Prologo

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Il calesse sobbalzava sul sentiero sterrato. Iris guardava la campagna svedese mentre gli zoccoli dei due cavalli da traino facevano da colonna sonora a quel viaggio.

La madre sedeva accanto a lei, avvolta nel suo vaporoso collo di pelliccia.

Il padre, accomodato davanti alla moglie, stava a testa bassa con lo sguardo adombrato dalla tesa del cappello di feltro.

Iris preferiva guardare l'ambiente esterno piuttosto che i suoi genitori. A breve non avrebbe più avuto la libertà di correre spensierata in quella campagna per scelta loro. Avevano scelto il suo destino.

Giustificarono quella decisione con la necessità di darle una vita più tranquilla e dignitosa, spezzando così il suo sogno di diventare una studiosa. Non avrebbe più potuto nemmeno sposarsi: aveva venticinque anni e nessun uomo l'aveva reclamata perché lei aveva rifiutato tutti i pretendenti che la famiglia le aveva presentato.

In quel periodo, una donna acculturata ma senza marito, non era ben vista dalla società e, dato che di quattro sorelle, lei fu l'unica a non essere sposata, i genitori scelsero per lei la via della clausura.

«Iris, possiamo parlare?» domandò la madre in un filo di voce pacata.

La ragazza la guardò con le labbra tese in una riga e incrociò le braccia sul petto.

«Cosa c'è da dire?».

Suo padre interruppe quel riscaldamento di animi con un sospiro e cercò di appianare la situazione:

«Sappiamo che sei arrabbiata, e ti capiamo. La clausura non è una scelta facile, e ci dispiace che tu ti senta obbligata».

«Vogliamo solo il tuo bene, cara. Crediamo che questo periodo di riflessione possa aiutarti a trovare la tua strada nella vita» aggiunse la madre.

«Io avevo già trovato la mia strada! Volevo andare all'università, studiare, viaggiare, conoscere nuove persone! Non chiudermi in un convento come una reclusa!».

«Ascoltaci, Iris. Sappiamo che hai grandi sogni, e non vogliamo soffocarli. Ma pensa a questa clausura come a un'opportunità per te. Per riflettere sui tuoi obiettivi, sulle tue passioni, e per capire cosa vuoi davvero dalla vita».

Iris degnò il padre di uno sguardo: somigliava molto a lei negli occhi azzurri come il mare, nei capelli castani che in lui iniziavano a ingrigire. «Mi state togliendo la mia libertà, il mio futuro! Mi condannate a una vita che non ho mai desiderato!» sibilò la giovane.

«Non è una condanna, Iris. È un'opportunità. Un percorso di scoperta di te».

«Di me? Davvero pensate che in un convento possa trovare me stessa? Sarete solo voi ad averla vinta!».

«Non è una questione di vittoria, Iris. È una questione di amore. Vogliamo solo la tua felicità».

«La mia felicità? Come potete dirlo? Mi state rinchiudendo in una gabbia dorata!».

«Non correrai ma il rischio di perdere la tua purezza con un poco di buono» concluse il padre con un tono che non ammetteva repliche.

Iris si richiuse nuovamente in séstessa, mentre la sagoma dell'Abbazia di Strömstad, a sbalzo su un promontorio,si stagliò davanti a loro, adombrando già il sole che tramontava sul mare.

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