamore festoso che animava il villaggio: il suono allegro delle risate, il profumo invitante di cibo e spezie, il calore umano che abbracciava le vie. Nonostante la paura costante la circondasse come un oscuro velo, in quel momento, provava una strana sensazione di pace. Le risate dei bambini risuonavano nelle sue orecchie, mescolandosi con le canzoni e le melodie vivaci delle persone. Era come se un tulle di felicità fasciasse ogni angolo di Silvanor. Il cuore di Apnea si riempiva di un'insolita leggerezza, benché sapesse che non avrebbe mai potuto partecipare alla festa. Il suo segreto la separava dagli altri abitanti, costringendola a vivere isolata, lontano dagli sguardi indiscreti. Solo Viviana, la levatrice che l'aveva accolta sotto la sua ala protettiva, conosceva la verità sulle peculiarità di Apnea. Eppure, anche lei viveva nel terrore costante che qualcuno potesse scoprire la verità celata dietro gli occhi della ragazza, quegli occhi che vedevano più di quanto avessero dovuto. Era a conoscenza del suo segreto e lo costudiva gelosamente, come un tesoro maledetto da proteggere ad ogni costo. La loro relazione era un legame fragile, fabbricato con filamenti della paura e della riservatezza. Viviana proteggeva Apnea con un'affermazione materna, ma anche con una determinazione feroce, che però cadeva ogni tanto nell'esilio. E Apnea, a sua volta, si aggrappava alla levatrice come a un'ancora nella tempesta della sua esistenza solitaria.

APNEADove le storie prendono vita. Scoprilo ora