Capitolo 6 - Malattia dell'anima

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FREYA

"Nell'impossibilità di poterci veder chiaro,
almeno vediamo chiaramente le oscurità"
- Sigmund Freud

La camminata per raggiungere lo studio della dottoressa Milligan mi sembrava infinita.
Ogni passo verso quell'incontro mi faceva sentire pesante come se avessi le tasche dei jeans piene di sassi, rendendo difficile il normale funzionamento motorio delle mie gambe. Ogni volta che venivo convocata da lei c'era un solo motivo: il mio quadro clinico si stava aggravando nuovamente.

Al solo pensiero, si stava innescando in me un meccanismo che mi appesantiva la parte centrale del petto, impedendomi di prendere respiri profondi per cercare di calmarmi. Sembrava come se ci fosse qualcuno in grado di introdurre la propria mano all'interno della mia cassa toracica, raggiungendo il suo centro: il cuore. Lo teneva abbastanza saldo da chiudermi lo stomaco e farmi venire le lacrime agli occhi, ma non abbastanza da fermarne il battito.

Si dice che i disturbi alimentari siano "le malattie dell'anima", e quest'ultima, è particolarmente difficile da guarire. Servivano una buona dose di attenzioni, un pizzico di presenza e una spolverata di parole rassicuranti, specialmente se era già stata rovinata in passato, plasmata come fosse argilla fresca e distrutta una volta che quella stessa argilla era diventata un bellissimo vaso. Queste erano tutte cose sconosciute ai medici di questo ospedale, che di sicuro non spiccavano per bravura nel loro lavoro o professionalità. Ci trattavano con sufficienza, come se fossimo inferiori a loro perché avevamo bisogno di aiuto. Gli unici realmente in gamba qui erano gli infermieri.

Mi stavo impegnando tanto per curare la mia "anima", ma ormai era come se il mio mondo fosse appeso sopra un filo, e io, avevo imparato a camminarci su come farebbero gli equilibristi in un circo. Mi sentivo come se fossi sempre in bilico: da una parte c'era la vita, mentre dall'altra il baratro della morte.

Aileen si era convinta che in poco tempo sarei stata dimessa, aveva provato ad estorcermi qualche informazione ma non mi piaceva parlare con lei della mia condizione. Sapevo che la sua mente avrebbe iniziato ad urlare con una voce che sentiva solo lei, tormentandola con pensieri che l'avrebbero distrutta lentamente, mentre l'unica cosa che avrei potuto fare io sarebbe stata rimanere a guardare quella scena sentendomi impotente. Ho sempre odiato il fatto di non poter far nulla per lei. Aileen si accertava sempre che io non saltassi i pasti e che non mi sentissi in colpa per ogni singola caloria che il mio corpo cercava di assimilare disperatamente. Era sempre presente durante le mie ricadute e cercava come poteva di starmi accanto. Io invece non potevo fare nulla se non consolarla dopo i suoi momenti di delirio e aiutarla a capire cosa fosse reale e cosa fosse invece un'illusione proiettata dal mostro che imprigionava il suo cervello: la schizofrenia. Per questo motivo avevo iniziato a fingere di stare bene, mi ero messa la maschera di un sorriso che non si spegneva mai per alleggerirle l'umore. Non l'avrei lasciata sola qui a breve, questo era poco ma sicuro.

Quando l'infermiera che mi stava accompagnando si fermò davanti alla porta con un sorriso compassionevole realizzai che eravamo finalmente arrivate. Il cuore mi martellava nel petto così forte che iniziai a pensare che sarei potuta collassare da un momento all'altro. Con le mani tremanti, bussai alla porta e attesi di ricevere risposta.

« Avanti » tuonò la voce ferma della Milligan, facendomi paralizzare sul posto. A giudicare dal suo tono di voce non sembrava di buon umore. Entrai in quella stanza che conoscevo ormai a memoria, sentendo subito gli occhi della dottoressa puntarsi su di me, nello stesso modo in cui un predatore adocchia la sua preda prima di azzannarla.

« Buongiorno dottoressa, voleva vedermi? » chiesi rimanendo vicina alla porta d'entrata. Avevo imparato ad essere cauta con i dottori di questo ospedale. Se volevo migliorare, alla fine, era a loro che dovevo appoggiarmi e non volevo renderli miei nemici inutilmente.

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