La rimpatriata con i compagni del liceo.
Quando aveva perso i contatti con Simone, dopo la fine della scuola, s'era arreso alla consapevolezza che col tempo, pian piano, sarebbero spariti dalla sua vita pure tutti gli altri. Ché se quella persona, la sua persona, l'aveva lasciato indietro con così tanta audacia e semplicità, allora pure i legami più labili avrebbero finito per sciogliersi e colare nel profondo baratro d'un dimenticatoio dove di tanto in tanto si sarebbe permesso di dare una sbirciata per lasciarsi cullare dai ricordi e dalla nostalgia.
E così era stato, con ciascuno ad intraprendere un percorso di vita differente e indipendente da coloro che nella quotidianità d'una adolescenza vissuta alla leggera avevano reputato indispensabili.
Se Viola non fosse stata sua sorella, ne era certo, si sarebbe perso di vista pure con lei, così brillante da inserirsi nell'azienda di loro padre immediatamente dopo la triennale in economia.
Viaggiava spessissimo, con Rayan a seguito che le dava manforte, talmente tanto da ridurre all'osso i loro incontri, ogni anno un po' di più. Non s'era mai permesso di fargliene una colpa, nonostante la mancanza e a giorni alterni l'urgenza di sentirla vicino per reclamare un minimo di conforto in quell'impiccio di vita che aveva messo su a fatica. In fondo era così fiero di lei da riuscire a tenere per sé tutte quelle pretese, così orgoglioso da reputare trascurabile finanche quella punta d'invidia che gli annodava la gola ogni qualvolta venisse informato d'un suo successo.
Non le aveva raccontato nulla di Vittorio, complice la vergogna che ancora gli dava il tormento e il fuso orario con Tokyo che impediva loro di sentirsi con la giusta frequenza da permettere uno scambio di confidenze. Non le aveva raccontato nulla nemmeno di Simone, in realtà, se non del fatto che si fossero riavvicinati tra aprile e maggio. Proprio grazie ad una... rimpatriata. Lei s'era dimostrata scettica fin da subito, ma Manuel era stato un abilissimo bugiardo nel riferirle anche che non fosse nulla di che.
Una rimpatriata.
Gli veniva da ridere al solo pensiero che lui, in principio, nemmeno vi volesse prender parte.
Quando Chicca l'aveva chiamato s'era fatto passare per la testa centinaia di scuse pur di non presentarsi in quel maledetto locale. Perché c'era stato male per tanto tempo e non desiderava in alcun modo riabbandonarsi alla malinconia di ciò che avrebbe potuto essere se solo... Perché in cuor sentiva ancora la mancanza di di tutti, finanche di Matteo e della sua idiozia, e non voleva alimentarne il sentimento con un incontro fugace di poche ore.
Ma alla fine non aveva avuto il coraggio di accamparne seriamente neanche una, di quelle scuse.
Gli era bastato sentire il suo nome, pronunciato distrattamente dalle labbra della sua primissima fidanzata, perché il desiderio avesse la meglio sulla ragione.
Forse una persona più saggia e con la testa sulle spalle si sarebbe fatta bastare quella singola sensazione per chiudere definitivamente i ponti, cambiare anche numero di telefono, magari, così da non andarsi ad impelagare nuovamente in una dinamica adolescenziale.
Ma lui non aveva mai giocato, come diceva il saggio, nella squadra di quelli ordinari e pacificati.
S'era ritrovato ad accettare per poter rivedere l'ultima persona che avrebbe dovuto riammettere nella propria quotidianità. E l'aveva fatto proprio perché lo rivoleva nella sua vita, seppur in maniera non del tutto conscia.