Circe, figlia del sole

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Tra fantasia e realtà, racconto ispirato dalla musa Calliope


Questo racconto fu scritto per un concorso di scrittura creativa de 'Viaggio in Elicona' a cura de La Casa delle civette.

Il tema era scegliere una Musa e ispirarsi a un'immagine. Io ho scelto Calliope, musa delle arti figurative e della poesia epica.

È il mio primo racconto fantasy, quindi, un esperimento.



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 "... di là navigammo e all'isola Eèa arrivammo. Vi abitava Circe dai riccioli belli, Dea tremenda con voce umana, sorella germana d' Eèta pericoloso. Entrambi erano nati dal Sole e madre fu Perse, figlia di Oceano. Là dirigemmo in silenzio la nave, in un porto sicuro e un Dio ci guidava."

La guida, che si chiamava Claudia, si era fermata a leggere questa strofa del Canto X dell'Odissea, quello in cui Omero narra dell'approdo di Ulisse al Circeo. Mentre leggeva stava in piedi accanto a un busto in pietra calcarea, anzi neanche un busto, era solo la scultura di una testa di donna, appartenente -sempre spiegatoci dalla Guida- alla figura mitologica di Circe. Tale scultura, continuò, era stata ritrovata nel 1928 sul promontorio, da un pastore del luogo, tale Luigi Tassini. Il resto del corpo della scultura femminile non era stato mai ritrovato. Si supponeva che giacesse sotto masse di detriti e terra accumulatesi nel corso dei secoli.

Guardavo quel volto femminile, il suo sguardo placido e sicuro di sé, le labbra morbidamente chiuse; i capelli lunghi e riccioluti raccolti in un'elegante acconciatura che si annodava dietro la nuca e che le donava un portamento fiero. La prof ce l'aveva mostrata in foto sui libri, ma averla lì davanti, poterla toccare e osservare da vicino, provocava tutto un altro effetto. Chissà chi era l'autore di questa opera, mi chiesi, e da cosa era stato ispirato per realizzarla? Chi era stata la donna che aveva posato per lui? Non sembrava la donna malvagia descritta da Omero; sembrava semplicemente una donna dignitosa di quello che era.

Provai compassione per lei, per quel corpo mutilato che mai si era più congiunto alla sua testa.

«Ma la testa dove è stata trovata esattamente?» chiesi.

«Su al Picco del Promontorio, dove si pensa esistesse il Tempio di Circe dell'antica città di Circeii» rispose sempre lei.

«Noi andremo lassù?» formulai, speranzosa, la domanda.

«No, il programma del vostro campo scuola non prevede l'escursione su al Picco perché è un itinerario più impegnativo e richiederebbe quasi un'intera giornata» rispose.

La nostra classe di Primo Ginnasio aveva in programma questo campo scuola di tre giorni al Circeo, sede dell'omonimo Parco nazionale, fin dall'inizio dell'anno scolastico. La nostra insegnante di lettere era un'appassionata di natura oltre che di letteratura e ci aveva trasmesso il suo stesso entusiasmo per questa futura escursione – che lei aveva già vissuto negli anni precedenti con altri studenti – e l'aveva definita "un'esperienza indimenticabile". Da Roma occorrevano due ore scarse di pullman per raggiungere il Circeo, aveva detto, ed era una ricchezza quasi unica per noi studenti del liceo Classico avere a portata di mano un pezzo di storia greca da poter vivere direttamente sul luogo, aveva aggiunto.

Eravamo arrivati in albergo intorno alle undici di mattina – saremmo potuti arrivare anche prima, ma due mie compagne avevano supplicato la prof di fare sosta per ben due volte perché soffrivano il mal d'auto – avevamo portato i bagagli in camera, una sosta veloce in bagno e poi ci eravamo riuniti nella sala pranzo dove ci attendeva Claudia.

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