Pelle di fantasma

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11:00

È buio, ma non è veramente buio, nei meandri sotterranei di una stazione della metropolitana abbandonata hanno dimora creature del giorno costrette a dimorare nel buio, quello stesso buio che li ha modellati per farli divenire, infine, creature della notte.

Era una vista pietosa:
Una donna giocava con un bambino di appena due anni a terra, sfiancata dal caldo che nelle ore diurne si faceva insopportabile in quella prigione sotterranea, un anziano dal capo canuto era intento a scrivere qualcosa in un angolino, il muso a pochi centimetri dal foglio di carta ingiallita, colpa del buio.

La stazione era, infatti, colorata di luci bianco sporco e grigiastre soltanto da una lampadina solitaria abbandonata a terra e mezza rotta che ogni tanto faceva cilecca persino ad accendersi.

Colui che aveva l'apparenza di un giovane uomo dell'altezza di un gigante, alto circa 1.92 cm e dai capelli di un biondo luminoso che quasi sembrava surreale in quei toni grigi e neri di ciò che lo circondava e che sembrava, come inchiostro, macchiare tutto ciò che conteneva ma che in qualche modo non poteva toccare lui, e che arrivavano a sfiorare le sue magre ginocchia, dagli occhi arguti e azzurro chiaro, come il ghiaccio, con un bagliore in essi che farebbe congelare chiunque abbia la sfortuna di incontrarli, con la pelle pallida ma le gote rosse, che indossava un panciotto grigio e nient'altro sotto di esso, troppo caldo, ma che paradossalmente indossava un jeans scuro decisamente troppo grande per lui ma tenuto insieme da una cintura scucita bianca, era seduto nell'alto gradino che collegava la stazione ai binari, esattamente nella parte che conteneva la scritta sbiadita in quello che una volta era un candido bianco latte "Attenzione, tenersi lontani da questa striscia"

Contemplava il vuoto, pensava ma non pensava, perchè se tentava di pensare tutto ciò che gli veniva in mente erano le vite di quelle povere persone che lo circondavano, costrette a nascondersi, come formiche che fuggono dallo stivale che le vuole schiacciare, ma egli non sa che le formiche, se stanno insieme, possono trasportare nel loro nido lo stivale e metterlo alla propria mercè.

"Jolly!" lo chiamò una vocina maschile delicata ma acuta, Jolly alzò gli occhi pigramente per trovarsi di fronte un ragazzino, o almeno all'apparenza, notevolmente più basso dello stesso ma che torreggiava sulla sua figura seduta, gli occhi scuri di fuoco, infuriati, coperti sotto un ampio ciuffo ribelle di capelli castani e che sovrastavano delle guanciotte di un viso assolutamente ancora infantile e spruzzato di lentiggini scure "Alzati, Jolly"

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo ma alla fine, a malincuore, pose nuovamente le solette rotte dei suoi stivali sopra la stazione e si alzò lentamente, ora era il suo turno di torreggiare sull'altro, ma si rilassò, posando una mano su un fianco e guardandolo con aria interrogativa.

"Tu adesso vieni con me in quell'altra stanza dove tutti questi poveretti non debbano vedere il frutto di tutto il tuo essere contorto e vigliacco e manipolatore" strinse i pugni, sussurrò ma qualcuno dei presenti aguzzò lo stesso l'udito, anche colui che gli stava di fronte strinse i suoi pugni ma mantenne il respiro regolare, fece correre la mente, e infine tornò a rilassarsi, annuì e lo guardò con finta innocenza "Scusa? William, cosa stai blaterando? Ti senti bene?"

William agguantò allora, furioso, una delle maniche invisibili che gli passavano per la clavicola e che tenevano insieme le sue vesti, Jolly sussultò, non si sarebbe mai aspettato un atteggiamento tanto aggressivo dal suo amico di infanzia, e sì che lo conosceva bene; Era sempre pacato e pieno di grazia ed eleganza, alcune volte era debole, manipolabile e senza spirito di iniziativa, ma questo non era stato che un pregio da usarsi per Jolly, fino a quel momento, pensò di fermarlo, ma lasciò correre, anzi camminò con lui, lui che lo spinse senza forza in una stanza che il resto della famiglia di Ihmisia che lì dimorava era riuscita a costruire con pochissimi materiali, quelli che qualcuno riusciva a procurarsi lavorando giorno e notte, anche Jolly lavorava, impossibile dire il contrario per lui, diceva sempre di lavorare per il futuro della sua famiglia, e secondo lui in un certo senso lo faceva.

