28/09/2011New York, The Three Monkeys Bar
Poco prima di esibirci la sera al Roseland Ballroom decido di sgranchirmi le gambe li vicino, essendo chi sono devo per forza cercare un posto il più riservato possibile entrando quasi in incognito, non ho proprio voglia di vedere persone che mi fermavano per chiedermi la qualsiasi, è stato già tanto stare per 2 pezzi interi sotto i riflettori della televisione americana per il Saturday Night Live, chiedendomi alla fine dove avessi preso il vestito e dove avremmo bevuto con i ragazzi dopo l'esibizione, come se effettivamente fottesse qualcosa a qualcuno di queste cose, evidentemente si, invece di ascoltare cosa abbiamo da dire e soprattutto come, benvenuto nel 21esimo secolo Tommy.
Ordino una tazza di thè caldo ascoltando in sottofondo la telecronaca di una partita di rugby, credo, con annessi tutti i commenti del cazzo degli sfegatati americani, i boccali di birra che battono sul bancone a ogni fischio dell'arbitro e l'odore del beccuccio della birra alla spina ancora colante insieme a quello della macchina del caffè avrebbero confuso un cieco che sapeva esattamente dov'era entrato, ma almeno nessuno mi ferma per delle foto e di buono c'è che il tempo è esattamente come piace a me, nuvoloso come se dovesse cadere l'apocalisse da un momento all'altro con una grandinata alla "the Day After Tomorrow".
Poco dopo l'arrivo del thè squilla il telefono.
- Dimmi Ed.
- Cazzo non si saluta neanche più.
3 assordanti secondi di silenzio. Zero voglia di comunicare.
- Senti volevo chiamarti sia perché non ti abbiamo neanche visto a colazione stamattina in hotel che per dirti che alle 4 abbiamo il check, al solito ci vediamo una mezz'ora prima e..
Non sto più ascoltando, ho recepito solo parole come "accordati" o "timing" con il solito tono quasi nella sezione "allarmato", il flusso dei miei nervi è completamente staccato dalle orecchie e converge, quasi come d'istinto, tutto verso gli occhi, increduli, quasi deliranti per qualche febbre assurda, sbattendo più e più volte le palpebre per constatare che effettivamente ciò che stavo vedendo è vero, comincio a sudare freddo e una, piccola ma forte, morsa al petto stringe il mio cuore.
- Ed, va benissimo, ora ti devo lasciare, scusami.
Senza sentire neanche la risposta resto immobile dietro la tazza di thè, ormai freddo a osservare fuori dalla finestra un viso davvero familiare, che vidi solo 3 anni prima.Emma è dall'altra parte della strada, ferma ad aspettare che il semaforo diventasse verde.
Ed è impossibile.
Diventato ormai il fantasma del mio natale passato, mi manca quasi l'aria, come se avessi visto qualcuno cadere da un balcone al sesto piano, penso che io sia l'ultima persona che voglia vedere. Non ho neanche la forza di realizzare questi pensieri, ogni muscolo del mio corpo è pietrificato come se antagonisti e agonisti combattessero per decidere cosa fare e io fossi solo uno spettatore, incapace di decidere ma solo di farsi trasportare dal proprio corpo. Il tempo sembra essersi rallentato, la telecronaca non esiste più, le nuvole si diradano per qualche secondo, come se volessero farmi vedere meglio ciò che avevo davanti; come cazzo è possibile che lei si trovasse li, in questo momento, non può essere una coincidenza, avrebbe potuto sapere che suoniamo a New York stasera, ma tutto questo non ha senso.
Il semaforo non ancora scattato a verde per i pedoni lascia passare un enorme camion di trasporto carni, credo, e così dal nulla, sparita.
Non c'è nessun angolo vicino, nessun vicolo che avrebbe potuto imboccare in quei pochi secondi di passaggio del camion, andata nel giro di due secondi, eppure era lì, ferma, cardigan marroncino, cappellino di lana e jeans abbastanza larghi, credo.
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Let Down
FanfictionPiccola (forse) fanfiction basata sui Radiohead, divisa in capitoli con vari salti temporali, non c'è altro da dire.