Yvonne
Il suono della campanella rimbombò nelle mie orecchie. Solamente un'ultima ora, quella dedicata alla seconda lingua straniera, italiano, la più bella tra quelle che trascorrevo giornalmente a scuola, sola ed annoiata, mi divideva dal mio pranzo. Avevo una fame da lupi, e l'unica persona che mi avrebbe fatto pensare un po' meno al languore che avvertivo, poiché non avevo fatto colazione, era decisamente la professoressa Greco. Italiana, come me. L'unica persona di cui mi fossi mai fidata a tal punto da dirle tutto. L'unica con la quale io mi fossi mai sfogata, che mi avesse capita ed avesse accettato le mie decisioni, che mi sia stata accanto. E molto probabilmente l'unica persona alla quale importò del mio diploma, che sarebbe dovuto avvenire di lì a poco più di quattro mesi. La sola, che sarebbe stata lì, ad incoraggiarmi, supportarmi e congratularsi con me. Ma alla fine, cosa importava? Rimaneva pur sempre una professoressa.
Entrai nella classe, già gremita di studenti e riempita del loro cicaleccio. Mi sedetti nel banco vicino alla finestra, in seconda fila. Ormai tutti si erano abituati al mio essere anonima, perciò, differentemente da qualche mese prima, nessuno osava fissarmi quando entravo in aula, rivolgermi battutine poco carine... soltanto qualche volta avvertivo occhiatacce e sussurri alle mie spalle, ma poco importava.
<Togli il tuo culo da qui, cortesemente.> ordinai, alzando gli occhi verso la figura che stava bella comoda sul mio banco durante il cambio d'ora. <Ma va'? mi dai persino ordini, nullità?> quando lo feci, non mi ero accorta che si trattava proprio di Meghan. L'incarnazione di una troia. Tutto ciò che la riguardava era qualcosa con la quale non avevo la benchè minima intenzione di immischiarmi, non più. Compreso, anzi, specialmente, il suo attuale ragazzo.
Stretta in una lunga gonna nera semi-trasparente, che attillata com'era metteva in risalto tutte le sue forme, sicuramente un indumento non molto decoroso, visto l'ambiente, mi guardava, ghignante e con sufficienza dall'alto, mentre il suo fondoschiena era letteralmente a pochi centimetri dal mio viso. <Smamma.> si mise ancor più comoda, ignorandomi. Le sue amichette mi osservavano, anche loro, maligne. Chissà, poi, quali episodi scandalosi aveva raccontato pure a loro sul mio conto, nonostante l'unica a doversi vergognare davvero lì fosse lei. Messe insieme erano quattro oche, tutte uguali: stessi vestiti, pensieri e movenze. Condividevano però un quarto di cervello, oltre ad associarsi tutte al club delle decolorate, perciò erano talmente frivole, ipocrite e stupide, soprattutto. Per definire in termini umani cosa fecero dopo, ridacchiarono, ma io preferirei dire: starzannarono.
Trascorsero pochi minuti, dovevo ancora sorbirmi tutto il loro chiocciare. Quindi, in modo da evitare l'uso della violenza, sfilai via dall'astuccio una matita ben appuntita e quatta quatta pizzicai la chiappa della grandissima ebete, che saltò sul posto, balzando in piedi. <ahia!> Strillò, squadrandomi adirata. L'intera classe si voltò nella nostra direzione. Alcuni scuotevano la testa dimostrando il loro dissenso. La mia reputazione là dentro stava messa proprio male, per colpa della sciaquetta... <Cosa mi hai fatto?! Stupida!> Banale. La classica bulletta dei film americani. Utilizzava pure le stesse frasi, mio Dio! <Io? Assolutamente nulla> ribattei asettica. <Sono io la bugiarda? Qui sanno tutti che genere di persona sei...> grhignò, piccata, avvicinandosi lentamente al mio viso con fare minaccioso, <forse, sarebbe meglio si accorgessero di che genere di persona sei tu!> le tenni testa. Non avevo intenzione di farle fare la bulletta a quel modo. <Forse hai dimenticato cos'è accaduto un po' di tempo fa', Yvyn...> socchiuse le palpebre, enfatizzando con le ciglia lunghe, imbrattate di abbondante rimmel, le iridi color antracite, superbamente mi guardò in tralice, sicura di avermi colpita profondamente. D'aver riarso un ferro battuto già troppe volte. Lasciai solamente che un brivido mi scuotesse.
Subito dopo entrò in aula la professoressa di italiano per la sua lezione e ciascuno si sistemò al suo posto. Mordendomi il labbro e strizzando gli occhi chiesi, tentando di controllare la mia voce, all'insegnante di poter uscire dalla classe per andare in bagno. Trascorsi alla toilette più di mezz'ora. Quando fu il momento di recuperare lo zaino per tornare a casa, rassettai i capelli e il viso guardandomi allo specchio, indossando nuovamente la mia maschera di imperturbabilità.
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Wildflower Wildfire
RandomPuò una rosa rossa, satura di passione e risolutezza ormai spenti, sbocciare grazie alla sconosciuta tiepidezza di chi è disposto a curarla, nonostante le inspide spine? Rivoli cremisi e immobilità avvolgono e tentano di proteggere la parte più frag...