William si sbattè la porta alle spalle, e Jolly continuò a guardarlo con sguardo interrogativo, finchè il suo sguardo non cadde su qualcos'altro:
Una terrificante, per i più, maschera tonda e almeno grande il doppio del viso di entrambi, sopra di essa vi era dipinto un sorriso disumanamente ampio, grande da una mascella all'altra, gli occhi come i puntini che si usano per terminare un discorso, somigliava in tutto e per tutto al giallo luminoso delle emoji che gli umani utilizzavano sempre per parlare tra di loro sui loro dispositivi con cui compensavano la loro debolezza...cellulari, si chiamavano?
Era lucida e pulita in tutto e per tutto, se non fosse per una singola macchia rosso scuro sul lato destro di quel sorriso angoscioso, la stessa macchia che esce dalla pelle di qualcuno quando si sbuccia il ginocchio, o si taglia un dito con la carta...Jolly riconosceva alla perfezione quella maschera, e spalancò gli occhi, ma tornò calmo e pacato, con la sua tipica espressione senza emozioni, giusto un po' irritata che era solito sfoggiare.

"Non rammento di averti dato il permesso di frugare tra le mie cose."

"Non sei altro che un bugiardo, Jolly, pensavi che non mi sarebbe puzzato tutto questo? Dici di lavorare per la nostra famiglia, nascondi i tuoi pensieri, sei fuori da questo disgustoso posto dalla mattina alla sera, e ora ci sono degli omicidi seriali, e del sangue sulla tua maschera esattamente da un mese, proprio quando tu hai iniziato i tuoi viaggetti in città" tratteneva con tutta la sua forza le lacrime, era paonazzo, fissava l'amico dritto negli occhi, senza paura, solo...delusione.

Jolly sorrise, un sorriso malvagio, sogghignò "Non ti facevo così intelligente, Will"

"Non osare chiamarmi Will, assassino! Dovrei consegnarti agli anziani, che ti diano la giusta punizione"

Jolly sospirò, iniziava a scaldarsi, era sempre più in difficoltà, sosteneva lo sguardo di William, facendosi spazio con le mani fra gli oggetti che si trovavano nello scaffale alla sua sinistra, spinse con la schiena la porta di metallo insonorizzata, per mettersi al sicuro che essa fosse chiusa bene "Sai, ho appena cominciato. Non sei stanco di stare qui nascosto, tra queste fradicie e umide mura, nascosto al buio giorno e notte? ci sono donne, bambini, anziani come tu hai menzionato, ma perchè noi? Perchè siamo noi a doverci sempre nascondere? Perchè gli umani hanno dovuto sovrastarci così? Non ci pensi? Forse è il momento che qualcuno costringa gli umani a nascondersi, sto solo ripagando il favore"

E finalmente lo trovò;
Il manico di un cacciavite appuntito, lo agguantò, avvicinandosi lentamente all'altro, strisciando come un serpente che avvolge nelle sue spire il suo pranzo "Ma tu no, non capisci, come potresti? Non hai visto tutto il male che c'è in questo mondo, non hai visto quelle formiche gironzolare in città libere, quindi se non vuoi venire con me per prenderci ciò che ci spetta di diritto, poichè prima era nostro, e salvare questa famiglia..." alzò il cacciavite, sotto lo sguardo atterrito dell'amico, le cui gambe cedettero e che si allontanò velocemente, come un ragno, balzando sino a ritrovarsi con le spalle al muro, ma Jolly continuò ad avvicinarsi.

"JOLLY, FERMATI!"

"...allora forse dovrò essere io a liberarti"

E William lasciò quel sudicio posto, e con esso questo mondo.

I Ragazzi Ritrovati: Antologia di un sorrisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora