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Charles

<Vaffanculo!> urlò, in italiano. Scossi la testa, mentre un sorrisino si formava sul mio volto e mettevo in moto l'auto. Cavolo! Pur di cacciarmi via si era inventata una scusa pessima. Avevo incontrato semplicemente due volte quella strana e riservata ragazza, della quale non sapevo nemmeno il nome, ma lei si rivelava già piena di sorprese. Non sapevo se più in senso negativo, visto quanto fosse remissiva, o in positivo, visto che ne ero sempre più affascinato. Stramba come cosa, ma avevo intenzione di incontrarla nuovamente, anche se significava farmi insultare altre cento volte in italiano.

C'era qualcosa di lei che mi attraeva. Un po' come la luna faceva con le maree. Come se una volta calata la notte, brancolando nel buio, ignaro di cosa ci sia intorno, seguendo l'istinto mi dirigessi verso un'unica direzione, senza pensare. Meta: sconosciuta. Era ciò che stavo facendo io, seguivo l'istinto. Non importava dove mi avrebbe condotto, ero pronto a scoprirlo. Giocavo a mosca cieca.

In fondo avevano ragione Eric, Philip e Scarlett... dovevo darmi una mossa. E quella, non sapevo perché, sembrava proprio l'occasione perfetta.

Misi in moto e partii, in direzione del centro. Era mercoledì sera, perciò nella strada che conduceva al punto vivo di Monaco vi era molto traffico. Proseguivamo talmente lenti, e la fila sembrava interminabile. Rimasimo almeno un quarto d'ora bloccati nell'arco di 100 metri da dove ero partito. Avrei sicuramente fatto più velocemente a piedi.

Tenevo il finestrino abbassato, nonostante vi fosse un'aria marzolina particolarmente fresca e pungente. Non ci muovevamo di una virgola. Spostai lo sguardo verso la banchina alla mia sinistra. Poco più avanti, distante una ventina di metri, notai la sagoma di una figura pressoché familiare andare a passo spedito lungo il marciapiede. Corrucciai le sopracciglia, aguzzando la vista, pian piano vidi la sagoma moderare il passo, sempre di più, sino a voltarsi indietro, facendo ondeggiare la liscia chioma corvina, per poi riacquisire l'andatura decisa, bloccandosi di colpo quando altri due ragazzi, un uomo ed una donna, avvinghiati morbosamente l'uno all'altra, si fermarono a fissarla.

Fui così preso dalla dinamica da non rendermi conto che la circolazione si era sbloccata per qualche secondo, di fatti, la macchina dietro di me si premurò di suonare con irruenza ed impazienza il clacson. Nonostante ciò, avanzai senza distogliere l'attenzione da quello che stava accadendo poco lontano da me.
La ragazza che avevo conosciuto alcune sere prima al locale delle corse illegali, si trovava apparentemente tremante dinanzi a quei due. Non sembravano tipetti molto simpatici.
Lei, la caricatura di sé stessa.
Lui non aveva l'aspetto di uno affidabile, il suoi modi erano strani, minacciosi.

Il ragazzo dai capelli ossigenati, avvicinò bruscamente il suo volto a quello della corvina, prendendole una ciocca di capelli lisci tra le mani. La lieve espressione di dolore che si formò sul suo volto, mi fece intuire che l'uomo le stesse tirando i capelli... Poi la lasciò andare, mentre la ragazza con i capelli rossi decolorati le si avvicinava, spingendola senza farsi notare da occhi indiscreti, tornando a stringere nuovamente il suo accompagnatore, che sputando disgustosamente per terra salutò la ragazza delle corse, che ormai appariva assente, probabilmente più del solito.

Volevo andare lì, dare una bella lezione a quei due e chiederle come stesse, ma purtroppo il traffico, la mancanza di spazio per posteggiare l'auto e la mia fretta nel dover andare urgentemente a casa, per via del fatto che come ogni due mesi quella sera si sarebbe tenuta una serata di beneficienza alla quale erano invitati molti personaggi pubblici di svariati ambiti. Ero già abbastanza in ritardo, tra l'altro.

Scendendo dall'auto sistemai il colletto della camicia. Giornalisti, fan sfegatati, fotografi, avevano tutti già accerchiato la Ferrari. Flash, richieste di autografi, domande, urla mi assalirono. <Signor Leclerc, le porto l'automobile nel nostro parcheggio riservato?> annuii, consegnando lui le chiavi. Mi fu difficile persino mettere insieme due passi, lo spazio del quale disponevo per muovermi era davvero limitato. Concessi ai tifosi qualche selfie o autografo, non degnando i giornalisti di un solo sguardo. Non avevo alcuna parola da rivolgere alla stampa, avrei preferito non alimentare nessuna stramba ipotesi scandalosa coniata dai cervelletti malefici e fantasiosi dei reporter.

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