capitolo 2 (Katy)

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14 settembre a Natasha e Melanie
Ora: 19:30, aspettando la cena.

Per essere stata la mia prima giornata al college non è andata affatto male...
...Verso le 11 il pullman frena nel parcheggio del mio "amato" campus. Non è che non mi piacesse, ma non potevo portare Talia: la mia cagnolina è l'unica che riesce a strapparmi un sorriso, un sorriso vero.
Scendo dal bus, e attraverso una doppia porta di vetro talmente pesante che per aprirla devo praticamente buttarmici contro.
Entro nell edificio e una voce squillante richiama la mia attenzione.
-Ben arrivata Katy, passato belle vacanze?- mi accoglie la segretaria della scuola, sorridendo allegramente.
-Buongiorno Rose- rispondo avvicinandomi al bancone della segreteria dove appoggio i pesanti bagagli. È una donna formosa, madre di 5 figli, ed é sempre molto disponibile.
-Comunque si- continuo -per il mio compleanno la nonna mi ha portato in un osservatorio astronomico- 'e stavo anche per cadere dalle scale' penso tra me e me -Poi, come tutti gli anni, per l'anniversario dei miei siamo andate a cenare nel ristorante del loro primo appuntamento- il mio sguardo si perde, come ogni volta in cui parlo di loro, ma spero che non si accorga che mi sono irrigidita.
-Invece a te com'è andata?- domando nel tentativo di sviare la sua attenzione da me.
-Un mese intero con quelle pesti dei miei figli mi è bastato- dice con una smorfia che esprime tutta la fatica che ha passato.
-la prossima volta chiamami che faccio da babysitter!- dico sorridendole. Lei annuisce in risposta, e mi consegna il numero della mia camera. 410 A. Con un cenno della mano la saluto e mi dirigo verso l'ascensore. Dopo mezzora passata a cercare la mia stanza (e un'incursione nel reparto maschile) arrivo al 5° piano.
Non faccio in tempo ad aprire la porta che quella si spalanca facendomi inciampare contro una ragazza.
-Hei! Guarda dove metti i piedi!- dice quella scrutandomi dall'alto in basso e viceversa. Dopo una smorfia, se ne va prima ancora che posia capire bene cosa stia succedendo. Ma non mi interessa molto quindi faccio spallucce ed entro nella stanza. È come quella che avevo l'anno scorso, con due letti, due scrivanie vicino alla finestra e due armadi a tre ante. La metà della mia coinquilina ne rappresenta il carattere: il muro è tappezzato di posters di celebrità autografati, sul letto sono buttati vestiti di marca accartocciati come se non avessero nessun valore. Vado in bagno e tutte le mensole sono piene di trucchi e profumi per tutte le occasioni. Mi chiedo a cosa le servano sette mascara e un'infinità di eyeliner. Torno in camera, mi butto sul mio letto, fissando il soffitto, troppo stanca per fare qualcosa. Sul muro ci sono delle macchie di umidità a forma di palloncini, sembra quasi che volino sull'azzurro chiaro della pittura. Ricordo quando da piccola ne comprai uno. Era dorato e ne ero molto orgogliosa, perché era grande e svolazzava tenuto fermo dalla mia mano. Purtroppo ad un certo punto persi la presa....e lo rincorsi per mezza città, gridando e inciampando tra le bancarelle. Alla fine mi arresi e lo guardai confondersi con i raggi del sole, finché non riuscii più a fissarlo senza accecarmi. Quando alla fine mi ero voltata, avevo avuto una visione apocalittica: mia nonna, che teneva la gonna del vestito con la mano, mi correva incontro agitandomi contro l'indice della mano libera. I suoi capelli grigi si erano sfilati dallo chignon e la facevano sembrare Medusa, mentre i vari talismani che portava al collo sbatacchiavano nell silenzio che si era creato all improvviso. Il motivo? Avevo lasciato dietro di me scatoloni calpestati, vestiti trascinati a terra, cibo rotolato fuori dalle ceste... tutto perché avevo continuato a fissare il mio palloncino.
I miei pensieri sono interrotti da Rose, che annuncia dagli altoparlanti di dirigersi all'auditorium per il discorso di inizio anno. Faccio un sorriso e mi tiro su, prendendo la mia inseparabile borsa con i fogli e i colori e chiudendo la porta mi unisco al flusso di studenti che scende le scale. Mi siedo su una delle tante sedie della sala, e all'improvviso si fa silenzio, quando entra il preside. Ha un abbigliamento da pescatore, con tanto di pantaloni cachi e camicia aperta su una canottiera. Dietro di lui c'è Rose con la canna da pesca il mano, che mi lancia un'occhiata rassegnata e divertita mentre scuote la testa.
-buongiorno ragazzi. Non ho molto tempo, e immagino che pure voi abbiate di meglio da fare che ascoltare un vecchio barbuto come me, quindi in poche parole: o rispettate le regole, o vi butto fuori. I novizi seguano la gentile signora Rose per un giro della. Arrivederci- detto questo se ne va, lasciando tutti spiazzati.
Io invece mi ci sono abituata subito, e credo che i discorsi di questo preside siano molto più efficaci di altri lunghi e noiosi.
Tranquillamente mi alzo e mi dirigo verso la porta. I miei passi rimbombano nel silenzio dell'auditorium, e sento gli sguardi degli studenti che mi seguono finché non chiudo la porta alle mie spalle.
La voce di Rose annuncia al microfono che chi vuole può dirigersi ordinatamente verso la sala mensa, e a quel punto esplode il caos.
In questa scuola sembra che il pranzo sia un banchetto per dei morti di fame che non mangiano da settimane. Per non essere travolta dalla 'mandria' aumento il passo, e sono la prima ad entrare in mensa.
Le pareti sono gialle, e la sala sembra quasi risplendere. Afferro un vassoio, una bottiglietta d'acqua e prendo del cibo dal buffet. Il piatto principale oggi è il polpettone!
Questa pietanza mi ricorda la storia dei miei nonni materni, con il loro amore proibito.
Anche se trovo difficile immaginare una donna come mia nonna, che ha paura dei gatti neri, lottare per i suoi sentimenti.
Quando si conobbero vivevano entrambi a Cork, in Irlanda. Ma nonostante la vicinanza fisica, a dividerli c'era la religione della famiglia: lui era ebreo, lei cattolica.
Il loro rapporto rimase segreto finché la madre di mia nonna non trovò una delle lettere che Henry, mio nonno, le scriveva.
Di conseguenza fu costretta a rimanere chiusa nella sua casa, mentre al dì fuori le due famiglie facevano peste e corna.
Ma il loro sentimento non si spense ,anzi si rinforzó, e appena diventarono maggiorenni scapparono prendendo la prima nave per l'Inghilterra.
Viaggiarono molto senza mai stabilirsi, ma quando arrivarono nella cittadina dove vivo attualmente, se ne innamorarono: lei per l'equitazione, lo sport praticato da tutta la dinastia femminile della mia famiglia; lui per le scommesse, un vizio che non aveva mai perso e che fortunatamente lo aveva fatto guadagnare.
Un'altra fissa di Henry era il polpettone.
Per questo mia nonna glielo preparava tutte le domeniche, e dopo la sua morte (avvenuta prima che io nascessi) aveva continuato a farlo.
Per cui questa volta decido di passare e prendere Fish & Chips e un cupcake.
Il resto degli studenti comincia a riempire la mensa, così vado a sedermi in un tavolo vicino alle enormi finestre che occupano un'intera parete, e inizio a mangiare.
Odio gli spazi affollati, e mentre prima in auditorium riuscivo a sopportare le persone perché erano tranquille, ora mi terrorizzano.
Finisco di mangiare ma mi tengo da parte il cupcake perché decido di riuscire a resistere per qualche secondo alla sua presenza invitante. Un raggio di sole si rifette sulla superficie lucida del tavolo, e provo il desiderio di prendere le matite e di imprimere quest'attimo su un foglio.
Ho appena cominciato a fare lo schizzo, che una patatina fritta si spiaccica sulla finestra pericolosamente vicino al mio disegno.
Sbuffo e mi rassegno al fatto che devo andare in camera per riuscire a continuare la mia opera senza problemi.
Afferro il mio inseparabile cupcake ed esco dalla mensa schivando pezzi di polpettone.
Immagino che nonno Henry sarebbe sconvolto da tale spreco.
Da una Kate sopravvissuta


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